Film epico western drammatico diretto dal grande regista Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon (2023) si ispira al saggio del giornalista statunitense David Grann. Ambientato nello stato dell’Oklahoma del Midwest americano nei “ruggenti” anni Venti e ispirato a fatti realmente accaduti, il film racconta la tragica vicenda degli omicidi dei membri di una tribù di nativi americani, la nazione Osage.
Il film comincia con Robert De Niro nei panni di William Hale, personaggio storicamente esistito, e suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio). Entrambi presentano se stessi come guardiani bianchi autorizzati, per conto della legge statunitense, a farsi carico della ricchezza degli Osage in seguito alla scoperta di ingenti quantità di petrolio in quelle terre. Reduce di guerra, Ernest torna a Firefex (Oklahoma), città dove è cresciuto, e lì sposa una donna Osage, Mollie (Lily Gladstone), ma in seguito obbedisce agli ordini di suo zio e si impossessa del denaro della tribù uccidendone i suoi membri uno dopo l’altro[1].
COMPLICITÀ CRIMINALE
Scorsese e il suo co-produttore Eric Roth hanno impiegato alcuni anni per portare sul grande schermo del cinema le vicende narrate nel libro di Grann. Come spiega il regista, entrambi hanno compreso fin da subito che si trattava di crimini descritti con scrupolo tale che la storia sembrava più un ‘chi non l’ha fatto’ che un giallo (whodunnit)[2]. Prima di cominciare a girare il film, Scorsese ha avuto parecchie frequentazioni con gli anziani Osage i quali, a distanza di un secolo, sentivano ancora sulla propria carne viva le ingiuste conseguenze di un sistema intenzionato a sterminarli. Il regista promise loro che si sarebbe impegnato a rendere il film quanto più veritiero e autentico possibile.
LA NAZIONE OSAGE
Il termine ‘Osage’ è una traduzione dal francese del nome della tribù, che si potrebbe tradurre con l’espressione “acqua calma”. La tribù dei Nativi Americani si originò lungo le valli dell’Ohio e sul fiume Mississipi intorno al 700 BCE (before Common Era) assieme ad altri gruppi della medesima famiglia linguistica. Questi ultimi alla fine del XVII secolo migrarono verso ovest stabilendosi in Missouri di fianco al fiume Missisipi. Nel XIX secolo furono costretti ad abbandonare il Kensas trasferendosi nell’attuale Oklahoma. In seguito, all’inizio del XX secolo nelle loro terre fu scoperto il petrolio. Avendo mantenuto i comuni diritti minerari, molti Osage divennero ricchi. Ma i bianchi non tardarono a mettere le mani su quei territori attraverso manipolazione, frode e omicidi compiuti da stranieri avidi di sottrarre agli indiani ciò che di diritto spettava loro.
Martin Scorsese: “Ho avuto alcuni incontri con gli Osage. Ho imparato a conoscere questo popolo e la sua storia, i cui valori fondamentali sono l’amore e il rispetto della Terra. In ogni nostra conversazione mi chiedevo: “perché siamo qui?” Si ok, per girare un film, ma la vera domanda che risuonava nella mia testa era: “cosa ci facciamo su questa Terra”? Quante più cose ho scoperto tante più ne ho trovate e molti più dettagli avrei voluto inserire senza essere puntiglioso. Volevo che tutto apparisse naturale, finanche i dettagli delle coperte e gli attori che recitavano sullo sfondo”.
Il regista sposta l’asse del suo stile proponendo una regia completamente innovativa per il suo cinema. Sebbene i suoi tratti distintivi siano evidenti anche in questa pellicola: carrellate, movimenti di macchina, perfezione nella messinscena. Tutto questo lascia stupefatto lo spettatore, il quale per quasi tre ore e mezza assiste ad un film che rompe con il canone tradizionale di Scorsese.
AMORE PERVERSO
Diversamente dal libro, il film è incentrato su una storia d’amore funzionale a riflettere su temi più ampi quali la fiducia e il tradimento. In questi termini Di Caprio parla della sua preparazione per il ruolo del debole e avaro marito Ernest.
“È stato come fare un tuffo nel passato nei film epici degli anni Quaranta, il cui fuoco tematico sono proprio queste storie d’amore davvero molto contorte e singolari. Marty sa raffigurare l’umanità di alcuni tra i più negativi personaggi. La sfida di questo film per me è stata interpretare una vicenda così importante da rappresentare una vera resa dei conti con il nostro passato. Abbiamo parlato con la comunità Osage cercando di ascoltarne le storie reali cercando di recepirne il vero nel miglior modo possibile”, racconta Leonardo Di Caprio.
Ernest si rivela un personaggio debole, incapace di compiere azioni che vadano contro la propria volontà, cerca sempre di trovare un capro espiatorio per scrollarsi di dosso le proprie colpe. Rimane, in realtà, complice del suo mefistotelico zio, il quale sa abilmente rovesciare la realtà a proprio vantaggio: quando bisogna parlare la lingua indiana si esprime così, se gli è richiesto di pregare lo fa, addirittura veste i panni del sindaco arrogandosene la funzione. Tutto ciò è metafora di un capitalismo che cominciava a penetrare in quelle lande disgregando ogni legame sociale corrompendone gli abitanti.
IL MASSACRO DI TULSA
Lily Gladstone è un’attrice statunitense che interpreta una dei Piedi Neri ed erede della tribù Nimipuu. Nel film veste i panni di Mollie, la moglie di Ernest; ha fatto proprio lo spirito della sua bisnonna, cattolica devota ma anche una donna tradizionalista dei Piedi Neri. Gladstone parla delle dure ma necessarie verità che il film denuncia: i tentativi di sopprimere la Nazione Osage come già per altre tribù di nativi americani sull’altra sponda degli U.S., ma anche i massacri dei ricchi neri americani i quali, a causa delle fortune economiche accumulate, rischiavano di minare il concetto di supremazia dei bianchi.
Nel maggio 1921 folle di residenti bianchi assalirono i ricchi neri residenti a Oklahoma, in Tulsa, saccheggiando le loro case e depredandone le attività. Scorsese e la sua équipe si trovano in un’assoluta posizione di influenza, dice Gladstone. L’aver scelto di raccontare queste storie li lega sentimentalmente ad una comunità dimenticata.
Lily Gladstone: “Parliamo della comunità Osage negli anni Venti, di Tusla, del perché non si conoscono queste vicende: è importante perché ci aiuta a capire qual è il nostro posto nel mondo. Mollie è una donna della tribù Osage che si atteggia con grazie a misura ma anche con un senso di humor e una forza irremovibile. Gli antropologi sono curiosi di scoprire tutto ciò che facciamo noi nativi. L’intento di Martin e della sua equipe era rompere il velo di ciò che la società ci dice dovremmo preoccuparci. Mi domando: chi altro sfiderà le persone a mettere in discussione la propria complicità con supremazia bianca?”.
BANALITÀ DEL MALE
Il film mette in scena un mondo devastato a trecentosessanta gradi. Lo spettatore non si illuda di trovare i buoni (eroi) e i cattivi. Lentamente, la pellicola assume sempre più i tratti del noir fino alla scoperta del carnefice responsabile degli omicidi. Quest’ ultimi non vengono quasi mai ripresi in campi e controcampi ma sempre in campi larghi. Pur mostrando gli effetti della violenza, stavolta Scorsese la mette fuori dallo schermo.
De Niro afferma che non avrebbe mai potuto capire appieno perché William Habe si sia comportato come fosse morto, e come mai gli altri continuassero a sostenerlo. Egli, tuttavia, rivede in Huge certe figure di alto profilo odierne; queste ultime pure sono molto ammirate, osserva l’attore, nonostante la loro pericolosa stupidità.
Robert De Niro: “Hale si sentiva amato dalla gente, e non escludo che si stato veramente amato da qualcuno. Doveva essere un tipo affascinante capace di conquistarsi il favore delle persone. Penso che una parte di lui sia sincera, mentre l’altra abbia la tendenza a tradire…Lo vediamo oggi: riconosciamo al diritto il suo ruolo di mediatore, in particolare dopo il triste episodio di George Floyd. Il razzismo fa parte del sistema. È la banalità del male. È ciò a cui dobbiamo stare attenti. È lì davanti a noi, teniamo gli occhi ben spalancati”.
Torna, ancora una volta, l’importanza di Dio e la centralità della preghiera. Nonostante la maggior parte degli Osage si sia convertita al cristianesimo, alcuni capi villaggio rimangono legati alle proprie consuetudini.
AMICIZIE IN COMUNE
Geoffry Orso in Piedi è il primo capo della Nazione Osage. Come spiega, quando Scrosese gli ha proposto di recitare una sua parte nel film è rimasto stupito della franchezza del regista e dal suo desiderio di riportare ogni aspetto degli Osage nelle riprese. Le scenografie e i costumi lasciano senza fiato proprio perché lo spettatore non riesce a staccare gli occhi da ogni minimo dettaglio, curato con una precisione quasi kubrickiana. La profondità di campo fa sì che tutto sia scrutabile a livello visivo: dallo specchietto della macchina alle scarpe passando per gli abiti degli Osage.
Geoffrey Standing Bear “Quando ho chiesto al sig. Scorsese: ‘In che modo vorresti affrontare la vicenda?’, lui mi ha detto: ‘Intendo raccontare una storia basata sulla fiducia tra gli Osage e il mondo circostante e il conseguente tradimento di quei valori. Andremo a riprendere con la cinepresa gli Osage, gli inviteremo a non presentarsi solo per delle comparse ma anche a darci una mano dietro le telecamere e servendoci del loro contributo per realizzare i costumi’. Osserva in che modo la lingua da loro parlata è in pericolo’. Il mio popolo ha sofferto molto e ne risente ancora oggi gli effetti. Non posso dire a nome della Nazione Osage che Marty Scorsese e la sua squadra abbiano rinsaldato la nostra fiducia in loro, ma di certo fra di noi è nata una solida amicizia. Sono rimasto seriamente colpito dal duro lavoro degli attori e dalla serietà con cui lo svolgono”.
Killers of the Flower Moon mescola diverse ambizioni del suo ottuagenario regista, tutte andate a segno: la deriva causata dal capitalismo selvaggio e predatorio, il dubbio degli esseri umani – Dio resta sullo sfondo – come forza dischiusa dalla religione. Il tutto trasmesso con scene enfatiche e glaciali, non tanto per la violenza che emanano, quanto per la consapevolezza che si tratta di fatti storici veri e raccontati con fedeltà attraverso un ritmo che sale sempre di più. Le musiche rifuggono da ogni atmosfera barocca e pervadono le orecchie degli spettatori con un basso compulsivo e ossessivo.
A riprova che, età anagrafica a parte, perfino un regista importante e spregiudicato come Martin Scorsese sempre aver raggiunto una maturità tale da poter dire: “Adesso faccio e vi mostro quello che nessuno vorrebbe vedere”. Vale a dire, la vicenda di un genocidio tra i più efferati e dimenticati dalla storia.
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[1] Cfr. Marco Catenacci, Marco Grosoli, Killers of the Flower Moon, gli SPIETATI, 27-28 Novembre 2023.
[2] È un termine coniato circa un secolo fa per designare un sottogenere del giallo classico, e verte sulla risoluzione di un crimine, di solito un omicidio. In questa categoria di romanzi gli indizi e i colpi di scena vengono rivelati gradualmente, ma senza scoprire l’identità del colpevole, in modo che il lettore (o spettatore) si senta coinvolto nel lavoro del detective o empatizzi con il protagonista del romanzo. La parola whodunnit è la contrazione della domanda “Who has done it?” (‘chi l’ha fatto?’). L’autrice più emblematica del whodunnit, senza dubbio, è Agatha Christie.