L’incentivo all’amicizia, “una misura da finanziaria”

Per abbattere i "costi" sociali e sanitari del dramma della solitudine, che coinvolge in particolare gli anziani ma anche i giovani, occorre investire in ascolto e dialogo

La cronaca riporta sempre più spesso casi di anziani ma anche giovani ritrovati privi di vita nella propria abitazione dopo molti giorni o addirittura mesi. Tra gli episodi più clamorosi, quello di Marinella Berretta, settantenne, pensionata, il cui corpo è stato scoperto dai vigili del fuoco nella sua casa di Como due anni e mezzo dopo la morte, avvenuta per cause naturali. Un’emergenza silenziosa che, in realtà, passa nell’indifferenza dell’informazione: un terzo degli anziani è solo, con il 14% degli ultraottantenni che vive una sorta di “autoreclusione domestica”.

La mancanza di relazioni sociali, come spiega la scienza, inficia pesantemente la salute. La sola percezione di essere soli, disancorati da legami forti, nuoce al corpo al pari di quindici sigarette fumate in un solo giorno o di sette cocktail alcolici bevuti di seguito. Del trauma della solitudine si è ampiamente discusso durante il lockdown, causato dalla pandemia, che ha impedito ogni forma di contatto fisico, con conseguenze psicologiche devastanti, specie tra la popolazione più giovane e più anziana.

La solitudine è diventata un tema centrale nel dibattito internazionale con la pubblicazione del report americano realizzato da Vivek Murthy, che sintetizza la strategia pensata dal governo federale per creare processi di consapevolezza sull’emergenza solitudine. Si stima, infatti, che in America un cittadino su due dichiari di sentirsi un essere indistinto, invisibile e solo; un problema che investe in modo trasversale ogni fascia d’età, anziani e non, ricchi e poveri. Un report non solo epidemiologico ma con un esplicito invito a rafforzare le relazioni nei modi più disparati, dal rispondere alla telefonata di un amico al compiere un gesto di servizio.

Ad approfondire il tema ci sono studi che evidenziano quanto l’assenza di relazioni inneschi meccanismi di involuzione neurobiologica. Con conseguenze allarmanti: accelerazione dei processi infiammatori, riduzione del funzionamento del sistema immunitario e rischio di morte prematura. Chi si scopre solo, inoltre, è maggiormente esposto al rischio di malattie respiratorie, infarto, ictus e depressione. Aspetti su cui necessita da parte degli organismi preposti una riflessione anche sulle ripercussioni in termini di aumento della spesa sanitaria pubblica e di produttività della forza lavoro. Si stima ad esempio che nel Regno Unito, la solitudine degli over 50 costi al servizio sanitario nazionale (Nhs) circa 1,8 miliardi di sterline l’anno.

Ma torniamo all’aspetto sociale del fenomeno. Il bisogno di compagnia sembra dilagare nella gran parte dei paesi sviluppati. Nel Regno Unito nel 2018 l’allora governo di Theresa May istituì un ministero ad hoc. Iniziative che sono state replicate dal governo giapponese con i medici pronti a prescrivere attività di gruppo e incentivi all’amicizia per i pazienti a rischio. Persino la Cina con il suo collettivismo istituzionale sembra attraversato dal problema: i ricercatori della Chinese Academy of Science, analizzando i testi delle dieci canzoni più ascoltate dal 1970 al 2010, hanno scoperto che il pronome ‘noi’ e l’aggettivo ‘nostro’ sono caduti in disuso a favore di ‘io’ e ‘mio’.

Risultati non dissimili da quelli americani sono emersi in uno studio della Commissione Europea, nel quale si sottolinea il crescente numero dei cittadini comunitari che dichiarano di soffrire spesso o sempre di solitudine: nel 2022 si sono assestati intorno al 13%. Pure l’Italia, a differenza dei livelli bassi che si registrano in paesi quali la Repubblica Ceca, l’Austria e la Croazia, si posiziona nella fascia tra il 13% e il 14%. Se mancano significativi studi che attestino in Africa e nell’America del Sud l’insorgenza di questo problema, molto probabilmente va ascritto alla mancanza di dati statistici.

Ma perché tanto malessere? Interessante il contributo della scrittrice Noreena Hertz, l’economista e saggista inglese autrice del libro Il secolo della solitudine, che riconduce il problema al modello mentale, tipico del nostro tempo, che incoraggia il singolo a pensare solo a sé stesso e a vedere gli altri come concorrenti: insomma, un male sottile che si è insinuato subdolamente nel nostro inconscio quale avvilente residuo di una modernità fin troppo avvelenata da smartphone e social media.

Senza trascurare il fatto che la conseguente mancanza di relazioni produce un forzato isolamento spesso avvertito come una sorta di tradimento da parte delle istituzioni e dei suoi rappresentanti che inevitabilmente trascina verso forme esasperate di populismo e di estremismi politici. Assistiamo ad un ‘io’ che non si costruisce più in relazione ad un ‘tu’ ma a una soggettività senza confini identificativi. Proiezioni di progetti di vita narcisisticamente ripiegati su sé stessi senza scopi intellegibili. Identità narcisistiche come conseguenza di una struttura sociale e culturale significativamente modificate. Tratti che, come evidenziato dalla psicoanalisi, si manifestano in una polarizzazione della propria esperienza sul senso di paura e impotenza di fronte alla realtà e contemporaneamente su un senso euforico di libertà illimitata.

Il dibattito pubblico è tutto focalizzato attorno all’urgenza di investire in spazi comunitari per esercitare la compagnia, ovvero più biblioteche, centri giovanili, banche del tempo, condomini solidali. In definitiva soluzioni pensate per sperimentare il noi, in cui poter fare esperienza della vicinanza fisica ed emotiva, in cui si esercita il confronto e la stessa democrazia. Si tratta in sostanza di reinventare il proprio modo di stare nel mondo aprendolo alla partecipazione attiva, all’empatia, alla responsabilità sociale. Altra riflessione ruota attorno all’utilizzo dell’intelligenza artificiale che propina robot progettati per fare compagnia. Appare avvilente, tuttavia, oltre che poco plausibile ipotizzare abbracci meccanici. A dirlo è la scienza che sottolinea come il contatto umano attivi il nervo vago, abbassa i battiti del cuore e porta calma nel corpo.

È la carezza che cura, che sana ogni ferita. È forse giunto il momento di cogliere compiutamente questo aspetto. Dunque, investire sul proprio io l’intera felicità appare un’operazione fallace e mortifera; è bene ricordarlo che la felicità non è mai una vicenda privata. È una sfida che coglie in profondità la ragione stessa per la quale viviamo. Occorre ragionare su nuove forme di prossimità, se vogliamo ritessere il noi del convivere contemporaneo indebolito dalla globalizzazione. Abbiamo bisogno di vincere la solitudine riscoprendo le ragioni dello stare insieme, dell’abitare un luogo comune, del fare comunità.

Siamo chiamati a trasformare un’economia disumanizzante in un sistema più decisamente umano che permetta un “essere e sentirsi comunità” e miri a porre lo spirito civico come principale obiettivo di ogni azione sociale e culturale per la “civitas”, avvertendo sempre più il bisogno di riscoprire e cementare i valori della collaborazione e dell’altruismo. Diversamente resta salda solo l’idolatria dell’io con inevitabili derive distruttive. “Se vogliamo fermare il percorso distruttivo della solitudine e recuperare il senso di comunità e coesione che abbiamo perso, dovremo prendere atto che ci sono passi da compiere, come anche compromessi a cui dovremo scendere tra individualismo e collettivismo, tra interesse personale e sociale, tra anonimato e familiarità, tra comodità e cura degli altri, tra ciò che è giusto per sé stessi e ciò che è meglio”: è l’invito che ci rivolge Noreena Hertz ad imboccare il cammino dell’autentica crescita umana, che non può non esserci se non ritrasformandoci da egoisti ad altruisti, da osservatori indifferenti a partecipanti attivi: l’antidoto al secolo della solitudine è solo l’esserci l’uno per l’altro, l’essere in armonia con gli altri uomini.

La foto è tratta dal sito Generiamo Salute