Il Caravaggio moderno ha un volto e un nome. Si chiama Giovanni Gasparro, il nuovo epigono del genio lombardo che ama riprodurre su tela episodi biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento, scene tratte dalle passiones dei martiri o da fascinosi resoconti agiografici. Anziché di scene, sarebbe forse più appropriato parlare di istanti, attimi nei quali le sue creature divengono immortali grazie all’ausilio della luce. Quella luce che squarcia l’oscurità da ogni angolazione possibile, generando stupore, smarrimento o una compostezza ieratica tale da favorire la comunicazione con il divino, fino a renderlo parte integrante del momento vissuto.
Poi gli occhi dei personaggi, fissi, sgomenti o tramortiti da quel getto luminescente che si riverbera su una parte dei loro corpi, quasi a voler marcare la territorialità dell’orizzonte visivo. La carnalità perde i suoi connotati materici sublimandosi in spirito, che a sua volta anela la contemplazione di Dio. Quel Dio che è fulgore dirompente dalle tenebre, misericordia e redenzione dal peccato, dominando diafano sullo svolgimento dell’azione.
Simili a tableau vivant catapultati sulla tela, la galleria dei soggetti raffigurati appare variegata ma accomunata da medesime caratteristiche: il solenne effetto chiaroscurale che esalta la motilità dei dettagli anatomici, l’eleganza del panneggio, l’assenza di un’ambientazione esterna che funge da cornice, la gestualità ancor più accentuata dai vividi cromatismi. È così che Giovanni Gasparro si guadagna quella “grazia” cui secoli fa tendeva Caravaggio. Certo una grazia diversa, non segnata dalla costante richiesta di intercessione ad organi e autorità competenti, come il papa e la Chiesa, emblema e baluardo di una cristianità non immune da intrighi e giochi di potere.
La cifra peculiare che però contraddistingue le sue opere è senza dubbio lo spiccato iperrealismo, lì dove il termine indica uno stile pittorico che scruta a fondo la fisionomia umana, riproducendola nei minimi particolari: le imperfezioni della pelle, le venature delle mani, i pori di una barba ispida, l’ossatura di un volto scarno, le sfumature di un’iride o di una pupilla dilatata e via discorrendo. Pennellate talvolta ariose per gli sfondi spesso scuri, talaltra macroscopiche per seguire meglio l’ordito di pizzi e merletti, mitra e stole in oro, corone e calici tempestati di diamanti.
Un’arte controversa che potrebbe risultare pletorica o addirittura stucchevole per la sovrabbondanza di dettagli iperrealistici, quasi disorientante per l’esasperazione dei tratti umani. E in effetti nell’osservatore si acuisce un senso di smarrimento alla visione della mostra di Giovanni Gasparro intitolata Il nuovo teatro del divino, allestita nelle ampie sale del Museo Diocesano di Molfetta sino al 29 ottobre. Oltre cinquanta le opere dell’artista classe ’83, nato a Bari e originario di Adelfia, realizzate su vari supporti pittorici, dalle tele agli specchi lignei, con i quali dimostra di avere padronanza dei modelli a cui si ispira, non solo Caravaggio, ma anche quello stuolo di giovani apprendisti formati nella bottega del genio lombardo che dopo di lui ebbero tanta fortuna, come Jusepe de Ribera o Mattia Preti, o ad artisti del calibro di Guercino e Zurbarán.
Gasparro può contare altresì del supporto di due opere già inserite nella collezione del Museo Diocesano molfettese, la Pietà di Bernardo Cavallino (1649-1656) e il San Nicola Pellegrino di Corrado Giaquinto (1721- 1724) per instaurare un silenzioso dialogo con due suoi olii su tela: la meravigliosa Corredenzione del 2015, appartenente ad una collezione privata, e San Nicola il Pellegrino del 2017 custodita nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Trani. Si lascia ammirare anche il delicato lavorio degli specchi, che Gasparro dipinge e decora, come lo Speculum sine Macula del 2014 e l’elegante Speculum iustitiae del 2018, l’olio su specchio e legno dorato con perle e incisioni a bulino.
Alla materia pittorica Gasparro non si approccia da neofita ma da veterano. Nel corso degli anni ha intrapreso uno straordinario rapporto con la committenza, pubblica o privata, destinato a rimanere duraturo. Non a caso nel 2011 l’Arcidiocesi dell’Aquila gli ha affidato la realizzazione di diciannove opere, tra cimase e pale d’altare, per la Basilica quattrocentesca di San Giuseppe Artigiano, danneggiata dal terremoto del 2009: le stesse costituiscono il più grande ciclo pittorico d’arte sacra prodotto negli ultimi anni. Ma ancor prima il regista Ferzan Ozpetek sceglie la sua Ultima Cena per il film Saturno Contro. Tra il 2012 e il 2013, si dedica con zelo ad Anomalia con il cappello di Largillière per Costa Fascinosa, la più grande nave da crociera d’Europa, e a Casti connubii, opera contro l’aborto ispirata all’omonima enciclica di Papa Pio XI (1930) con la quale ha vinto il prestigioso Bioethics Art Competition della cattedra in bioetica e diritti umani dell’UNESCO. Pregevoli i riconoscimenti ricevuti: dal Premio Pio Alferano ottenuto con Quum memoranda- Pio VII Pontefice Massimo, al Premio Eccellenti Pittori- Brazzale.
L’iter artistico di Gasparro è costellato da numerose mostre in varie località italiane, come la 54^ Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, curata da Vittorio Sgarbi, alla Galleria Nazionale di Cosenza a confronto con Mattia Preti, a Palazzo Venezia a Roma, al Museo Nazionale Alinari, al Museo degli Innocenti, ai Musei di Villa Barrdini a Firenze e tante altre ancora. Disseminate in importanti collezioni pubbliche e private europee e statunitensi, nonché in diverse chiese e basiliche italiane di Siena, Roma, Trani, Torino ed estere a Malta, in Grecia, Svizzera e Stati Uniti, le opere gasparriane- pur pienamente ascrivibili ad un filone pittorico religioso e sacrale- approdano anche nel multiforme universo teatrale: il pittore ha debuttato come scenografo nella Tosca di Giacomo Puccini al Teatro Coccia di Novara, con la regia di Renato Bonajuto.
Sulla tela l’apoteosi del Barocco, nell’animo la volontà di insinuarsi nel solco del caravaggismo pur innovando le modalità espressive, il viaggio di Giovanni Gasparro parte dalla Puglia ma non ha destinazione. Una locomotiva colma di tele, tavolozze e pennelli che non si ferma mai, neanche al raggiungimento della “grazia”.
Nelle foto, alcune opere di Giovanni Gasparro in mostra al Museo Diocesano di Molfetta