Una lettera a chi è dentro perchè possa sentirsi già fuori

Nelle voci dei cittadini, raccolte in un libro di Marilù Ardillo, la solidarietà senza pregiudizi verso i detenuti, abbandonati nell'indiferrenza dalle istituzioni

Le condizioni in cui versa gran parte della popolazione carceraria sono note: sovraffollamento, strutture obsolete, igiene precaria. Solo per accennare ai problemi più gravi. Perchè in realtà, bisognerebbe parlare dell’assenza di iniziative e attività rivolte al recupero, alla rieducazione dei detenuti in vista di un loro reinserimento nella società, come sancito dalla Costituzione. Gli istituti penitenziari italiani possono ospitare al massimo poco più di 51 mila persone (leggi qui) ma oltre 3 mila posti in realtà non sono realmente disponibili. Al 30 aprile 2023, i detenuti erano circa 56,7 mila, dunque 9 mila in più rispetto alla capienza regolamentare, con un tasso di sovraffollamento pari, in media, al 119 per cento. In Puglia siamo, addirittura, al 146 per cento.

Una situazione che appare davvero drammatica se si guarda, poi, al numero dei suicidi in carcere: il 2022 ne ha fatti registrare 85, molti di più rispetto ai 57 dell’anno precedente.

E’ evidente che alla questione carceraria, al di là di ogni riforma che possa investire l’ordinamento giudiziario, continua a non attribuirsi l’attenzione necessaria. Si susseguono i governi e le legislature, ma la situazione non migliora; anzi, si fa sempre più pesante. Così, il contributo di quanti tentano di riportare a galla il problema, di parlarne, utilizzando ogni strumento di lettura, osservandolo da ogni possibile angolazione, è particolarmente meritorio.

Parlami Dentro è una raccolta di cento lettere scritte da cittadini a detenuti sconosciuti, curata da Marilù Ardillo, copywriter e responsabile della comunicazione per la Fondazione Casillo, e pubblicata dalle edizioni La Meridiana. Il libro, progettato in collaborazione col programma radiotelevisivo Liberi dentro di Eduradio&TV, è un invito ai cittadini a prendere in consegna il problema delle migliaia di cittadini rinchiusi nelle carceri italiane. Per una più matura consapevolezza dei guasti prodotti da un sistema penitenziario così decadente, nella prospettiva di richiamare l’attenzione della classe politica e delle istituzioni sulla necessità, non più rinviabile, di intervenire. Abbiamo intervistato l’autrice Marilù Ardillo.

Quando è nata l’idea di invitare i cittadini a scrivere una lettera a chi si trova a scontare una pena?
Nel dicembre 2022, in occasione del Natale. In qualità di responsabile della comunicazione per la Fondazione Vincenzo Casillo, desideravo ideare e promuovere un’iniziativa che mettesse in connessione le persone e veicolasse un messaggio di fiducia, di possibilità, in un’umanità che ancora resiste. È stato possibile anche grazie ad una rete di persone dedite alla popolazione carceraria, che attraverso il programma radiotelevisivo “Liberi dentro” di Eduradio&Tv, diventato partner del progetto, e seguito potenzialmente sui canali regionali da 750 detenuti della casa circondariale di Bologna, ha letto per loro alcune tra le lettere più intense durante l’intero periodo natalizio.

Qual è dunque, lo scopo di questo libro?

Prima di diventare un libro è stato un progetto, che nutriva anzitutto l’auspicio di condividere un gesto narrativo di resistenza, come scrivere una lettera, capace di consegnare un frammento di vita libera a quella moltitudine di persone che, in ogni città che abitiamo, ogni giorno si tiene aggrappata alle parole per tentare di sopravvivere, per evolvere e ricostruire. Altro auspicio era quello di rammentare ad ognuno di noi, ma anche alle istituzioni, che il popolo delle persone ristrette è fatto di materiale umano, che pensa, che sente, che ha diritto ad esercitare la speranza e il desiderio, e che merita di essere riconsiderato addirittura come custode di storie di vita tra le più intime. Dopo aver preso atto dello straordinario spessore umano e letterario delle lettere ricevute, il progetto è diventato un libro assecondando quasi un’esigenza naturale, grazie anche alle Edizioni La Meridiana che ha creduto nel suo potenziale, perché queste lettere sono scritte da tutti per tutti, perché hanno il merito della bellezza, intesa come affermazione di vita, e perché riconoscono il diritto ad esistere, ciascuno nella propria verità. Alla fine lo scopo è diventato quello di offrire un’occasione per vedere ed essere visti.

Parlami dentro si presenta come una raccolta di 100 lettere scritte dai cittadini a detenuti sconosciuti. Ha seguito un criterio particolare o ha scelto le lettere seguendo il flusso delle emozioni, provocate dalla lettura delle stesse?
Ogni racconto di vita genera emozione, anche solo per l’atto stesso di donarsi. Dunque sono grata a tutte le persone che hanno scritto e creduto nel progetto. Dovendo strutturare un libro, ho cercato di selezionare le lettere che avessero contenuti chiari, che mostrassero una strada possibile, che offrissero una chiave di salvezza. Che portassero anche leggerezza, attraverso il ricordo di un viaggio o una ricetta, e che avessero un respiro più ampio possibile. Che sollecitassero un richiamo universale.

Ci sono ancora delle lettere che potrebbe inserire in un’eventuale altra pubblicazione?
Ci sono alcune lettere arrivate dopo la chiusura del progetto, perché sorprendentemente la casella di posta di Parlami Dentro ha continuato a rimbalzare in luoghi e modalità del tutto sconosciute. Alcune di queste sono state scritte da madri disperate che chiedevano un contatto con i loro figli reclusi, spesso in isolamento, di cui avevano perso le tracce.
Ricordo in particolare lo stralcio di una lettera il cui oggetto diceva: Vorrei solo che farete leggere il mio scritto in qualità di madre di suo figlio. “Non riesco ad abbandonarti in carcere. Io vado contro tutti e per qualsiasi cosa ci sono”. Non so se esisterà un’opera futura. So che adesso inizieremo un lungo viaggio nelle case circondariali d’Italia grazie ad un lavoro di rete che edizioni la meridiana sta curando personalmente e grazie anche alla Fondazione Vincenzo Casillo che ha scelto di donare 1000 copie a persone detenute. Leggeremo le lettere davanti ai loro occhi e questo sarà il senso di tutto. Desidero che le persone ristrette sappiano che esistono donne, uomini, bambini, nonne, ragazzi e ragazze che nutrono fiducia nelle loro capacità e riconoscono loro “un valore in origine”, che vogliono assicurare che “il bene esiste” e che invece “il fallimento non esiste”.

Ritiene che il suo lavoro possa contribuire al superamento di tanti pregiudizi nei confronti di quanti sono in carcere? 

Grazie alla lettera firmata da Tony, per esempio, che ha raccontato la prigionia in un corpo di uomo transgender. Grazie a Daniela, che dopo un grave incidente si è risvegliata dopo 25 giorni di coma in un corpo spastico, lento e assai meno abile. Grazie alla purezza di Sara, che a 18 anni confida che resterà sempre innamorata degli occhi della sua ragazza.
Quella al pregiudizio è una lotta costante e quotidiana per molti di noi, per le ragioni più disparate. Queste lettere uniscono e sono unite anche per questo, e per questo dunque contribuiscono tutte, insieme, al tentativo di superare un muro che sembra ogni giorno più invalicabile, a giudicare dai fatti di cronaca. Come? Mostrando dentro ognuna di queste vite bellezza e valore.

Si può considerare Parlami dentro come un invito rivolto a ciascun cittadino ad aprirsi all’altro senza riserve nè tantomeno paura?
Prima ancora forse come un invito rivolto a se stessi. Poi certamente all’altro, come anche alla Madre Terra. Magari prendendo esempio da Tommaso, che a 15 anni ritiene che “se una persona sbaglia bisognerebbe capire perché ha sbagliato”. O da Francesca, che a 20 anni, pur essendo stata bullizzata a scuola per lungo tempo, oggi ha imparato ad abbracciarsi davanti allo specchio e continua a credere “che la felicità esiste”.
O ancora da Dario, che dopo aver perso sua madre a 19 anni ed essere stato allontanato dai suoi fratelli e da suo padre, è convinto che: “Il mondo può sembrare freddo ma si possono sempre incontrare delle persone stupende che ti fanno sentire a casa senza aspettarsi nulla in cambio”.

Ritiene che i più giovani possano essere interessati al messaggio contenuto nelle lettere pubblicate?
Molti tra gli autori delle lettere, in realtà, sono giovanissimi. Abbiamo in programma di presentare il libro anche nelle scuole. In primo luogo perché la Fondazione Vincenzo Casillo ha a cuore l’istruzione e la formazione, umana e culturale, delle giovani generazioni. E poi perché i ragazzi hanno necessità di sollecitare l’empatia, l’ascolto, di imparare ad “immaginare la vita degli altri”, come ha scritto Paolo Di Paolo nella prefazione. Così come avrebbero necessità di sperimentare la scrittura autobiografica, entrare in contatto con il proprio dolore, scoprire il valore della poesia, mettere in condivisione le proprie paure, riconoscere a sé stessi e agli altri il diritto di essere fragili. E perpetuare l’esercizio del sogno.

Le immagini sono tratte dalla mostra fotografica RI-SCATTI. Per me si va tra la perduta gente, realizzata ad ottobre del 2022 presso il PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano. www.ri-scatti.it