Tre lettere, un punto cardinale che vira verso il basso, un’identità da rivendicare con orgoglio o celare con amarezza. Sud, una parola tanto breve, quanto polisemica; un microcosmo cangiante di bellezza e natura o, a volte, una distesa sconfinata succube di un’arretratezza che non evolve mai in progresso.
È difficile condensare in poche righe cosa sia il Sud, seguendo la prospettiva di chi quotidianamente lo vive o per anni lo ha vissuto. Potrebbe risultare un’operazione ingannevole; addirittura un azzardo. Si ragiona ma con il cuore quando si parla di Sud. Si è quasi obbligati a rievocare quella terra “amara e bella”, cantata da Domenico Modugno, dalla sensualità tentacolare da cui si rimane ammaliati e al contempo storditi. La malia del Sud sta proprio nell’entusiasmo suggellato dalla ricerca e dalla riscoperta delle origini, dal candore dei ricordi passati, dall’esaltazione della frugalità.
Figlie di quel Sud che ha visto i suoi talenti andare altrove in cerca di fortuna o per inseguire i propri sogni, Rosita Brucoli e Carmen Consoli non dimenticano il luogo natio che le ha cullate e cresciute. Lo fanno con dolcezza, nostalgia e disincanto nella serata inaugurale del Talos Festival di Ruvo, rassegna annuale di musica e danza promossa dal Comune di Ruvo di Puglia con la preziosa partnership di Bass Culture srl, la collaborazione del Teatro Pubblico Pugliese e cofinanziato dalla Regione Puglia.
Una ‘diaspora’ verso Nord, a cui le cantautrici non si sono sottratte, resa meno dolorosa proprio dal particolare legame con le radici che scorre nelle loro vene e che nei concerti ostentano con vanto. Mentre le sue dita scorrono leggiadre sulla tastiera, Rosita racconta dolcemente la sua infanzia. Era solita giocare lì, in uno spazio raccolto e attorniato da mura bianche, una chiesa e abitazioni in pietra che formano il piccolo slargo, ribattezzato come Piazzetta le Monache, quella che oggi è lei stessa a dominare dall’alto del palco.
Delicata come un fiore, magmatica come una roccia, l’artista ruvese si lascia coccolare dall’affetto del pubblico. In fondo, Ruvo è casa sua, malgrado viva lontana. Inebriata dall’emozione, la voce di Rosita si rompe in pianto, pensando alla scomparsa del padre solo un anno fa. Sarebbe stato fiero nel vederla intonare dinanzi ad una platea così gremita i brani del suo ultimo album Camminare Correre. E sulle note di Mantra, si congeda con un sorriso luminoso e con la gratitudine di una viaggiatrice che mai si sente estranea quando torna all’intima dimensione paesana, al proprio nido familiare ansioso di accoglierla. Perché, in fondo, il sud è famiglia, calore, tradizione, storia e folklore.
Come sa bene Carmen Consoli che, dopo aver infiammato la piazza con i suoi grandi successi (Parole di burro, Amore di plastica, L’ultimo bacio, Confusa e felice e tanti altri ancora), si lascia sedurre dal richiamo della sua meravigliosa terra, la Sicilia. La polistrumentista catanese omaggia, infatti, la cantautrice siciliana Rosa Balistreri riproponendo il suo grido di amore, dolore e protesta paragonato al blues, in Buttana di to mà. E quando l’incessante lamento sfuma nell’ultimo riff di chitarra, la cantautrice riflette e si domanda: “c’è qualcosa che salverà il mondo dalle brutture di questo revisionismo storico?“. La risposta c’è già. Nel tempo si è sedimentata dentro di lei, ha imparato a coltivarla e ad acquisire come consapevolezza con la musica e i versi di Stranizza d’amuri, capolavoro di Franco Battiato.
L’antidoto più efficace contro le storture dei nostri giorni è senza dubbio la “stranizza d’amuri“, un ideale, un concetto o senza troppe pretese una velleità, un qualcosa – a detta della cantante – “che penetra dentro le ossa e ci stupisce“. Perché “a volte la bellezza delle cose ama nascondersi… bisogna essere bravi a tirarla fuori“!
Ma c’è una storia che la “cantantessa” confeziona con il suo timbro vocale vibrato e graffiante. È quella di una giovane donna, vittima di abusi da parte dello zio, che segue il feretro del suo aguzzino mettendo sulle labbra un rossetto rosso come segno di rivalsa. Grazie alle chitarre di Massimo Roccaforte e al violino di Adriano Murania, Carmen condanna quella tossica mascolinità che nel corso degli anni ha mietuto e tuttora miete sempre più vittime. Donne come lei alle quali la vita ha riservato un destino crudele, da cui è necessario rifuggire praticando l’amore. Un amore che si rigenera con l’allegria della musica, salvezza e panacea per alcuni, piacevole passatempo per altri, ma certamente fil rouge di questa ricca e variegata rassegna del Talos Festival. Dal brio corale delle bande, all’armonica compostezza dei singoli artisti: dedicarsi alla musica è davvero una “stranizza d’amuri“!