La costituzione come stella polare

Il senso e il valore dell'impegno di Nicola Magrone, nella testimonianza di don Rocco D'Ambrosio e Francesca Benedetto ospiti di un incontro a Modugno

Magistrato, fondatore della rivista Sudcritica, parlamentare e sindaco di Modugno, Nicola Magrone – scomparso lo scorso aprile – è stata una personalità tra le più incisive e autorevoli del nostro mezzogiorno. Soprattutto per il contributo offerto in difesa e per l’attuazione della carta costituzionale, a cui ha ispirato l’intera sua attività nel corso di tutta una vita. Una missione portata avanti con zelo e passione col movimento Italia Giusta secondo la Costituzione, da lui stesso fondato, che nei giorni scorsi ha voluto offrire a Magrone il giusto e sincero tributo di stima, affetto e riconoscenza nel corso di un incontro a Modugno. Un’occasione per ricordare il profilo pubblico, e, in parte, l’uomo, aspetti, in questo caso, tanto distinti quanto complementari.

Ad illustrare il senso e il valore più autentico della riflessione e dell’operato di Nicola Magrone – imperniati intorno all’assoluta e convinta fedeltà e adesione ai principi costituzionali – don Rocco D’Ambrosio, docente di filosofia politica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e docente nelle scuole di formazione politica del circuito di Cercasi un fine, insieme a Francesca Benedetto, avvocata urbanista e vicesindaca di Modugno, nella giunta Magrone del quinquennio 2015 – 2020, sapientemente coordinati dal dott. Pasquale De Santis, segretario del movimento Italia Giusta secondo la Costituzione.

Da sin. don Rocco D’Ambrosio, Pasquale De Santis, Francesca Benedetto

“Nicola era intelligente, nel senso etimologico di saper ‘leggere dentro’ – spiega con mirabile sintesi D’Ambrosio -: non già, nell’accezione di essere, come spesso, e purtroppo, s’intende oggi, appena uno scalino più su della media culturale. Saper leggere dentro quello che succede, dentro l’interiorità degli altri e dentro la propria. Così come si capta nella conversazione tra Magrone, Clara Zagaria, Guglielmo Minervini e don Tonino Bello, pubblicata in Sudcritica nel 1994. Lì Nicola esplorava l’interiorità di don Tonino, gli chiedeva della sua autentica, individuale, adesione a ciò che l’apparato a cui il vescovo di Molfetta apparteneva, la Chiesa, poneva come propri contenuti condivisi, esplorando, allo stesso tempo, la sua interiorità in relazione alle strutture laiche, a cui lui, come magistrato e politico, apparteneva”.

Tra le questioni-bussola ricorrenti nell’operare di Nicola Magrone c’era, infatti, il rapporto tra l’individuo e l’organizzazione quale che sia. In un dialogo, sempre su Sudcritica, con Mario Dilio, a proposito del suo rapporto privilegiato con Ignazio Silone, afferma: “Preferisco confessarti una mia particolarissima ragione di ‘attaccamento’ a Silone. Questa: in tutto il lavoro, politico e letterario di Silone, nella vita sua stessa, il tema fondamentale a me è parso il rapporto tra l’individuo e l’organizzazione. Tu ricorderai come Silone ‘spiega’ il suo essere diventato comunista; ricorderai l’episodio della povera vecchietta aggredita, ridicolizzata e offesa dal grosso cane del signorotto di paese. E tuttavia, il problema non è risolto ‘diventando comunisti’; non era risolto ‘stando’ nella Chiesa; non sarà forse che non lo risolvi facendoti inghiottire da un’istituzione, da un’organizzazione?”. E continuando: “Come ci si ribella in difesa della vecchietta? Basta l’individuo? Bisogna che si scovino le coscienze capaci di ribellione, e così magari le trovi e ti ‘organizzi’ con loro. All’origine era la tua coscienza, poi fu una coscienza collettiva. Ma il fatto è che la ‘coscienza collettiva’ finisce col diventare altro da te, e pretende di guidare e orientare in vita al realismo. L’organizzazione ‘seleziona’, mette in ordine, sacrifica quel che va sacrificato; il ‘fine’ del ‘bene collettivo’ annienta il gesto individuale, la ribellione; la liberazione sarà di tutti o di nessuno e perché sia di tutti bisogna che non ci si attardi su altre vecchiette in lacrime. Può finire, dunque, che proprio lì anneghino le ragioni della tua scelta di campo, dentro all’organizzazione della ‘coscienza collettiva’, e che tu finisca col dover ‘sorvolare’ su cani e vecchiette, su servi e padroni, in attesa della ‘parola d’ordine’ su questa terra o del ‘regno dei cieli’ nell’altro mondo”.

Don Tonino Bello nel corso dell’intervista realizzata da Nicola Magrone

È questa riflessione radicale che spiega la cogenza che ha determinato, in Magrone, la scelta “esistenziale”, sottesa a tutta la sua poliedrica attività, di difendere strenuamente la Costituzione e di sostenerne senza tregua l’applicazione, senza la quale – come il nostro ha sempre tagliato corto al riguardo – la nostra Carta è soltanto un simulacro, si svuota, scompare. La tutela della Costituzione, pertanto, implica la sua applicazione e dalla sua applicazione deriva una tutela “identitaria”: quella tutela, cioè, che preserva l’esistenza della nostra Repubblica. Un chiasma virtuoso, dunque, che, tuttavia, come ha osservato D’Ambrosio, con non minore “intelligenza” di quella che ha attribuito a Magrone, è ormai effettivamente eroso, demolito. Riforma del Titolo Quinto, flat tax, disegni di autonomia differenziata e di premierato, riduzione del numero dei parlamentari, la definizione di “pizzo di stato” applicata alle tasse, rappresentano, per citare soltanto i più noti, colpi esiziali per la Costituzione e, dunque, per la nostra identità repubblicana.

Se si compongono queste ed altre misure anticostituzionali, si ottiene un “mosaico” – così l’ha definito il relatore – il cui soggetto non è che la negazione culturale della Costituzione. Non si tratta, cioè, solo di scelte politiche che, per quanto sbagliate, sono tuttavia contingenti e correggibili, ma di una distruzione culturale “identitaria”.

Che fare per resistere a questa tettonica catastrofica? Esercitare una duplice “pazienza”, indica don Rocco. Una è continuare a studiarla la Costituzione e a brandirla, proprio come fece Dossetti, negli anni Novanta, quando lasciò, seppure temporaneamente, la sua comunità monastica per sostenere la necessità di farsi guidare dalla Carta Costituzionale e impegnò gli ultimi due anni della sua vita contro una riscrittura radicale della stessa carta. La quale – sosteneva – poteva essere modificata ma non alterata per intere parti. L’altra pazienza è quella di rompere certi incantesimi dell’informazione e della comunicazione, che subdolamente riescono a far passare giustificazioni aberranti di misure palesemente anticostituzionali. Di fatto, i due binari lungo i quali si è sempre dipanata l’attività giudiziaria e politica, culturale ed editoriale di Magrone, anche tramite la costruzione della fondazione Popoli & Costituzioni e dell’organo associativo culturale e politico Italia Giusta secondo la Costituzione.

Magrone, sindaco di Modugno, con i ragazzi delle scuole

I principi costituzionali, tuttavia – e questa è stata la peculiarità che più ha smarcato lo sguardo di Magrone – riguardano non soltanto questioni generali, ma, parimenti, questioni di amministrazione locale in cui, anzi, si svelano particolarmente ficcanti. Ciò che ha testimoniato Francesca Benedetto che, nel suo intervento, ha fatto luce su come e quanto sia stato decisivo, nel 2015, all’inizio del suo lavoro di vicesindaco accanto a Magrone, il ricorso al principio costituzionale che garantisce l’erogazione dei servizi essenziali per una comunità, a partire dai servizi vitali ai cittadini più bisognosi. “All’epoca a Modugno c’era un pesante vincolo, dovuto a un colossale pignoramento – racconta Benedetto – che impediva, attraverso una ferrea burocrazia, di liberare la spesa sociale. L’ostinato tener fede a quel principio di Nicola e il conforto di una sentenza della Corte Costituzionale ci permisero di sbloccare le economie necessarie per tutelare il soddisfacimento delle esigenze dei più deboli”.  

Fu un’operazione coraggiosa, così come sarebbero stati coraggiosi, solitari, altri interventi di “traduzione” nella realtà delle ragioni costituzionali. “Affrontammo – ricorda ancora Francesca Benedetto – la questione assai spinosa della fabbrica ‘OM carrelli’ che avrebbe fatto la fine di essere venduta al miglior offerente, favorendo così solo l’interesse forte del privato. Con Nicola Magrone, invece, si fece in modo che fosse garantita innanzitutto la dignità dei lavoratori. Ancora: con Magrone e con la sua giunta, diritto alla salute e diritti dell’ambiente sono sempre stati coraggiosamente difesi, come d’altra parte chiede la nostra Carta. E poi sono state fermamente impedite, nel territorio modugnese, installazioni di impianti potenzialmente inquinanti e nocivi per la salute, come industrie chimiche e inceneritori”.

La Costituzione è un formidabile off limits al potere, a meno che non si tratti di “quel potere che si esercita per negarlo non per accumularne vantaggi per l’istituzione, tanto meno per sé”. Il potere dei più forti è invece, senza concessione alcuna, respinto dalla Costituzione. Fondamento sempre fermo nell’operato di Nicola Magrone, che ha stanato e contrastato forsennatamente il potere anche, e soprattutto, là dove, quasi superstiziosamente, ne viene negata la presenza, come nelle aule di un tribunale. Tra i casi più conosciuti di cui, da magistrato, si è occupato, c’è quello dell’uccisione della piccola Palmina Martinelli bruciata viva perché non voleva prostituirsi.

Nicola Magrone in posa con il fratello Mino e l’inseparabile gatto

“Con le “edizioni dall’interno” – raccontava Magrone a Mario Dilio – pubblicammo, nel 1984, Fatti tuoi. Cronaca di un omicidio negato. Il libro conteneva gli atti del processo per l’omicidio di Palmina Martinelli, la ragazzina che venne bruciata viva e che, alla fine del processo, venne ‘condannata’ per calunnia, naturalmente (lo dico senza ironia che sarebbe fuori posto e senza senso) ‘alla memoria’. Di quella vicenda, di quel processo, di quel libro non voglio parlare. Fu, quella, un’esperienza che segna la vita dell’uomo e del giudice e che resta come una macchia sinistra e di una tristezza infinita su tutto il sistema giudiziario italiano. Ricorderai che Palmina denunciò in punto di morte a me, ma prima ai medici, agli infermieri e a tutti quelli che le rivolsero qualche domanda, i suoi assassini. Alla fine, gli imputati furono assolti e di lei si sentenziò che aveva mentito, che si era dato fuoco da sola e che aveva accusato deliberatamente due giovani innocenti. Anche per questo, naturalmente, subimmo, subii, una sorta di linciaggio e un tentativo grossolano di procedimento disciplinare. Certo non fu questa ‘appendice’ istituzionale e giornalistica a spaventarmi; mi spaventò la verifica ‘sul campo’, se ne avessi avuto bisogno, dell’impossibilità di difendere in un’aula di giustizia una ragazzina bella, giovanissima, povera, senza diritti, carica di speranze ingenue… ricordo la sua flebile voce riecheggiare nell’aula della Corte di Assise dopo che ero riuscito a farne ascoltare la registrazione. Penso che sbagliai a difenderla in quell’aula e a pretendere che fosse creduta e rispettata: fu letteralmente dilaniata da un apparato che guardava altrove e che non si accorse nemmeno di lei”.

Circolano degli slogan appiccicosi sulla bellezza che, come è stato detto, oggi non più può salvare il mondo, ma deve essere salvata. E lo si può fare, ancora, soltanto all’interno della nostra Costituzione.

Nella foto in alto, Nicola Magrone scomparso lo scorso 28 aprile a Modugno