Ciò che resta e ciò che scorre. Ci ammalia e fugge via. Scivolando sulla carta, attraverso il colore, inciso, stampato, immaginato, sognato… ambito. Scoperto e attraversato. Parte di sé o parte del noi, pescato dal mito o nella grandiosità della natura, tra le ali fragili di vite lievi o nei colori abbaglianti di anfratti tropicali. Palpiti digitali, messaggi cifrati incisi nella roccia, depositi organici, eroine trionfanti, concrezioni ataviche, gabbie emozionali, espressioni intime e presenze inquietanti.
Questo e molto altro in Segni, la mostra d’arte contemporanea dei giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti di Bari allestita presso il Museo Archeologico di Santa Scolastica a Bari e curata dai docenti del Dipartimento di Arti Visive Fabio Bonanni, Giuseppe Carlucci, Maria Alessia Colacicco, Vito Cotugno, Patrizia D’Orazio, Raffaele Fiorella, Michele Giangrande, Mauro Antonio Mezzina, Magda Milano, Giusy Petruzzelli, Rosanna Pucciarelli, Roberto Sibilano e Grazia Tagliente.
Sul progetto, una mirabile sintesi tra prospettiva e passato che integra tecniche eterogenee e sensibilità multiple, facciamo una riflessione con una delle docenti coinvolte, Patrizia D’Orazio, artista affermata, delicata e raffinata, come l’installazione che ha proposto in sinergia con i suoi studenti.
Opera il cui titolo, Archivio fragile, racchiude l’essenza stessa della performance del gruppo Ecosistema: un’installazione di dimensioni variabili con stampa calcografica a tecnica mista e xilografia. Anche la scelta del supporto, quasi impalpabile, carta riso tarlatana e filo di cotone, ben racconta questa immersione in una sorta di registro segreto e cifrato, silenziosamente allusivo, dal gusto vintage e amabilmente incantato. Un’estensione di rotoli delicatamente riposti e cuciti l’uno all’altro, perfettamente armonici, eterei nella loro percezione materiale e visiva.
Un’estetica del piccolo, che traduce la poetica dell’impercettibile, puntando sull’incommensurabile ricchezza che ci appartiene, così come sulla responsabilità di prendercene cura.
Patrizia, questa mostra vede allievi presentati da maestri. Quanto di te c’è nei lavori del tuo team?
La mostra che mira a valorizzare gli studenti iscritti o laureati di recente all’Accademia di Belle Arte di Bari. Noi docenti nonché artisti di questa istituzione siamo sempre coinvolti nella formazione e nella selezione dei giovani allievi. Il lavoro presentato dai novantasei studenti da me selezionati e raggruppati sotto il nome Ecosistema, supera la materia che insegno, Tecniche dell’incisione – Grafica d’arte: si tratta, infatti, di un’installazione ambientale che prende in prestito dalle mie ricerche personali una quota di ispirazione, trasferita a quella dei giovani che sono stati indirizzati, ognuno con la propria sensibilità, ad esprimersi sul concept del progetto dal titolo Archivio fragile, che unisce storia e ambiente, includendo appieno le tradizionali tecniche incisorie.
Quali gli influssi dell’arte contemporanea che riscontri nei giovani studenti?
I giovani potenziali artisti mi confortano: pur con tanta tecnologia a disposizione, hanno ancora voglia di “sporcarsi le mani”, mostrando curiosità verso le tecniche più tradizionali. Come nel caso delle stampe d’arte realizzate attraverso processi di incisione che risalgono al ‘300 – ’400, xilografie e calcografie, incise rispettivamente su legno o metallo e stampate a mano, una ad una. Tutto questo è ancora possibile grazie all’interesse e all’entusiasmo degli studenti che si avvalgono delle tecniche apprese per poi usarle con una iconografia contemporanea e spesso sperimentale.
Da dove provengono gli stimoli espressivi che ispirano la tua ricerca e, quindi, il tuo insegnamento?
Dalla conoscenza e dalla cultura artistica, dalla quantità di letture specifiche e, soprattutto, di mostre e musei visitati. Le arti visive si nutrono di visione giorno dopo giorno, museo dopo museo: il gusto si affina, si fa più consapevole e sofisticato, si comprendono cose che prima erano incomprensibili. Ma non basta guardare, bisogna saper osservare, fino a quando si vede arte ovunque intorno a noi, anche dove gli altri non la vedono. Inoltre, spiego agli studenti che gli stimoli espressivi vengono molto anche dal lavoro quotidiano. Da un’esperienza artistica ne nasce un’altra, in un lungo percorso di ricerca.
Com’è stata allestita la mostra Segni? Quali la genesi e le collaborazioni?
La mostra è stata concepita tra maestri del dipartimento di Arti Visive, anche per dare la giusta visibilità all’istituzione ed in particolare, appunto, allo storico dipartimento, che è stato e resta il caposaldo creativo di tutte le accademie a livello nazionale e internazionale. E’ stata fortemente voluta dal direttore Giancarlo Chielli e dalla collega Rosanna Pucciarelli, investita degli aspetti organizzativi. Ogni docente ha selezionato e proposto studenti con opere diverse, mentre nel mio caso gli studenti hanno contribuito ad un’unica opera collettiva. Un lavoro che, in realtà, non ha visto coinvolti solo gli allievi della scuola di Tecniche dell’incisione – Grafica d’arte ma anche quelli di tutte le altre scuole, compresi gli studenti Erasmus.
Ci spiega il senso e il valore dell’opera realizzata?
In primo luogo, vorrei sottolineare che Archivio Fragile dialoga perfettamente con la struttura che l’ha accolta, il Museo Archeologico di Santa Scolastica a Bari. Inserita tra due ali di teche archeologiche, ha predisposto ad una ricostruzione rinviando ad un antico archivio storico, lungo 13 metri e costituito da più di cento rotoli di carta riso e tarlatana, avvolti a modo di papiri o antichi documenti in pergamena. Su ogni rotolo in carta sono stampate a mano immagini di natura, insetti, erbe, fiori, ciò che in natura è piccolo, realizzate tramite incisione a mano su matrici di zinco, legno e linoleum. Si tratta di calcografie e xilografie, che sono i processi di incisione e stampa più antichi. In ogni caso, al di là delle tecniche utilizzate, la poetica dell’opera reclama attenzione sui temi più sensibili dell’attualità: la sostenibilità ambientale e la crisi dell’ecosistema mondiale. Archivio Fragile è un’opera dalla delicatezza oggettiva che è resa ancor più evidente dalla sua semplicità, dovuta alla cifra stilistica del segno in nero su bianco con pochissimi interventi di verde bosco e terra rossa.
Tu sei un’artista affermata. Ritieni che per essere competitivi sulla scena contemporanea sia sufficiente curare solo la qualità delle opere?
Come si evince dalla descrizione dell’opera Archivio Fragile, la qualità e la cura della tecnica o la padronanza della stessa non sono l’unica attenzione da riservare al lavoro. Ritengo, anzi, che per quanto la padronanza tecnica sia importante, l’eccessivo virtuosismo possa distrarre dai contenuti se non addirittura risultare stucchevole. Molto dipende, ovviamente, dal tipo di ricerca; ma i contenuti sono da ritenersi importantissimi. L’arte è in continuo divenire ed è per questo che la qualità segue l’humus, l’espressività e lo stile evolvono perché al servizio delle idee.
I riferimenti autobiografici influenzano le tue scelte stilistiche?
La vita vissuta, il quotidiano, gli affetti hanno sempre un ruolo per gli artisti. Ed io non ne sono immune. Rappresento ciò che sono, anche inconsapevolmente, anche nell’astrazione. Spesso nella mia arte ho coinvolto la mia vita e i miei stati d’animo, come a volte emerge in maniera evidente, specie nelle sperimentazioni fotografiche, mentre altre volte traspare dai colori e dalle forme che utilizzo ma in modo più impercettibile. Come nella pittura o nella produzione incisoria e in bianco e nero.
In questa mostra sei tu il maestro. Qual è stato, invece, il tuo maestro e cosa ti ha insegnato?
Devo a Michele Depalma la mia sintesi e l’attenzione al colore. De Palma è stato un grande colorista che ha spaziato nella sua ricerca. Uno studioso appassionato, che ha saputo immergersi nella pittura, giungendo sempre ad una sua sintesi personale e fortemente simbolica. Da studentessa ero affascinata dalla sua arte e devo ammettere che lo sono ancora. Nella grafica d’arte devo, invece, molto a Carlo Presicci: in perfetta sintonia con gli insegnamenti di Depalma, mi lasciava sperimentare e mi apprezzava. In seguito ho incontrato un incisore giapponese Yoshi Takahasci, trapiantato in Austria, presso l’Accademia Internazionale di Salisburgo che ho frequentato: un grande artista e un incisore del colore, con il quale il mio percorso formativo è stato completato in maniera armonica.
Sono in corso nuovi progetti dell’Accademia?
Sono da poco rientrata da Istanbul, dove sono stata in missione con la collega di storia dell’arte Giusy Petruzzelli per accordi bilaterali con la Nisantasi University. Dopo il progetto La Pittura Ovunque, realizzato nella sede dell’accademia di Mola di Bari con una mostra di studenti, laboratori aperti, workshop, performance e videomapping, ci siamo recati presso la riserva marina di Torre Guaceto, in provincia di Brindisi, per disegnare all’aperto e cogliere le suggestioni di quel luogo incontaminato. Queste iniziative coinvolgono sempre gli studenti del dipartimento di Arti Visive, del quale faccio parte con la scuola di grafica d’arte.
E i tuoi progetti personali?
Sono orientata ad una ripresa della pittura, che avevo accantonato per dare maggior spazio alle sperimentazioni fotografiche, alle installazioni, alla grafica e al disegno in bianco e nero. Dopo il lungo periodo di oscurità, pandemia e angosce di varia natura, avverto la spinta ad un ritorno alla pittura e alle vibrazioni cromatiche.
Nella foto in alto, “Archivio Fragile”. Nelle altre immagini altre opere esposte al Museo archeologico di Bari nella rassegna “Segni”