Un vero, grande pastore dedito alla cura del proprio gregge

Tra impegno pastorale e alto magistero, il ricordo di mons. Enrico Nicodemo, in vista del cinquantenario della scomparsa, arcivescovo di Bari dal 1952 al 1973

Il prossimo 27 agosto saranno trascorsi cinquant’anni dalla scomparsa, dopo una lunga malattia a soli 67 anni, di mons. Enrico Nicodemo, una tra le figure più carismatiche e influenti non solo della diocesi di Bari ma dell’intera Chiesa nazionale. Nell’imminenza dell’anniversario e in vista delle celebrazioni che si preannunciano, proviamo a tratteggiarne l’alto ministero episcopale, evitando di cadere in un ossequio retorico e formale, puntando, invece, sul recupero della memoria storica del suo intelligente, illuminato e illuminante apostolato.

A distanza di cinquant’anni, la sua figura, la sua statura intellettuale, l’energia con cui seppe interpretare la sua missione a favore della comunità che gli era stata affidata sono ancora molto vive in quanti lo hanno conosciuto e amato. Egli è stato un vero, autentico pastore, seguito e venerato da tutto il suo popolo. La figura di un grande padre.

Il suo magistero si rispecchia fedelmente in quanto Giovanni dice di Gesù: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e dò la mia vita per le pecore” (Gv 10, 11-18). Immagine bella, intensa, commovente di Cristo, pronto a dare la vita per il proprio gregge. Un’immagine antica e preziosa, tratta dal capitolo 34 del libro del profeta Ezechiele: “Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia”.

Proprio quanto mons. Nicodemo ha fatto con i suoi figli della Chiesa di Bari. Condusse il popolo di Dio a lui affidato, lo fece riposare, andò in cerca di chi si era smarrito riconducendolo all’ovile, ebbe cura delle pecore malate e delle grasse e forti. Da autentico pastore e non come chi, sempre citando Giovanni, “vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore” (Gv 10,11-18).

Nato a Tortorella, un piccolo centro in provincia di Salerno, il 29 gennaio 1906, giunse a Bari per sostituire il card. Marcello Mimmi trasferito a Napoli. Era stato consacrato vescovo a soli 39 anni e assegnato alla diocesi calabrese di Mileto, retta dal 1945 al 1952. Fu arcivescovo metropolita di Bari e Canosa dal 1952 al 1973. Ventuno anni di intenso e luminoso lavoro diocesano, negli anni difficili del dopoguerra e della ricostruzione del paese, che a Bari coincise con l’avvio della zona industriale e la costruzione della centrale termoelettrica dell’Enel, benedetta proprio da Nicodemo.

La consacrazione episcopale di mons. Nicodemo, l’8 aprile 1945. Dpinto di G. Fatigati

Per la sua autorevolezza e la sua profonda formazione teologica e pastorale, fu nominato da Paolo VI vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana (1966-1972), delegato pontificio per la basilica di San Nicola di Bari (1968-1973) e amministratore apostolico di Altamura e Acquaviva delle Fonti (1969-1973). Quest’ultima responsabilità, nonostante il ruolo nazionale di Nicodemo, non condusse all’unificazione delle tre diocesi. I tempi non erano ancora maturi. E, comunque, fu un altro il riassetto poi stabilito per quelle diocesi.

Nicodemo scelse come primo collaboratore e vicario generale il dinamico mons. Michele Mincuzzi, divenuto nel 1966 vescovo ausiliare di Bari e nel 1974 vescovo di Ugento e Santa Maria di Leuca e, infine, nel 1981 arcivescovo di Lecce. Di lui si ricorda il grande impegno a favore dei braccianti di Puglia, degli operai delle fabbriche e del porto di Bari: “una delle pochissime voci di meridionalismo pastorale del Novecento”, come si è scritto. Il 30 ottobre 1982 è mons. Mincuzzi che consacra vescovo, nella piazza di Tricase, il primo pastore della diocesi unificata di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi: quel don Tonino Bello di cui è in atto il processo canonico di beatificazione.

Nel cuore del suo ministero episcopale a Bari, Nicodemo venne convocato da Giovanni XXIII insieme a 2.450 vescovi di tutto il mondo al Concilio Ecumenico Vaticano II, che si svolse dall’ottobre 1962 al dicembre 1965.

Alla morte di Giovanni XXIII, il 3 giugno 1963, toccherà a Paolo VI la missione di portare a compimento ed avviare quanto elaborato e stabilito dal Concilio: le tante e importanti riforme in campo biblico, liturgico, pastorale, ecumenico e disciplinare nonché nell’organizzazione della vita interna alla Chiesa. Liturgie che passano dal latino alla lingua parlata, altari rivolti verso il popolo, messali tradotti in lingue moderne, l’utilizzo insieme all’organo di altri strumenti idonei nelle celebrazioni liturgiche, tanto per citare alcune significative novità. “Al Concilio sono partito conservatore, sono ritornato riformatore!”: è quanto Nicodemo ebbe a dichiarare una sera, nella piazza di Sammichele di Bari, a conclusione di una solenne processione.

Mons. Michele Mincuzzi (a sin.) accanto all’arcivescovo di Bari, mons. Enrico Nicodemo

Il Concilio segnò una grande svolta nella vita della Chiesa, specialmente tra i giovani dell’Azione Cattolica. Grazie anche alle figure di alcuni grandi intellettuali, come in terra di Bari, il prof. Luigi Larocca che s’impegnò a spiegare ai giovani pagina per pagina, comma per comma tutti i sedici i documenti conciliari: le quattro “costituzioni” (Sacrosanctum concilium, Lumen gentium, Dei Verbum, Gaudium et spes) seguite da i nove “decreti” e le tre “dichiarazioni”.

La Chiesa anticipò la sua risposta ai nuovi tempi che il Sessantotto affrontò con la ribellione e la lotta di una nuova generazione, fatta di studenti e operai, alle istituzioni e ai valori tradizionali. I giovani al potere! Un’ondata di forte contestazione politica e sociale che, purtroppo, in molti casi sfociò in estremismo e violenza: la stagione del terrorismo di cui, tra gli altri, fu vittima, l’on Aldo Moro di cui Nicodemo era stato grande e sincero amico.

Il Concilio rilanciò il cammino ecumenico, riscoprì il valore dell’uso comunitario della Bibbia, della Parola di Dio, del Popolo di Dio, dei laici, indicando l’esigenza di una generale riorganizzazione della parrocchia e delle diocesi, con l’introduzione dei consigli di partecipazione. Un processo lungo e impegnativo, in tanti casi osteggiato in altri frainteso con inopportune fughe “in avanti”.

La casa del clero di Bari, voluta da mons. Nicodemo

Mons. Nicodemo guardò con molta attenzione alla crescita civile e allo sviluppo economico e sociale della città di Bari, sede di una università sempre più prestigiosa e, ancora, all’avvio delle autonomie regionali e allo sviluppo urbanistico del capoluogo, che “informò” con la sua lungimirante azione pastorale mediante la costruzione di sedici nuove chiese parrocchiali.

Le sue lettere pastorali sono veri trattati di pastorale, autentiche indicazioni operative alle comunità parrocchiali che curò e amò profondamente. I seminaristi e i preti furono la pupilla dei suoi occhi, amati e curati singolarmente e personalmente. Come pure tutti i sacerdoti e, in particolare, quanti da lui furono ordinati, che ne portano nel cuore il ricordo indelebile e infinita gratitudine. La realizzazione del nuovo seminario diocesano e della casa del clero testimonia, in modo concreto, la dimensione della cura che Nicodemo ha avuto per questi suoi figli prediletti.

La centrale termoelettrica di Bari, benedetta dall’arcivescovo mons. Nicodemo

Un apostolato il suo che per quanto aperto alle novità dei tempo fu esercitato sempre con la massima aderenza alle direttive della chiesa. Basti ricordare, a questo proposito, l’enorme clamore suscitato dalla singolare esclusione del sindaco socialista di Bari, Giuseppe Papalia, e della giunta socialcomunista al completo dalla processione in onore di San Nicola. Una decisione frutto della rigorosa applicazione del decreto del Sant’Uffizio di scomunica, nel 1959, di comunisti e socialisti.

In realtà, quelli furono gli anni in cui si posero le basi del “cammino parallelo” della chiesa e della politica verso un disegno convergente di governo del paese: il concilio ecumenico Vaticano II segnò la grande svolta della chiesa nel mondo e in Italia; la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista con Aldo Moro ed Enrico Berlinguer avviarono quel dialogo che, se pur lentamente e tra mille ostacoli, determinò quella stagione di fecondo incontro tra elettori di diversa matrice ideale di cui ancora oggi si avvertono i benefici.

Le celebrazioni del cinquantesimo anniversario della scomparsa di Nicodemo siano, dunque, una preziosa occasione per riconoscere al presule, fuori da ogni retorica e con sincero e oggettivo rispetto dei fatti, la straordinaria fecondità della pastorale, tradotta nei segni di quel ministero episcopale, che ancora oggi – vivificati dal vento rinnovatore del Concilio – continuano ad essere una vera rendita per tutta la chiesa barese.

Mons. Tonino Bello con papa Giovanni Paolo II

Nicodemo, Mincuzzi e don Tonino Bello sono pietre miliari non solo della chiesa pugliese ma di tutta la chiesa italiana: punto di riferimento, anticipatori profetici di quel vasto movimento che ha dato origine all’attuale dimensione di Chiesa, grazie alle scelte di papa Francesco rivolte alla “tutela della casa comune”, dei poveri, delle periferie, della pace.

Da loro, da questi tre pastori giganti della fede, continuiamo ad attingere come a sorgente di acqua pura per realizzare, come afferma Papa Francesco, proprio attraverso il Sinodo che con grande affanno tiene banco nella chiesa dei nostri giorni, quel “sogno” di chiesa “inquieta nelle inquietudini del nostro tempo”.

Nella foto in alto (tratta dalla pagina fb “Bari tanto tempo fa”), in piazza San Ferdinando a Bari l’8 marzo 1953, da sin. (a mezza figura) mons. Loiacono, mons. Ferdinando Sgambetterra, mons. Enrico Nicodemo, don Barracane, don La Ginestra e don Crudo.