Sono proprio i “cattivi maestri” a fare la buona scuola

Mistificare il pensiero di don Milani, come fa Marcello Veneziani in un suo articolo, significa arrecare un ulteriore danno all'istituzione che si pretende di redimere

Devo al sempre provocatorio (diciamo così) Marcello Veneziani un ritorno alla parola di don Milani, dopo il suo articolo La nociva utopia di don Milani, pubblicato il 26 maggio su La Verità. Articolo che riprende un altro scritto (quasi interamente ricopiato) del 25 aprile 2017 (per la serie le bugie hanno le gambe corte ma si ripetono a distanza di anni) e ancora un altro dell’11 ottobre 2008, nel quale il giornalista racconta di essere stato a Molfetta e di aver assistito ad una rivolta capeggiata dal prof. Isidoro Mortellaro (un vero giacobino, non c’è che dire!) a difesa del priore di Barbiana che (cito Veneziani) “sfasciò l’istruzione”.

Bene, un grazie va detto a Veneziani: perché leggerlo ci aiuta a capire “quello che non siamo, quello che non vogliamo”. E, comunque, come i miei maestri mi hanno insegnato, considerato che chi non s’indigna ha già smesso di vivere e chi non combatte un’ingiustizia – per di più perpetrata contro chi non c’è più – è de facto complice, qualche riflessione l’argomentare di Veneziani la merita.   

Ripercorro, dunque, alcuni punti del suo intervento del 2017 (l’originale… di cui quello del 2023 è una sintesi) e provo a evidenziarne le mistificazioni.

“Di don Milani ho il rispetto che si deve agli idealisti in buona fede; ma insieme nutro la diffidenza che si deve al loro devastante idealismo, alla loro generosa e nociva utopia. Si, perché furono negativi gli effetti delle sue buone intenzioni in termini di educazione, scuola e morale”, scrive Veneziani. Quindi parimenti dovremmo castigare Giulio Natta (Politecnico di Milano) e Karl Ziegler (Istituto Max Planck), premi nobel per la scoperta della polimerizzazione e l’invenzione della plastica che oggi inquina i mari? O Enrico Fermi, e i ragazzi di via Panisperna per l’invenzione del reattore nucleare nel 1934 che poi portò alla bomba atomica? E continuiamo col telefono, la televisione… Castigare dunque le intenzioni e non il cattivo uso che poi l’uomo ha fatto di quelle intenzioni/invenzioni?

“Altri idealisti in buona fede contribuirono in quegli anni a gettare le basi del nostro presente (gettare le basi qui sta per gettarle davvero, sostituendole col nulla); ad esempio l’anti-psichiatra Basaglia che animato dal benevolo furore di liberare i pazzi dai manicomi e dalla follìa che riteneva frutto dei muri ospedalieri, mise i pazzi in mezzo alla strada, gettando nella disperazione loro e i loro famigliari”. Veneziani si intende anche di psichiatria? Troppo lungo affrontare anche questo argomento. Gli consiglio un libro semplice semplice ma illuminante: Semplicemente eroi. Franco Basaglia il re dei matti di Davide Morosinotto: si parla di familiari tutt’altro che disperati.

“O Pannella, che ingaggiò con la sua pattuglia radicale tante battaglie animate da fervore ideale, che produssero una società più bastarda ed egoista, permissiva e mortifera, in forma di aborto, droga e suicidi, più contorno di trans e omo”, prosegue Veneziani. Anche inutile soffermarci sugli aggettivi “permissiva”, “mortifera” con cui la società viene definita e che si riferiscono all’acquisizione di diritti oggi considerati imprescindibili, come quelli al divorzio (L. 898 del 1970) o all’aborto (L. 194 del 1978). Sul “contorno” mi taccio perché più omofobo e sessista di così non credo ci possa essere.

“Tutti idealisti, persone di qualità, in buona fede, convinte di liberare l’umanità e migliorarla. Tra loro spicca don Milani… Sognava una scuola non dei ricchi ma di tutti, con il professore uguale ai suoi alunni, dialogante, senza bocciature e senza autorità, perché “l’obbedienza non è una virtù”. Un pastrocchio senza precedenti. Della serie come mentire e sapere bene di farlo ma perpetrare nella bugia. Don Milani non voleva il professore uguale ai suoi alunni. Egli è stato l’anticipatore di tecniche educative ormai classificate e riconosciute come la peer education, la game based learning o la flipped classroom che richiedono sempre un docente che sa come guidare il gruppo classe e a quale obiettivo arrivare.

Sulla disobbedienza il discorso non può essere chiuso in quella frase,  decontestualizzandola. La disobbedienza nasce nel contesto militare ed è in relazione agli obiettori di coscienza e si estende ad una scuola, ad un’idea di scuola (si veda La scuola della disobbedienza) che secondo don Milani deve essere fucina di vita. “Lettera a una professoressa è l’esito di una scrittura collettiva e rappresenta ancora oggi, a mezzo secolo di distanza, una delle espressioni più alte di una pratica purtroppo assai rara nella scuola, luogo privilegiato di incontro, in cui maestro e allievi si mettono in gioco insieme creando cultura”, scrive Franco Lorenzoni. Più che disobbediente è una scuola “corsara” nella quale si riscrivono i codici educativi; un modello di scuola steineriana nella quale i ragazzi capivano che se “il problema degli altri è uguale al mio… sortirne tutti insieme è la politica”.

“La scuola di oggi che onora don Milani e non certo il modello della scuola di Gentile, fa assai più schifo della scuola di allora; la scuola che non premia i meriti e le capacità, che non seleziona e non è fondata sull’autorevolezza del docente, prepara sempre meno alla vita, non educa, non migliora i ragazzi e non suscita spirito di missione nei docenti; non produce alunni più liberi ed uguali ma più bulli e prepotenti”. “E tutto questo declino della scuola odierna sarebbe colpa di don Milani? Di quel pastore posto alla guida di un paesino di 113 abitanti, che leggeva l’Apologia di Socrate e i Vangeli ma anche l’autobiografia di Gandhi e le lettere del pilota che aveva gettato la bomba atomica su Hiroshima? Che faceva recitare i Sei personaggi e La giara di Pirandello, Goldoni Molière e I promessi sposi, colorare la carta della Palestina ai tempi di Cristo, proiettare La corazzata Potemkin, ascoltare le sinfonie di Beethoven, guardare il cielo con un enorme telescopio, spiegare la Costituzione italiana, sviluppare fotografie, dipingere i quadri, vedere Ladri di biciclette e ascoltare i discorsi di Churchill?” (dalla prefazione di Pietro Citati a Lettera ad una professoressa, Mondadori 2017)

E trent’anni di Mediaset, la rivoluzione dei social, l’accesso dei più piccoli ai cellulari, il fallimento dell’autorità genitoriale (“Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta” di Matteo Lancini, l’ultimo in ordine di pubblicazione, per non parlare degli studi di Bauman) dove li mettiamo?

“È una scuola che non ha ridotto le distanze tra ricchi e poveri ma le ha ingigantite […] Al mio liceo il preside era figlio di contadini e da ragazzo faceva il contadino pure lui; e il professore di lettere era figlio di trovatelli. Grazie alla loro tenacia e alla loro capacità, si erano fatti strada; il latino per loro non era una forma di oppressione di classe, come sostenevano gli allievi di don Milani”. Colossale falsificazione se è vero che don Milani difese lo studio del latino in una lettera inviata ad un giornale in risposta alle parole del ministro della pubblica istruzione on. Rossi che voleva differenziare gli studi tecnici eliminando lo studio del latino (leggi qui).

“La selezione dei più bravi aveva permesso il loro riscatto, la loro affermazione. I seguaci di don Milani chiesero di abolire i grembiuli, ritenuti strumenti di oppressione e di irreggimentazione; e così sono risaltate le differenze di classe tra i figli griffati della classe agiata e i poveracci di borgata”. Quindi sarebbe un grembiule a garantire l’uguaglianza tra tutti? E i vestiti “diversi” a evidenziare di contro le differenze? Non i commenti/giudizi dei genitori, il bombardamento dei media/influencer, la tempesta consumistica che fanno scattare il confronto e il giudizio verso e tra gli esseri umani?

“La conoscenza della lingua italiana era un modo per uscire dalla loro origine umile e contadina e integrarsi. La valorizzazione del dialetto e del gergo quotidiano, che voleva don Milani, invece li restituisce alla loro condizione di partenza e al turpiloquio delle periferie degradate”. Gli studi sui dialetti, l’immenso patrimonio immateriale dell’Italia oggetto di catalogazione e valorizzazione, tutti i riti e le forme del folklore tutelati nelle feste popolari e patronali… questi sconosciuti per Veneziani.

“E il professore che un tempo godeva di prestigio e autorevolezza, è stato ridotto al rango di un poveraccio, a metà tra l’animatore di villaggio e la colf, o nel migliore dei casi l’istruttore di palestra e scuola guida. È sceso nella scala sociale, fino a costituire un antimodello, ciò che i ragazzi non vogliono diventare. Insomma la brutta scuola d’oggi è figlia dei begli ideali di ieri. […] Vorrei che don Milani fosse riconosciuto per la sua forte personalità e la sua grande idealità ma fosse riconosciuto come un cattivo maestro. A giudicare dai frutti, non dalle intenzioni”. Insomma, tutta colpa di questo uomo, di questo maestro coraggioso che è stato testimone (parole del presidente Sergio Mattarella) di una straordinaria pedagogia della libertà?

Una curiosità per chiudere. Nel lontano Giappone si lavora alla riforma della scuola: e a quale modello ci si ispira? Proprio alla scuola di Don Milani. Lo ha raccontato una docente di quel paese ad Agostino Burberi, presidente della Fondazione Don Milani. E non mi pare che in Giappone la scuola sia permissiva o non punti sul merito.

Nelle foto, don Milani con i suoi ragazzi alla scuola di Barbiana