Un giornalismo di qualità per vincere la guerra alle fake news

Al termine dell'anno scolastico, gli studenti dei Licei "Einstein - Da Vinci" di Molfetta raccontano l'esperienza formativa del pcto svolto con Primo piano

Nell’era del web 4.0 in cui Internet e i social network decidono sempre più la modalità di comunicare e informarsi, resta alta la fiducia in una professione, il giornalismo, che è, prima di tutto, approccio con la gente, relazione umana, empatia, racconto, narrazione. Una professione che ha una grande capacità: essere generativa di storie e di testimonianze che possono ancora far sognare le nuove generazioni, sempre più inclini a informarsi su Instagram e TikTok anziché recarsi in edicola ad acquistare un quotidiano, incidere nel tessuto culturale di una società, influenzare positivamente la politica e contribuire alla costruzione del bene comune. Con uno sguardo che non celebra in modo entusiastico e acritico l’arrivo di ciò che è innovazione, ma fa il debito discernimento tra quello che è un rischio e ciò che può essere un’opportunità.

La narrativa e la disinformazione circa l’invasione russa dell’Ucraina ha avuto ripercussioni negative nel nostro Paese dove, in certi ambienti informativi, è circolata la vulgata da bar, sempre più in voga sui social, secondo cui in Ucraina avviene un conflitto per procura da parte degli Stati Uniti, mentre l’Europa sarebbe una spettatrice impotente. Semplicemente una narrazione falsa e smentita dai fatti, ma molto comoda per Mosca perché finiva per mettere sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito. Dinanzi alla negazione della libertà di stampa e all’oppressione del regime putiniano, è necessario conoscere e ascoltare la voce di giornalisti e reporter coraggiosi che documentano sul campo la realtà della guerra con i suoi orrori e le sue atrocità. Affinché si riesca a distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è.

Da sinistra verso destra: le docenti tutor interne, prof.ssa Rosa Depinto e prof.ssa Olimpia Rana, assieme al dott. Pier Girolamo Larovere, tutor esterno e vice direttore di Primo Piano

Partendo da questi obiettivi, Primo piano ha promosso un percorso per le competenze trasversali e l’orientamento (Questa non è una fiction: verità e fake news del giornalismo al tempo della guerra russo-ucraina) con il Liceo classico e scientifico “Albert Einstein-Leonardo da Vinci” tramite il suo vice direttore Pier Girolamo Larovere. Il progetto è stato sostenuto con passione e risoluzione dalla dirigente scolastica prof.ssa Giuseppina Bassi, dalla referente del pcto prof.ssa Mirella De Bortolo e delle docenti tutor, prof.sse Olimpia Rana e Rosa Depinto.

In concreto, le attività si sono svolte nelle seguenti modalità. Incontri settimanali a scuola, nei quali la conoscenza teorica delle nozioni base riguardanti la storia del giornalismo, la deontologia professionale e le fake news sulla guerra russo-ucraina si è alternata ad attività laboratoriali. Nella fattispecie, realizzazione di cartelloni attraverso la nota tecnica di ascendenza dadaista del cet up, al fine di ripercorrere in ordine cronologico la storia dei principali protagonisti del giornalismo riflettendo, in maniera divertente e creativa (historia ludens), sui problemi che la società di ogni tempo ha posto alle diverse generazioni di cronisti.

Durante il debate inscenato presso la palestra della scuola, suddivisi in squadre ben strutturate, gli studenti hanno argomentato in maniera efficace e avvincente i pro e i contro di ciascuna tesi nel rispetto dei tempi, dei mezzi e delle modalità prestabilite, guidati dal tutor Pier Girolamo Larovere che prima ha assegnato loro i temi del confronto. Con i loro interventi, i relatori e i ricercatori delle varie squadre hanno imparato ad esporre punti di vista contrastanti affinando le proprie abilità dialettiche sul modello degli oratori della Grecia e della Roma antica i quali, con i loro discorsi pubblici nelle piazze, affascinavano la platea di ascoltatori persuadendoli della bontà e della giustezza delle proprie ragioni.

Nelle pagine che seguono, sono riportate le interviste realizzate dagli studenti delle classi 3^ALS e 3^ALC, i quali, con passione ed entusiasmo, hanno sperimentato dal vivo l’attività professionale del giornalismo d’inchiesta. Gli elaborati prodotti dagli alunni sono l’esito di un lavoro di ricerca, verifica e selezione del materiale notiziabile attraverso la consultazione di fondi affidabili e attendibili. Soprattutto durante la visita alla redazione di Primo Piano, gli alunni hanno maturato esperienze professionali e competenze utili a interpretare adeguatamente un presente sempre più incerto, nell’ottica di un orientamento verso future scelte lavorative consapevoli e motivate. A riprova che il giornalismo può e deve educare i giovani al pluralismo delle idee e alla gradazione qualitativa delle notizie. Di modo che questi ultimi, fiduciosi nella credibilità del cronista professionista, si informino consapevolmente in piena autonomia.

 

Le buone notizie, acqua potabile della democrazia

Gli studenti della 3 ALS e 3 ALC dialogano con Piero Ricci, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti, sull’evoluzione della carta stampata tra presente e futuro.

Giornalista professionista dal 1995, a lungo redattore di Repubblica presso la redazione di Bari, collaboratore de L’Espresso e delle redazioni pugliesi Telesveva e Telebari, nel 2021 il bitontino Piero Ricci è stato rieletto presidente dell’Ordine dei giornalisti della Puglia. Un secondo mandato il cui inizio è coinciso con la fase più acuta della pandemia da Covid-19. Quando, all’interno della società civile aveva già preso piede una “seconda pandemia”, parallela e sovrapposta alla prima: l’infodemia. Vale a dire quel mix, alle volte infernale, di informazioni scientifiche e pseudo-scientifiche non validate o interamente false. Abbiamo imparato a chiamarle fake news.  

Piero Ricci (a sinistra), Presidente dell’Ordine dei giornalisti della Puglia, risponde alle domande degli studenti

Al pari dei virus, anche queste storie inventate di sana pianta (o bufale) possono essere altamente contagiose, sia perché molto ben camuffate sia in quanto giocano su emozioni, panico, insicurezza dando spazio al risentimento e al complottismo. Proprio durante la pandemia abbiamo visto come i social abbiano messo sullo stesso piano le verità e le peggiori menzogne. Bugie numerose e dure a morire – le presunte cure contro il Covid raccomandate sui social senza alcuna verifica della loro efficacia hanno ucciso molte persone in numerosi paesi. Giusto per rinfrescarci un po’ la memoria.

Ma il sensazionalismo della rete, piuttosto che con l’informazione, va più a braccetto con la propaganda. Come quella della Russia che, da quando ha invaso l’Ucraina, si è distinta per la repressione violenta della libera stampa sostituita dall’apparato di informazione del regime: sono fiorite a profusione affermazioni propagandistiche incredibili sulla base delle quali Putin ha giustificato, agli occhi della propria gente, le peggiori nefandezze. Basti solo ricordare la terribile scelta di dare il via a un’invasione battezzandola, con feroce eufemismo, “operazione militare speciale”.

Cosa significa informare? Cosa hanno cambiato la pandemia e l’attuale guerra tra Russia e Ucraina nel nostro modo di informare? Quanto vale l’informazione? In futuro saremo ancora in grado di distinguere il vero dal falso? I giornalisti verranno irrimediabilmente sostituiti da automi oppure rimarranno attori irrinunciabili della democrazia, garanti della verità? A partire da questi grandi interrogativi, gli studenti delle classi 3 ALS e 3 ALC, sotto la guida del tutor esterno Pier Girolamo Larovere hanno intervistato il presidente Ricci presso il Liceo “Einstein-da Vinci” in occasione del progetto PctoQuesta non è una fiction. Verità e fake news del giornalismo al tempo della guerra russo-ucraina’.

Quale verità ricerca la professione giornalistica? Ne esiste una sola o tante?

Premesso che lo scopo di un giornalista è raccontare in modo chiaro, semplice e diretto i fatti così che siano fruibili ad un ampio pubblico, la funzione propria del giornalista è la ricerca della verità possibile e responsabile rispetto alla comunità. Nell’approcciarsi alla questione della verità, occorre avere uno sguardo lucido e pragmatico, in quanto la realtà che raccontiamo deve avere un interesse generale. Per un giornalista l’obiettività è tutt’altro che un valore assoluto e immutabile, in quanto ciascuno interpreta i fatti a seconda dalla propria sensibilità culturale. Verità sostanziale dei fatti e onestà intellettuale, in un contesto di lealtà e buona fede nei confronti dei lettori, sono obblighi inderogabili per chi fa informazione. In ossequio a quel principio costituzionalmente garantito che è il diritto di cronaca: del cronista di informare e del singolo ad essere informato.

Le agenzie internazionali restano ancora fonti d’informazione affidabili? Potrebbero, in futuro, essere affiancate dai social media?

Credo si stia già andando in questa direzione. Se è evidente che oggigiorno un giornalista può attingere a più fonti d’informazione, e che dunque non si può più prescindere dai social per comunicare fatti, idee e opinioni, è altrettanto vero che le agenzie di stampa, prendiamo l’Ansa o l’Agi, continueranno ad assolvere la loro funzione ma in parte, come medium tra i tanti e non più in forma primaria ed esclusiva. È più rapido ed efficace un tweet che un lancio di Ansa, quasi sempre costretta a riprendere il tweet e rilanciarlo nei modi e nei tempi che le sono usuali, quelli tradizionali. Visti i tempi sempre più accelerati, in una bulimia informativa che fagocita e tritura tutto a ritmi frenetici, alla fine, capire diventa sempre più difficile. Ed è qui che torna il ruolo fondamentale del giornalista come mediatore che orienta non solo l’informazione ma anche l’interpretazione della notizia.

Una redazione online possiede la stessa tutela garantita ad una tradizionale? E per chi fa informazione sui blog senza alcun controllo, le tutele sono le stesse?

In un clima di generale deterioramento della professione, è un po’ difficile codificarne e imbrigliarne le differenti tipologie e i molteplici aspetti. Le differenze tra una redazione online e una tradizionale cartacea pertengono più la struttura redazionale e la qualità del prodotto industriale, nel senso che un professionista che ha fatto pratica in una redazione o ha preso parte ad un master deve studiare per superare l’esame di Stato, mentre un pubblicista, se non ha una preparazione personale, impara spesso il mestiere, per così dire, sulla strada o alla scrivania ma carente di nozioni specifiche inerenti la professione. A ciò va aggiunto che una redazione online non ha da sostenere i costi di produzione e distribuzione del cartaceo. Dopo di che, entrambe hanno l’obbligo di comportarsi in modo conforme al decoro e alla dignità dell’Ordine di appartenenza.

Un altro momento del confronto fra Piero Ricci e gli alunni della 3^ASL e 3^ASC

In un mondo in cui le piattaforme digitali diventano sempre più mezzi di comunicazione di massa, come evolverà l’informazione? Quali saranno le opportunità e quali i rischi per i giornalisti? 

Oggi abbiamo accesso a una quantità sterminata di informazione che mai avremmo immaginato in passato. Grazie ai social le notizie si diffondono a una velocità tale che diventa possibile sapere in presa diretta ciò che accade da un capo all’altro del mondo. Se un tempo i lettori della carta stampata cercavano le notizie, oggi sono loro a comparire sui monitor dei nostri smartphone in un flusso orizzontale h24. Eppure, attraverso i social passano anche il ricorso a bugie, finzioni e reinvenzioni di sé che trasformano questi straordinari mezzi in armi letali che possono nuocere alla reputazione e alla dignità altrui. Ogni giorno siamo esposti a migliaia di informazioni, alcune vere e altre false (fake news) che distorcono la realtà. Per questo occorre un corpo qualificato di giornalisti che selezioni per importanza e per merito le notizie. Sicché l’utente, avrebbe detto Luigi Einaudi, possa informarsi e conoscere per deliberare.

Come può un giornalista svolgere al meglio il proprio mestiere senza rimetterci le penne?

Chiunque operi nel settore della comunicazione e dell’informazione è quotidianamente esposto a rischi. Per di più i nostri rappresentanti istituzionali, dagli amministratori pubblici a quelli privati passando per la gente comune, ritengono di poter comunicare direttamente saltando qualsiasi forma di mediazione giornalistica. Un politico che intenda colpire un giornalista limitandone l’autonomia impugnerà l’arma delle querele temerarie chiedendo un risarcimento economico al giornalista, colpevole, a suo dire, di non aver informato correttamente. Anche una semplice minaccia e intimidazione possono suscitare forme di autocensura che inducono il giornalista, privo di assistenza legale, a non pubblicare verità scomode se non ha le spalle coperte. Va da sé che il giornalista obiettivo non esiste, esistono solo giornalisti onesti. 

Nell’era post pandemica, alla svolta da tempo in atto (crisi economica, cambiamento climatico, migrazioni, ecc.) si è aggiunta quella innescata dalla guerra russo-ucraina. Come sta reagendo “dietro le quinte” la vostra categoria?

La pandemia ha indubbiamente innalzato il livello di consapevolezza dei lettori-cittadini circa il bisogno di persone in carne e ossa titolate a fornire una comunicazione responsabile e obiettiva. Con l’emergenza sanitaria è diventato sempre più cogente l’obbligo per chi fa informazione di affidarsi a fonti verificabili e attendibili cosicché i lettori, i telespettatori e gli utenti riescano a reperire quante più informazioni oggettive possibili per agire in piena autonomia. Soprattutto nei mesi del primo lock down, il nostro compito era spiegare la natura del virus proveniente dalla Cina e riferire ai cittadini i comportamenti giusti da adottare. Col ritorno della guerra in Europa, mi sarei aspettato un po’ meno spettacolo e più autocontrollo e moderazione. Insomma un giornalismo che, pur non esente da scontri accesi tra opinioni contrapposte, non partorisse qualcosa di più di uno slogan o un battibecco.

L’assetto del giornalismo è già radicalmente cambiato. Cosa suggerirebbe a un giovane desideroso di intraprendere la carriera giornalistica?

Sempre più urgente è la riflessione sul futuro del giornalismo. In una situazione di generale squalificazione delle professioni con il precariato che resta una piaga sociale, servirà una maggiore attenzione alla formazione dei giornalisti in funzione dei mille strumenti oggi a disposizione e al loro posizionamento sul mercato. Indipendenza, completezza e imparzialità sono possibili se si è economicamente autosufficienti. Allora la notizia si trasforma in una riflessione, poi la riflessione in un’opinione e l’opinione in un giudizio. Sebbene ancora oggi sia possibile diventare giornalisti anche solo con il possesso del diploma di scuola superiore, è fortemente raccomandabile il conseguimento di una laurea magistrale o un master di secondo livello per acquisire conoscenze e competenze. Non tanto e non solo per diventare giornalisti nel senso tradizionale del termine, ma per potersi anche cimentare nelle nuove possibilità offerte dal mercato del lavoro.

Al termine del confronto con il Presidente dell’Odg, gli studenti hanno compreso che la stampa, fra i vari mezzi del nostro sistema informativo, è il mezzo che meglio può garantire quella qualità dell’informazione, premessa indispensabile per il funzionamento della democrazia. Soprattutto oggi che impera la tendenza a credere che l’intermediazione del giornalista sia del tutto inutile, se non dannosa. Ma l’informazione non è una commodity senza valore. E la vulgata da bar che informarsi non comporti alcuna fatica, alcun impegno, che sia qualcosa che scorre davanti ai nostri occhi senza alcuna attenzione è un pericolo per la democrazia non solo italiana ma mondiale.

 

Non lasciateci soli, combattiamo anche per voi

Dall’esodo in Europa alla resistenza contro i russi, gli ucraini Denis Balabash e MykhayloVovchyk, insieme al volontario Daniele Bellofiore, spiegano perché non bisogna arrendersi alla barbarie putiniana.

Man mano che scoprivamo i massacri gratuiti sui civili inermi per mano russa, l’Italia e tutta l’Europa si sono attivati istituendo, grazie al lavoro di sindaci e cittadini, una rete di solidarietà e accoglienza per i tanti profughi che attraversavano la frontiera. Fornitura di cibo e farmaci, assistenza economica, disponibilità di alloggi e posti letto: il minimo per regalare un sorriso a uomini, donne e bambini la cui vita ha cessato di essere “normale” lo scorso 24 febbraio. Il conflitto ha innescato una reazione duplice: dell’Europa, divisa in ventisette visioni e interessi strategici nazionali, e dell’Italia, tornata anti Russia con la svolta draghiana. Una risposta all’invasione dell’Ucraina che dovrebbe essere considerata un successo, imperfetto, ma comunque un successo.

I profughi ucraini Denis Balabash (sinistra) e Mykhaylo Vovchyk (destra) dialogano con gli studenti del Liceo “Einstein-da Vinci” in videochiamata sulla piattaforma Google Meet

Interessati a conoscere dal vivo la situazione drammatica dei tanti ucraini scappati dalle bombe e accolti nelle città europee anche grazie alla disponibilità della popolazione italiana, gli studenti delle classi delle classi 3 ALS e 3 ALC hanno intervistato, in un incontro telematico su Google Meet, gli ucraini Denis Balabash e Mykhaylo Vovchyk. Animati da un’ostinata devozione per la verità, entrambi hanno testimoniato la forza e la generosità della popolazione che continua eroicamente a resistere difendendo la sua indipendenza dallo zar brutale.

In origine, russi e ucraini erano un solo popolo e parlavano una lingua affine. Quale è stata la reazione della vostra gente quando Putin ha sferrato l’attacco contro “fratelli del suo stesso sangue”?

MYKHAYLO VOVCHYK: Nessuno, davvero, si aspettava questa guerra, anche perché il legame tra Russia e Ucraina è culturalmente profondo. Anche se da sempre detesta noi ucraini, Putin si è guardato bene dal dire “andiamo a sconfiggere i nostri fratelli ucraini”, se mai ha usato la scusa della “de-nazificazione” e quella sempreverde che l’Occidente “minaccia di distruggerci”. Il fatto è che questo pazzo ha l’assoluta convinzione che gli ucraini, meglio tutti i russofoni, vadano annessi e riuniti sotto una grande ala protettrice da lui guidata. Quel 24 febbraio il risveglio è stato il più traumatico che potessi immaginare. In Ucraina, nelle settimane precedenti l’attacco, abbiamo provato a non pensare all’eventualità di una vera invasione russa ai danni di una popolazione che, fino a pochi anni fa, ci considerava amica. Tutto ha cominciato ad assumere concretezza man mano che Putin mostrava in mondovisione la sua follia e sete di sangue.

DENIS BALABASH: Putin ha attaccato l’Ucraina non ieri e nemmeno il 24 febbraio, lo ha fatto già otto anni fa, con l’annessione della Crimea. Eppure, per otto lunghi anni, gran parte della stampa occidentale ha convinto il proprio pubblico che l’annessione della Crimea – chiamata dai giornalisti stranieri “restaurazione della giustizia storica -” e l’occupazione del Donbass avessero determinate ragioni. Giornalisti, politici, diplomatici ucraini hanno gridato che i russi si erano appropriati dei nostri territori, che i “ribelli locali” avevano poco a che fare con questa cosa e che l’aggressione non era giustificata. Non sono stati ascoltati. La Russia, prima sotto gli zar, poi sotto la dittatura sovietica, ha sempre soffocato l’identità e la cultura russa. È questa la fratellanza di Putin? È così che si trattano quelli che lui ha definito propri fratelli?

Guardando le notizie in tv e leggendo i quotidiani è sorprendente trovare non solo una realtà parallela, ma spesso l’esatto opposto. Dov’è la verità e dov’è la menzogna?

MYKHAYLO VOVCHYK: La propaganda russa opera su più livelli, alcuni apertamente filorussi – penso al canale televisivo Russia Today e al sito Sputnik – e altri più ambigui tesi a delegittimare l’avversario. Il sottile messaggio subliminale è il seguente: le guerre ci sono in tutto il mondo e quella in Ucraina non è più importante delle altre. La rappresentazione perversa di un’Ucraina guerrafondaia che si ostina a combattere e a chiedere armi ha fatto breccia nella mente di molti italiani e in generale nell’ecosistema informativo dell’Occidente; ricorderete alcuni giornali i cui titoli segnalavano una linea editoriale volta ad aumentare i lettori filoputiniani e antiamericani. Non stupisce, dunque, un sondaggio di Demos & P secondo cui il 46% degli italiani ritiene che l’informazione sulla guerra in Ucraina sia pilotata e distorta, mentre il 25% pensa che le immagini siano false o amplificate per delegittimare Putin e i russi.

DENIS BALABASH: Aggiungo che, tra le cause di questo disorientamento ci sono anche l’analfabetismo funzionale, che in Italia sfiora il 28% secondo le statistiche Ocse e l’analfabetismo digitale, con oltre due terzi degli italiani che non sono in grado di usare Internet in maniera complessa e diversificata. C’è un’enorme fetta della popolazione russa che è vittima della propaganda del Cremlino e non usa altre fonti se non quelle ufficiali; non stupisce che la percezione della guerra in corso risulti totalmente distorta. Tra le tante fake news diffuse sugli ucraini, quella secondo cui sono dei fascisti. Assolutamente ridicolo: abbiamo un presidente di origini ebraiche. Non potrebbe mai accadere in una nazione fascista.

Quali saranno le conseguenze psicologiche della guerra soprattutto sui bambini? E quali i rimedi?

MYKHAYLO VOVCHYK: La guerra, questa guerra violenta, rabbiosa e distruttiva sta cambiando tutto. Lesioni fisiche e traumi, i bambini se le porteranno dietro per tutta la vita. E che dire del disagio, dell’ansia e della salute mentale dell’aver assistito a violenze estreme e a spargimenti di sangue? Questi minori si riprenderanno completamente solo quando ci sarà una pace duratura. Gli è stata strappata l’infanzia e privato l’accesso all’istruzione. Spero che il sostegno ai programmi umanitari continui, che i governi proseguano gli sforzi diplomatici per trovare una soluzione che metta fine a questo conflitto e per garantire che i diritti di tutti i bambini nei territori occupati siano tutelati.

DENIS BALABASH: È assolutamente indispensabile fornire supporto ai bambini per far fronte ai traumi riportati. A tal fine, rientrato per la seconda volta in Italia con la mia famiglia dopo aver frequentato le medie a Torino tra il 2014 e il 2015, l’estate scorsa ho aiutato un centinaio di profughi provenienti da Mariupol insegnando loro l’italiano in veste di mediatore culturale. Insieme all’associazione Memoria viva di Castellamonte abbiamo istituito appositi programmi didattici per i minori a rischio di abbandono scolastico.

La guerra in Ucraina, tra i suoi molteplici effetti collaterali, ha anche quello di sdoganare un possibile uso di armi nucleari “tattiche” da parte russa. C’è il rischio che Putin ricorra all’atomica? E in tal caso, come reagirebbero l’Ucraina e l’Occidente?

MYKHAYLO VOVCHYK: Nonostante il declino post Guerra fredda, la Russia dispone del più grande arsenale militare sulla faccia della terra. Secondo i dati dell’International Peace Research Institute (Sipri) di Stoccolma, il paese detiene il primato con 6375 ordigni. Praticamente, l’arsenale nucleare del Cremlino è una pistola con il colpo di canna puntata alla tempia dell’umanità. Al momento, la minaccia di Putin è più un avvertimento che un immediato ordine di premere il pulsante. Una mossa preoccupante, ma tale da non giustificare reazioni irrazionali. Lo zar non attaccherebbe mai un Paese europeo o della Nato, perché si esporrebbe a una rappresaglia immediata.

DENIS BALABASH: La dottrina militare russa prevede di non usare l’atomica per primi in una guerra, a meno che l’esistenza e l’integrità territoriale del Paese non siano minacciati. Più volte lo spettro atomico è stato sfiorato. Putin è sempre stato abile ad accarezzare il discorso senza esplicitarlo. Non possiamo prevedere dove si fermerà la follia di questo criminale. Resta certo che con la guerra nucleare non ci sarebbero vie di scampo e la mutua distruzione è assicurata. Gli Stati Uniti hanno ha più di una volta notato come una guerra nucleare vada evitata perché non avrebbe vincitori.

Cosa spinge il vostro popolo a resistere così tenacemente all’offensiva russa?

MYKHAYLO VOVCHYK: Chiariamo un punto fermo: non concederemo mai a Putin parte del nostro territorio. Sarebbe come infrangere la memoria dei nostri nonni, dei nostri padri e infondo anche di tutte le persone cadute per la libertà del nostro Paese in questo anno di guerra. Sarebbe sangue versato invano. Ogni bomba che cade sulla nostra terra, sul nostro Paese è una bomba che cadde sulla democrazia, per cui siamo pronti a morire anche oggi. Noi li odiamo i russi, capite? Devono sapere che noi combatteremo fino all’ultima goccia di sangue che abbiamo in corpo. Questa non è la guerra del nostro paese contro la Russia ma della la civiltà contro la barbarie di chi ammazza ogni giorno donne, bambini, civili inermi.

DENIS BALABASH: É un dovere quasi sacro partecipare alla difesa della patria. C’è un proverbio russo molto efficace: né sé stessi, né gli altri. Putin non vuole il bene del suo popolo, e allo stesso tempo vuole la distruzione e la sottomissione altrui. L’Ucraina potrà resistere ma nulla in Europa sarà più come prima. Questa guerra i russi la perderanno sul campo, vedrete. Loro possono contare sull’esercito. Noi sulla resistenza di tanti civili. “Slava Ukraini!” Mi piace chiudere con quello che dalle vostre parti è come un mantra sacro: “Onore all’Ucraina”.

 Sono le 17 di pomeriggio quando, all’improvviso, la connessione internet di Mykhaylo pian piano inizia ad affievolirsi fino a interrompersi. Tutto “normale”. Ogni giorno, intorno a quell’ora, le città di ogni oblast ucraino staccano la corrente e tolgono l’acqua dai rubinetti. Un risparmio di risorse preziose necessario per far fronte all’emergenza bellica. Gli studenti si congedano da Mykhaylo e Denis, non prima di averli ringraziati per la possibilità di conoscere, attraverso la loro testimonianza diretta, un’Ucraina sofferente e diversa da come i media troppo spesso hanno raccontato.

Il reporter Daniele Bellofiore racconta agli studenti la sua esperienza di volontario in missione umanitaria in Ucraina

Si è, dunque, palesato un terzo ospite, in collegamento dalla sua casa a Firenze. Parliamo di Daniele Bellofiore. Volontario dalla comprovata esperienza sul campo e reduce da una dozzina di missioni umanitarie nei continenti europeo e africano radio, Bellofiore ha parlato della guerra attraverso la lente privilegiata di un osservatore diretto dei fatti. Dai microfoni di Jolly Kocker Web Radio ha raccontato gli aiuti forniti ai civili sul fronte di guerra, l’evacuazione di donne e bambini, il soccorso prestato ai militari di ambo gli schieramenti, il suo impegno nell’istituire con l’associazione La terra del cuore programmi didattici per i minori a rischio di abbandono scolastico, i suoi progetti di musicoterapia.

Quando ha avvertito l’urgenza di porsi al servizio del prossimo?

Una sete insaziabile di conoscenza, l’amore per la scoperta di nuove realtà, insomma un desiderio autentico di vivere la vita come una sfida continua e avvincente sono predisposizioni acquisite fin da tenera età. Ero un giovane studente quando ho iniziato a supportare ragazzi con problemi di disabilità. E prima di partire volontario per l’Ucraina, tra il 2005 al 2017, messa su un’associazione di volontariato, sono stato in missione umanitaria in Africa orientale prestando soccorso alle popolazioni del Kenya, della Tanzania, della Ruwanda martoriate dai conflitti locali. È stato lì che, per la prima volta, ho conosciuto la miseria delle baraccopoli, ho visto esseri umani soffrire la fame e vivere in povertà. E ho capito che non potevo continuare a restare indifferente e dovevo testimoniare ciò che avevo visto con i miei occhi.

Perché ha deciso di partire volontario in missione umanitaria per l’Ucraina?

Quando è scoppiata la guerra nel cuore dell’Europa, i residenti dal quartiere ucraino di Roma, città dove vivo insieme a mia madre, mi hanno chiesto: “Daniele, servirebbe qualcuno che soccorra i nostri parenti in fuga dalla guerra, potresti aiutarci?”. Ho accettato senza esitazione e subito mi subito messo in viaggio su un pulmino noleggiato percorrendo oltre duemilacinquecento chilometri fino al confine dell’Ucraina e oltre. Senza il supporto di un amico che ha coperto le spese e finanziato la spedizione, non sarei mai riuscito a trarre in salvo ca. 160 persone.

Daniele Bellofiore nel suo studio mentre registra una puntata radiofonica per Jolly Joker Web Radio

Che situazione ha trovato in quelle terre martoriate dalle bombe di Putin?

Andiamo per ordine. Dall’inizio del conflitto mi sono recato tre volte nelle zone al confine tra Polonia, Romania e Ucraina, lungo un confine la cui linea mobile era impossibile tracciare con precisione dato il progressivo espandersi del conflitto e l’aumento vertiginoso dei profughi. Soprattutto nei primi mesi si respirava un clima di emergenza e confusione, le risorse scarseggiavano, mancavano cibo, coperte calde, posti letto, la fila di civili che a piedi attendevano di superare la dogana era infinita. Trascorrere intere giornate bombardati dal suono assordante delle sirene, dei missili che bombardavano obiettivi civili, anche a pochi chilometri da noi, è un’esperienza terribile che impatta psicologicamente e lascia aperti traumi e ferite che difficilmente si rimarginano del tutto.

Quale è stata l’esperienza che più l’ha segnata sul piano umano e professionale?

Vi racconto un episodio accaduto durante la seconda spedizioni in Ucraina. Varcata la frontiera polacca ho caricato su un pulmino noleggiato una mamma e il suo piccolo di tre mesi sopravvissuti a un lungo ed estenuante viaggio tra la neve e il freddo invernale, scortandoli in Italia dove hanno trovato ospitalità presso una famiglia di Cittadella. A un certo punto, la donna mi chiede di essere riaccompagnata a Zaporižžja, sua città natale, per ricongiungersi al marito. Non è stato facile, ma alla fine ho ritenuto giusto rispettare la volontà della famiglia e assumermi la responsabilità umana di quegli innocenti con lo sguardo smarrito e terrorizzato. È questo che fa la guerra: stravolge completamente i ritmi e le abitudini quotidiane, ci toglie gli amici, gli svaghi, la gioia di godere quelle piccole cose. Ma ci “insegna” anche a mettere in discussione tutte le nostre certezze.

Cosa possiamo fare per non rimanere indifferenti a questa guerra?

Credo che non possiamo e non dobbiamo vivere solo coltivando il nostro orticello. Aiutare il prossimo significa voler bene anzitutto a noi stessi. Per aiutare un popolo a difendersi da un’aggressione militare ci vuole il coraggio dei bambini e dei ragazzi nel trovare la forza di fare cose “da grandi”. Non lasciate mai da sole le persone che vi sono accanto e che volete bene. A cominciare dal vostro compagno di banco e dal parente più stretto. La guerra è quello che gli uomini di domani (“voi”) dovranno evitare con tutte le loro forze. Ciascuno deve fare ciò che può. Si può fare qualcosa. Sempre.

 

Grazie, studenti, per tutto quello che mi insegnate!

Tra aneddoti, poesia, e musica il prof. Enrico Galliano racconta le sue (dis)avventure di eterno ripetente agli studenti dei Licei Einstein-da Vinci.

Con Enrico Galliano si (ri)torna studenti. Un gesto che ciascuno, non solo gli insegnanti, dovrebbe sempre fare. Perché è là, dalla prospettiva tutta particolare del banco di scuola, che l’insegnamento si manifesta per quello che è. La piccolissima parte di un gesto molto più grande, molto più lungo, molto più difficile: quello di imparare a diventare grandi. C’è un file rouge ricorrente che attraversa le riflessioni del professore friuliano. Ed è il racconto di chi, entrato fin dal il primo giorno in aula con in testa idee precise elevate a certezze, se le è poi viste crollare di colpo come un castello di carte. Ma, alla fine, si è rialzato e ha cambiato prospettiva guardando il mondo con occhi diversi.

Un momento della conferenza-spettacolo del prof. Enrico Galliano con gli stduenti del biennio e del primo anno del triennio dei Licei “Einstein-da Vinci” (Fonte: Quindici Molfetta)

Divenuto famoso per la webserie di YouTube Cose da prof, animatore insieme agli studenti del movimento dei #poeteppisti che imbratta di poesia le città attraverso flashmob, tra i dieci insegnanti più seguiti sul web secondo un sondaggio de Il Sole 24 Ore, nel suo ultimo libro Scuola di felicità per eterni ripetenti pubblicato per Garzanti (2022), mettendo in fila, una per una, le sue quotidiane esperienze di insegnante nelle medie, il docente riflette sull’idea che i migliori insegnanti sono degli eterni ripetenti. Non nel senso che ripetono sempre le stesse cose – mai a scomodare il celebre motto repetita iuvant! -, bensì che ormai hanno capito che, nella vita, si è sempre e solo studenti alle prese con l’esame di maturità in quell’attimo che ancora si ha da vivere.

Nell’ambito del progetto EduchiAMO alla lettura, promosso dalla referente prof.ssa Cinzia Candelmo, assieme ad altre docenti di lettere, il prof che tutti vorrebbero (avere) avuto è stato ospite dei Licei Einsten-da Vinci dove ha tenuto, nella palestra della scuola, una conferenza-spettacolo su “alcune delle lezioni più importanti che ho ricevuto da studentesse e studenti, in tutti questi anni di insegnamento” davanti a una nutrita platea di studenti delle classi prime, seconde e terze. Un’opportunità per gli alunni di confronto e incontro generazionale a partire dalle problematiche caratteristiche di quella fase turbolenta e incerta della vita che è l’adolescenza. A porgere i saluti, la dirigente scolastica prof.ssa Giuseppina Bassi.

Al termine di uno stimolante incontro accompagnato da esibizioni musicali, performance di letture espressive, interventi letterari, poesie, video, post-it colorati dagli studenti, gli alunni delle classi delle classi 3 ALS e 3 ALC hanno ‘interrogato’ il prof Galliano, sollecitati dal racconto dei tanti e divertenti aneddoti a cavallo tra l’adolescenza e la vita dietro la cattedra.

Gli studenti delle classi 3^ALS e 3^ALC intervistano lo scrittore Enrico Galliano al termine della sua conferenza

Nel capitolo Piccola lezione sul coraggio, lei parla della linea oltre la quale si trova la terra degli alibi che possono lentamente uccidere gli esseri umani. Ritiene di averla oltrepassato quella linea? C’è speranza di tornare al di qua del confine?

Da un po’ di tempo vado convincendomi che quella linea sia davvero oltrepassabile, se volgiamo lo sguardo indietro a ciò che siamo stati. Ma per trovare il coraggio di far questo occorre passare attraverso il dolore, come mi è capitato questa estate. Da un lato, quando sopraggiunge, occorre saperlo reggere con equilibrio, dall’altro, la sfida è ricominciare daccapo a rivedere il mondo con gli occhi nuovi, adolescenziali, vergini vorrei dire. “Ci vuole molto più coraggio a vivere che a morire”: così scrisse una mia studentessa in un compito che avevo assegnato alla classe. Ero in apprensione per lei, temevo di trovare brutti pensieri, quelli più ovvi che ti puoi aspettare quando a tredici anni muore la tua mamma, e invece, a un certo punto, arrivò quella frase, come una sferzata. Ognuno di noi ha un certo punto quella linea la sorpassa. Non importa quando. Ed è come andare dall’altra parte.

Come scrive in Piccola lezione sul destino: “possiamo sempre tornare indietro”, pur tra mille difficoltà. Come può il futuro attrarci verso qualcosa che ancora non ci appartiene?

Chiamandovi a un compito, tirandovi fuori da quelle sere in cui il mondo, parafrasando la bellissima poesia che Primo Levi dedicò alla moglie Lucia Morpurgo, ci sembra “uno sbaglio di dio, noi uno sbaglio del mondo”. Spesso alcuni di voi si rassegnano all’idea che tutto sia irreparabile. Le sorti che il destino ci assegna sono sì irremovibili. Ma il destino – i tedeschi lo chiamano “ciò che non può essere altrimenti” (notwendigkeit) – è una necessità inscalfibile e, al tempo stesso, una forza che ci trascina via da un mare che non vorremmo. E che ci spinge a risalire la strada a ritroso come gocce d’acqua verso l’unico mare che sentiamo nostro. Crescendo, ti accorgi che la vita non è un libro già scritto e non è mai troppo tardi per reinventarsi. Qualsiasi stagione della vita è un’occasione propizia per tornare a fiorire di luce e di bellezza. Ma è proprio crederci la cosa più difficile.

Sfogliando le pagine del saggio si intravedono echi e rimandi a Ligabue, Cremonini, Radiohead ecc. Ci piace immaginare che ogni libro sia introdotto da una colonna sonora o da una compilation di canzoni in cui riecheggiano pagine, righe tratte da sue riflessioni. Se fosse una playlist musicale a ispirare ogni capitolo del suo libro, quale brano d’apertura sceglierebbe?

A dire il vero, non ci ho ancora pensato. Forse, il brano Sogna ragazzo sogna di Roberto Vecchioni. L’ho ascoltato stamane prima di entrare nel vostro liceo. Sono parole che non danno al concetto di sognatore una connotazione negativa, come di qualcosa slegato dalla realtà. Credo sia possibile leggerle in un altro senso: parlano di realtà che ancora non esistono, ma il sognatore vuole crearne di nuove, costruirle da zero, tirarle su dal nulla. E allora, forse, ci servirebbe una nuova parola, una che non esiste ancora: quella che descrive chi è sia sognatore sia persona concreta, chi pensa per utopie e al tempo stesso ha i piedi ben piantati per terra. Chi, insomma, nei sogni non fugge dalla realtà, ma ne immagina semplicemente una diversa, con l’idea un po’ folle di cambiare quella in cui si trova.

La copertina del saggio di Enrico Galliano, Scuola di felicità per eterni ripetenti (Garzanti, 2022)

Alla luce di quanto ha appreso nel corso degli anni dai suoi studenti, quale consiglio darebbe sé stesso ormai ex-studente?

“Sono più le cose che ho imparato io da loro, che viceversa”. Questa frase l’ha detta una volta un collega e da allora la ripeto spesso. Perché è questo che ti fanno le ragazze e i ragazzi: ti mettono davanti chiaro e lampante tutto ciò che nella vita hai sempre saputo, ma non sapevi di sapere. Da loro continuo a imparare ogni giorno la follia, le risate, l’amicizia, il rumore, la noia, l’onestà. Ogni conoscenza che l’insegnate trasferisce è sempre un atto di ri-conoscenza e gratitudine di sapere che stai per imparare qualcosa di nuovo, sempre. Varcando ogni singolo giorno la porta di quell’aula, ti rendi conto che, qualsiasi traguardo tu abbia raggiunto, per quanta strada tu abbia fatto, non sei un insegnante ma un eterno ripetente. A me stesso raccomanderei questo: non provare, Enrico, ad essere a tutti i costi come gli altri. Perché scavalcare un muretto convinto, contro ogni logica, di farcela, può far male.  

Siamo tutti eterni ripetenti perché facciamo continuamente errori. Sbagliamo. Ma proprio le cose più belle sono nate da uno sbaglio o da un fallimento. Senza il quale non avremmo avuto Steve Jobs, Richard Branson, Elon Musk e così via: tutti i grandi uomini di successo si trascinano dietro grandi fallimenti. Che, poi, sono la molla che ci fa osare un po’ di più. “Chissà, forse un giorno imparerò davvero questa lezione. Per ora, sono un eterno ripetente”. Con queste parole si chiude ciascun capitolo del saggio di Galliano.

Per quanto resti un dono misterioso ai più e inaspettato, la felicità è come un frutto non ancora maturo che attende di essere colto e mangiato. Basta intuire e sentire quell’attimo subito dopo il presto, ma subito prima del tardi. Nella mitologia greca figurava sia come divinità che come personificazione del concetto di “momento opportuno”. O, come era noto presso l’altare di Olimpia nell’antica Grecia: kairòs. Che infondo è la molla che ci fa rispondere con coraggio alla paura di vivere. Con le parole di Cesare Pavese de Il mestiere di vivere: “È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante”.

 

Nella foto, in alto, gli studenti della 3^ALS e 3^ALC del Liceo classico e scientifico “Einstein-Da Vinci” impegnati nel laboratorio di giornalismo, insieme alle docenti prof.sse Olimpia Rana e Rosa Depinto e al vice direttore di Primo piano Pier Girolamo Larovere