Viaggiare attraverso i borghi del Sud è spesso un’esperienza spirituale, laddove al termine, all’aggettivo, va riconosciuta una matrice anche (in certi casi soprattutto) laica, eminentemente ‘culturale’, di recupero cioè di tutta una fisiologia di relazioni tra la potenza sprigionante di un luogo e noi, noi che guardiamo (se ci va, quando ci va). E un luogo è detto dai suoi spazi anche nascosti, della profusione di suggestioni che ne deriva, dei paesaggi che vengono dalla geologia, dagli eventi atmosferici, dall’assoluta mano dell’uomo, agricola e politica (e spesso tutte e due assieme). Quindi, spiritualità in tutti i sensi.
La convocazione estatica di una rupe. L’abbacinante suadenza di un’alba marina. Il silenzio inebriante amato dalla civiltà delle grotte, poi riscoperto anche dalle culture religiose (e quanto si è discusso sulla dizione “civiltà rupestre”: può essere cioè “civile” l’ambito legato a vite tutt’uno con le pietre?). Tutto questo chiama determinate percezioni, indubbiamente vicine a un tipo particolare e coinvolgente di contemplazione, sorta di raduno delle situazioni in un unico appuntamento e momento. E però esiste poi la spiritualità anche afferente ad un discorso prettamente confessionale, seppur, come si accennava, anch’essa legata alla disarmante, parlante bellezza di certi luoghi.
Al Sud – e non certo solo al Sud e non certo solo in Italia – tutto questo trovi camminando per vie nascoste ed ariose insieme, erbose, principalmente appenniniche. Non sfugge la Puglia: con le grotte, si pensi a Pulsano di Monte Sant’Angelo (ci servirebbe un articolo solo su questo sublime luogo), coi monasteri eretti a sede di congregazioni ed ordini. Si pensi a tutti i presidi di fede legati ai benedettini, ai francescani, poi a quelli del ramo cappuccino e via dicendo. Diciamo Puglia per dire tutto il Sud, va da sé. E se c’è una figura che unisce spazi, raccoglimento (anche qui in tutti i sensi), spiritualità e persino -certamente nel suo caso- mistica, questa figura è Padre Pio da Pietrelcina, uomo la cui traiettoria immediatamente cognitiva su di sé delle ragioni epidermiche del sacro non ha bisogno di presentazioni, tantomeno le nostre (anche se ci proveremo, qualche riga più in là).
Padre Pio unisce poi anche le terre del Sud stesso: Campania, dove nasce; Puglia e Molise, dove vive e dove prega. I vecchi segni della presenza degli ordini mendicanti nel Mezzogiorno già medievale, tra l’altro, sono tutti qui. Il santo con le stigmate non è, infatti, solo San Giovanni Rotondo e non è nemmeno solo Pietrelcina, nel medio beneventano, suo paese di nascita ed origine. Egli è stato, durante la sua fase di formazione religiosa, in diversi monasteri delle nostre terre. Ecco, allora, quel che vi proponiamo: un cammino breve attraverso alcuni di questi borghi e paesaggi, ambiti da noi personalmente, in quasi tutti i casi, conosciuti direttamente. Ogni riferimento al cappuccino è così per noi il pretesto per un cenno ai rispettivi paesi.
Ma Padre Pio, in realtà, chi è stato? Uomo, mistico, santo. In un secolo di guerre e di materialismo ideologico e filosofico (di ogni indirizzo culturale e politico), l’umile ed insieme severo frate, assieme a pochissimi altri, di sicuro si staglia tra le massime figure della spiritualità e della mistica cristiane del XX secolo. Spiritualità e mistica, come sanno gli esperti, non sono certo sinonimi, anzi. Eppure, padre Pio riesce a sintetizzarle nella sua esperienza esistenziale. Padre Pio piace alla gente di popolo perché il fedele cristiano – lasciando ora perdere discorsi critici su eventuali eccessi e fanatismi – è, paradossalmente, un ‘materiale’, uno che vuole toccare, che vuole sentire la santità tra le mani e non solo come profumo nell’aria. Una dimensione che proviene dall’essere il Cristianesimo non tanto una filosofia o una dottrina quanto una realtà fatta carne.
Per soddisfare però questo desiderio di tangibilità si procede nella direzione della mistica, espressione di doni non riservati a tutti. Il mistico sa, sente, vive, avverte. Padre Pio ha ‘anche’ realizzato straordinari momenti di socialità, contribuendo al progresso della medicina e permettendo cure presso la celebre struttura ospedaliera da lui voluta. Ma questo è accaduto perché come premessa ineludibile c’era la fede, la fede detta ed invocata, non nascosta, anzi considerata come unico elemento propulsore di quanto poi veniva a crearsi in campi, come quello sanitario, differenti dalla fede stessa. Il progresso, anche civile, come conseguenza di un agire nel nome di Cristo. Dal Vangelo all’assistenza sanitaria e ritorno, in un circolo virtuoso in cui il valore della varietà dei carismi, valore caro a San Paolo, trova felice inveramento.
Questi aspetti vanno chiariti giacché, negli ultimi decenni, si assiste al moltiplicarsi di strutture della solidarietà attiva, ambiti voluti da sacerdoti e uomini di chiesa contrassegnati da grandi finalità manageriali ma, talvolta, dalla clamorosa aridità spirituale. Ecco perché sentiamo in tanti Padre Pio più a Pietrelcina che a San Giovanni Rotondo, più nei luoghi dove poter riflettere e sostare in silenzio, vicini all’infinitamente piccolo. Nel paese garganico trovi due spazi così: l’antica ed originaria chiesa del Convento cappuccino di Santa Maria delle Grazie (con il confessionale del frate) e i luoghi più privati del monastero. Ecco, padre Pio lo trovi lì (delle altre strutture presenti a San Giovanni Rotondo non vale la pena parlare). La mistica, inoltre, non ha età o secoli. Dunque, chi racconta storie secondo cui padre Pio sarebbe uno scampolo di medioevo capitato per caso nel ‘900 non ha capito niente della mistica, del pensiero profondo cristiano e cattolico (per come lo viveva e difendeva da ogni contaminazione anche padre Pio, che fu critico – secondo qualche testimonianza – di alcuni aspetti del Concilio Vaticano II) ed ovviamente anche del medioevo.
Da dire ci sarebbe tantissimo. Per esempio, concludendo, che un sacerdote santo, specie se mistico, lo vedi e lo ‘tocchi’ con mano soprattutto da come egli celebra il sacrificio della messa. È nota la piena compenetrazione al mistero da parte di padre Pio. La Passione rivissuta, totalmente, ancora una volta nel corpo. Parlato di padre Pio per noi e parlato di San Giovanni Rotondo, che dire di Pietrelcina (con la “e”, non si capisce perché ancora si dica in molti “Pietralcina”: misteri!)? Qui le radici genuine del frate, la sua casa natale, la famosa “Morgia”, ossia la grande pietra presente agli inizi del centro storico del paese, molto viva nei ricordi legati al giovane Francesco Forgione (questo, come noto, il nome del santo). “Salutatemi la Morgia”, soleva dire il frate ai compaesani che andavano a trovarlo in Puglia. “Ho valorizzato San Giovanni da vivo, valorizzerò Pietrelcina da morto. Tutto è cominciato lì”. Così Padre Pio.
Ma in Campania si trovano radici del mistico anche in altri luoghi. Un giovanissimo Francesco è a Morcone, alto beneventano, zona del Matese, paese oggi famoso per uno dei presepi viventi più belli del Sud. Il convento controlla una lieve altura sulla strada sotto il piccolo centro, già presepe di suo. Qui il futuro santo arriva nel 1903 per compiervi l’importante fase del noviziato. In Campania sosterrà anche per un po’ a Gesualdo (1909), piena Irpinia, altra zona, borgo famoso per un bellissimo castello, patria della famiglia del compositore ed autore di madrigali del ‘500, morto nel 1616, Gesualdo (nome non a caso) da Venosa. E Montefusco, sempre Avellino? Paese importante, vicino anche ad altra area ancora del beneventano, a sud della provincia (Calvi, San Nazzaro, San Giorgio del Sannio). Montefusco a livello politico ha spesso fatto concorrenza direttamente ad Avellino. Qui il frate in realtà stette prima, nel 1908, da suddiacono. Lo accolse il bel Convento di Sant’Egidio, cappuccino naturalmente. Se Gesualdo è Irpinia ispida (e ce n’è anche di più selvaggia, beninteso), Montefusco domina una vista più distesa, aspetto che muta in base ai colori delle stagioni.
Il Molise ha anche ospitato Padre Pio. Tre le località interessate, diverse ed in zone diverse: Campobasso, Sant’Elia a Pianisi (Cb) e Venafro (Isernia). Giovane neo-professo, nel 1905 il nostro arriva nel capoluogo regionale proprio da Sant’Elia a Pianisi, volto verso il santuario del Monte, che tanto apprezzò. Quell’anno la struttura era stata affidata ai cappuccini. La chiesa è il simbolo di quella che è definita “campobassanità”, amatissima dai cittadini. E Campobasso sorprende per la sua eleganza e per il valore di alcuni suoi musei e del castello Monforte, mole imperiosa, da raggiungere rigorosamente a piedi. Padre Pio sarà a Campobasso in almeno due occasioni mentre Sant’Elia lo ospiterà per ben tre anni, al tempo del corso ginnasiale, a seguito del cambio di monastero subito dopo la professione temporanea (Morcone, gennaio 1904). Qui siamo a pochi chilometri da Campobasso. Al convento il frate conoscerà la memoria di santità di Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, morto nel 1901, per lui figura di grande ispirazione. Il paesino non dista molto dal confine con la Puglia: la diga di Occhito e Carlantino attendono il visitatore.
È invece il 1911, il frate da un anno è sacerdote, quando egli sarà a Venafro, estremo Molise occidentale. Di ritorno da Napoli dopo una visita dovuta al suo stato di salute cagionevole, ecco i suoi quaranta giorni qui, per ritemprarsi. Venafro ha storia antica, sannitica, si staglia con una certa decisione, anche a livello demografico, rispetto ai borghetti della zona. Infine, la Puglia. Qui, oltre a Foggia, vanno citati San Marco La Catola e il Convento di Serracapriola, foggiano ultimo, dove Padre Pio approfondì gli studi di teologia. Il convento dove Padre Pio ha soggiornato è summa degli incanti semplici. Fatata l’atmosfera, radicale il silenzio. Ci siamo stati una domenica pomeriggio, era forse il 2014. Avvertimmo netta una sensazione: quel silenzio doveva piacere al frate con le stimmate, in quel silenzio egli continuava a parlare, a parlarci.