La cultura come antidoto alle mafie è il titolo delle giornate di incontro e dibattito, organizzate nei giorni scorsi dal Comune di Monte Sant’Angelo e dalla Regione Puglia, a cui hanno preso parte sindaci e amministratori locali d’ogni parte d’Italia, giunti nella cittadina garganica per la prima assemblea dell’anno di Avviso Pubblico, la rete di enti locali impegnati a promuovere la cultura della legalità e della cittadinanza responsabile.
Due giorni di eventi ma soprattutto scambio di esperienze e buone pratiche, inseriti nella cornice della sesta edizione di Michael – il festival del patrimonio culturale, spirituale e naturale di Monte Sant’Angelo – che hanno avuto il merito di ribadire con forza il valore delle cultura come l’arma più decisiva nella lotta alle mafie.
Un tema particolarmente caro a tanti intellettuali pugliesi, che offrono un apporto costante e concreto alla conoscenza dei fenomeni mafiosi nel Tacco d’Italia, indicando attraverso libri, film, arte, musica e teatro gli strumenti per disinnescarne il potenziale esplosivo. Tra questi, più recentemente e con lucida profondità di analisi, Antonella Gaeta, autrice della sceneggiatura di Ti mangio il cuore, il film di Pippo Mezzapesa che sullo sfondo di una tormentata vicenda d’amore racconta la faida sanguinaria tra due dei clan più agguerriti del Gargano. Prendendo lo spunto dagli incontri di Monte Sant’Angelo, abbiamo intervistato Antonella Gaeta.
In che modo la cultura può contrastare un fenomeno così drammatico, radicato e potente come quello della mafia garganica?
La cultura rappresenta una speciale opportunità per contrastare fenomeni criminali così gravi e pervasivi come quelli che devastano il nord della Puglia. Innanzitutto perché aiuta a far luce sui meccanismi più veri e profondi alla base di tali fenomeni – un vorticoso giro di interessi in cui sono coinvolti anche livelli insospettabili della società civile – e in secondo luogo perché ha la funzione di presentare ai cittadini modelli di vita alternativi, basati sul rispetto della vita e della legge, smantellando lo strano fascino esercitato, soprattutto sui giovani, da forme di potere che sembrano non conoscere confini e da immense fortune raccolte in poco tempo.

La sceneggiatura di Ti mangio il cuore, il film di Mezzapesa accolto da un clamoroso successo di pubblico, entra nel vivo di queste problematiche…
Sullo sfondo della storia d’amore tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e Marilena, la bella moglie del boss di Camporeale, il film illustra una delle faide più sanguinose della mafia del Gargano. La finalità del film è parlare di una mafia in realtà poco raccontata, anche se tra le più agguerrite, e far riflettere sui meccanismi che caratterizzano le organizzazioni criminali rette da violenza e omertà. Una storia che ricalca le vicende reali di Rosa Lidia Di Fiore, prima pentita di questa mafia inattaccabile, che aveva scatenato una faida sanguinosa tra clan rivali, sposando un membro della famiglia Tarantino e poi uno della famiglia rivale Ciavarella. Un film che ha riscosso un grande successo anche per l’appassionata interpretazione di Elodie, al suo esordio come attrice, e per la sapiente regia di Pippo Mezzapesa, che grazie al contrasto chiaroscurale del bianco e nero ha reso le espressioni degli attori particolarmente vivide e intense.
Si parlava della capacità della cultura di svelare le dinamiche sottese a tanti fenomeni criminali e, quindi, di promuovere una coscienza della legalità…
Il film di Mezzapesa nasce, in realtà, dall’omonimo romanzo-inchiesta edito da Feltrinelli e firmato dai giornalisti di Repubblica, Carlo Bonini e Giuliano Foschini, che fornisce una straordinaria mappatura del fenomeno della mafia garganica attraverso storie che hanno, a tratti, dell’incredibile per ferocia ed eccezionalità. Storie peraltro sostanzialmente sconosciute. Il film riprende la vicenda dell’amore proibito tra la moglie di un boss latitante e il rampollo della famiglia avversa, il detonatore che fa riesplodere una delle più cruente faide del territorio. Ma la storia mette in luce anche il coraggio di una donna, che sopraffatta dalla catena di delitti, dall’odio e dalla violenza, decide di collaborare con la giustizia, diventando la prima pentita della mafia garganica.
Come si spiega un così largo successo di pubblico?
Probabilmente dall’aver proposto nel contemporaneo una vicenda archetipica, dai tratti antichi, da tragedia greca ma anche scespiriana: l’amore impossibile tra due giovani che sfidano le regole e ne rimangono sopraffatti, e la terribile guerra che ne scaturisce. E certo un ruolo importante nel successo del film l’ha giocato Elodie, vincitrice del Ciak d’oro e il Premio Silvana Mangano all’ultimo Bif&st. Ma, ovviamente, a questo successo ha contribuito tutto il cast.
Torniamo alla cultura come leva contro la criminalità. Per entrare nella logica dei fatti narrati e poterne illustrare la potenza devastante, lei ha incontrato la protagonista reale di questa storia…
E’ stata un’esperienza molto forte, un incontro avvenuto naturalmente in una località segreta, dal momento che, ai tempi, Rosa Lidia era ancora sotto protezione insieme ai suoi figli. È stato importantissimo per conoscere i tratti della sua giovinezza, le ragioni che l’hanno portata, da ragazza, figlia di una famiglia normale e senza alcun legame con la mafia, a sposare un boss. Per comprendere com’è stato vivere in mezzo a una faida, al centro di due fuochi incrociati e, infine, per capire com’è riuscita ad affrancare sé stessa e i suoi figli da questo pesantissimo passato.
La mafia è una piaga sociale irrisolta. Quanto è importante continuare a sensibilizzare i cittadini?
Parlare di una mafia silente era l’obiettivo che avevamo in comune con gli autori del libro. Si è parlato tanto di “quarta mafia”, di “società foggiana”, abbiamo fatto incontri sul tema, altri ne faremo. Ed è stato, tra l’altro, proprio l’agire nell’ombra che ha aiutato negli anni questa mafia a proliferare, lontana dall’attenzione dello stato, nonostante alcuni coraggiosi magistrati lanciassero continuamente allarmi e appelli ad intervenire. Dunque parlarne tanto, tantissimo, è il vero strumento a disposizione di noi tutti.
La mafia è anche la vita negata a persone, spesso mamme e bambini, che hanno l’unica “colpa” di essere nate nel contesto sbagliato. La società le tutela davvero?
Rosa Lidia ha voluto salvarsi ed è stata salvata. I figli sono cresciuti in contesti sani, studiano e non hanno più respirato l’aria di violenza e di morte delle famiglie da cui provenivano. Una speranza c’è, ma è anche vero che non bisogna mai abbassare la guardia. Basta poco, un piccolo spiraglio di mancata protezione per far crollare la fiducia nelle istituzioni. Quella di pentirsi non è una scelta facile e costa tantissimo. Rosa Lidia ci è riuscita per anni e speriamo possa continuare ad essere tutelata con i suoi figli.
In alto e nelle altre foto, alcuni frame del film “Ti mangio il cuore” di Pippo Mezzapesa