Le pietre di Carlo Rosa e Francesco Speranza svelano i misteri del Crocifisso

La chiesetta alla periferia di Bitonto con il mosaico dell'attigua cappella, opera dei due maggiori artisti bitontini, conferiscono al luogo un'aura densa di sacralità

I muri spesso trasudano storia e le pietre parlano. Anzi, con iscrizioni lapidee e lettere o numeri incisi, a volte costituiscono un apparato documentale dal valore imparagonabile, vere e proprie fonti con cui è possibile tracciare il profilo storico di un edificio. Con l’ausilio di queste informazioni scolpite nella pietra è interessante, ad esempio, delineare alcune tappe fondamentali della costruzione della Chiesa del Crocifisso, e della teoria di Cappelle che una volta la fronteggiavano, purtroppo demolite e poi sostituite dall’unica cappella ricostruita, attualmente ancora visibile.

La Chiesa del Crocifisso è stata costruita, in modo magistrale, a fondale dell’omonima strada, l’antica Via Traiana: strada di traffici e commerci e tragitto più breve per raggiungere Bari, sino alla metà dell’Ottocento. Posta ad una certa distanza dalla porta principale della città antica, al bivio con la Strada del Sarago, sorgeva, una volta, isolata e immersa in un contesto di ulivi, prima che la squallida espansione urbana del secolo scorso l’attorniasse. Oltre alla straordinaria facciata a paravento dell’edificio, cattura lo sguardo la cupola, dalla singolare morfologia, poiché ricalca il modello tipico della struttura a trullo, con la copertura a chiancarelle in lastre calcaree, impreziosita da un rivestimento di maioliche decorate, sull’anello di coronamento del basso tamburo, e colorate di giallo e blu, sul cupolino della lanterna.

La Chiesa del Crocifisso e le cinque Cappelle dei Misteri, in una vecchia foto in bianco e nero

La fabbrica è stata edificata sulla preesistente Cappella del Rapestingo, di cui si conserva ancora traccia nel frammento dell’affresco collocato sulla parete di fondo della chiesa, nell’altare maggiore, alle spalle del celebrante. Nella scena compaiono solamente le figure canoniche del tema della Crocifissione: il Cristo in croce, raffigurato in modo frontale, mentre la Maddalena, genuflessa ai suoi piedi, e la Madonna, poste entrambe a sinistra, con San Giovanni Evangelista a destra, rappresentati secondo una vista a 3/4. Un’idea abbastanza precisa di come si presentava questa cappella, ce l’abbiamo grazie ad un dipinto che si trova sull’altra faccia dello stesso muro: quella rivolta verso l’interno della sacrestia. Qui, come si può ben vedere, l’antica edicola si staglia sulla città antica, riconoscibile per il Torrione e la cinta muraria, raffigurata in modo difforme rispetto alla realtà, appare come uno spazio pressappoco quadrato voltato a botte, con il fronte a capanna e la copertura anch’essa a chiancarelle.

La parete di fondo della cappella è occupata dall’immagine della Crocefissione, che però mostra un impianto iconografico differente dall’affresco interno alla chiesa, ossia la Maddalena è posta a destra anziché a sinistra, ai piedi della croce, intenta ad abbracciarla da dietro. Le due pareti laterali, su cui poggia la lamia, invece, sono arricchite da altre due figure per lato. A giudicare anche dagli ex voto affissi sul fronte, l’effigie dell’edicola doveva essere considerata dal popolo davvero miracolosa, tanto da favorirne molto il culto. È proprio in questo clima devozionale che si decide di costruire una nuova chiesa.

A sinistra il frammento dell’affresco della Cappella del Rapestingo, sull’altare maggiore della chiesa, a destra il dipinto in sacrestia che raffigura come appariva la medesima Cappella

Sul portale d’ingresso una epigrafe, in fondo, riporta in cifre romane 1664, ossia l’anno in cui ebbe inizio la costruzione. Lo precisa e chiarisce ancora meglio la lapide di consacrazione del Vescovo appartenente alla potente famiglia degli Acquaviva d’Aragona, posta internamente sul muro di sinistra, al centro della volta a crociera, sormontata anche dallo stemma nobiliare. Vale la pena, a tal proposito, richiamare per intero il contenuto di questa lapide, peraltro già egregiamente trascritto da Antonio Castellano in un suo scritto: “L’illustrissimo e Rev.mo F. Tommaso Acquaviva d’Aragona, Vescovo di Bitonto, dedicò solennemente al SS Crocifisso una chiesa, già rude antica piccola cappella che successivamente la devozione del popolo aveva preservato assieme all’immagine del Redentore contro l’ingiuria dei tempi, e la pietà dei fedeli grata per i grandi miracoli ampliò in grande tempio deciso di costruirsi il 26 aprile del 1664, iniziato il 30, il giorno 26 dello stesso mese 1671…”. Nell’aprile del 1671 quindi la chiesa è completata. Per la costruzione viene coinvolto come progettista il pittore Carlo Rosa, che concepisce  la fabbrica in ogni sua componente. La chiesa del Crocifisso è da considerare a tutti gli effetti la sua opera architettonica. Certamente il pittore aveva manifestato questo interesse per l’architettura e rappresentato le sue conoscenze, in modo strutturale, già in molti dei suoi cicli pittorici, ma qui avviene il passaggio dalla spazialità pittorica ad uno spazio architettonico concreto, reale, ed è questo ciò che rende quest’opera davvero singolare e unica, al di là della bellezza intrinseca che è propria dell’edificio.

A sin. l’epigrafe sul portale d’ingresso della chiesa, a destra la lapide di consacrazione del Vescovo Acquaviva d’Aragona, posta in chiesa sul muro di sinistra, al centro della volta a crociera

Carlo Rosa, nell’ideazione della chiesa, è condizionato da alcuni vincoli dettati dal contesto. Le limitazioni sono determinate dalla parete sulla quale è raffigurata l’immagine della Crocifissione, accolta nella nuova fabbrica come parete absidale, e dal trivio con l’antica via per Bari e la strada per il convento dei Cappuccini, che diventano rispettivamente la posizione limite per la facciata e il confine per lo sviluppo laterale. Questi punti fissi hanno stabilito a priori le dimensioni del manufatto. Oggi guardando la facciata del retro dell’edificio, a destra, giustapposte su di un muro, si possono ancora ammirare quattro delle iscrizioni lapidee che adornavano i fastigii delle cinque Cappelle dei Misteri, che nonostante la demolizione sono giunte fortunatamente fino a noi, mentre la quinta è incastonata sulla parete laterale della cappella ricostruita, che si trova tuttora all’esterno della chiesa. Dalle varie scritte incise si evince che l’anno di costruzione dei cinque sacelli è il 1739, ma non solo, che questi sono stati edificati per volontà di alcuni devoti, certi anche citati, e che le raffigurazioni all’interno delle singole cappelle riguardano i cinque misteri dolorosi, cioè quelli che segnano i momenti più significatici della Passione di Cristo: Gesù nell’orto degli ulivi, Gesù flagellato dai soldati, Gesù incoronato di spine, Gesù che porta la Croce sulla via del Calvario e infine la Crocifissione.

A sin. l’epigrafe incastonata sulla parete laterale della Cappella ricostruita, al centro le quattro iscrizioni lapidee giustapposte sul retro della chiesa, a destra la lastra marmorea posta a pavimento, a metà dell’aula liturgica

Da alcune vecchie fotografie in bianco e nero, inoltre, riusciamo ad apprezzare oltre che il contesto in cui erano immersi sia la chiesa che le cappelle, anche l’aspetto che quest’ultime avevano. Erano tutte quante interamente intonacate, e presentavano lievi differenze in facciata. Ognuna di esse era composta da un’aula quadrata, sormontata da una copertura piramidale, con un fornice sul fronte impaginato da semplici lesene. Internamente alla chiesa, in corrispondenza dell’arco che divide la crociera con la cupola, quindi al centro dell’aula liturgica, lungo il passaggio tra i banchi, una lastra marmorea posta a pavimento, ci ricorda un’altra data importante. Nel 1806 Angelo Antonio Ruggiero si fa promotore, oltre che della costruzione dell’altare maggiore della chiesa, anche del restauro delle cappelle esterne, ottenendo in cambio dal Capitolo della Cattedrale per la sua devozione, il permesso di Sepoltura per sé, sua moglie e suo figlio. Tuttavia negli anni Quaranta del Novecento le Cappelle dei Misteri sono abbattute, forse perché troppo degradate e cadenti o per motivi igienico-sanitari: non conosciamo effettivamente il vero motivo di questa decisione. Le iscrizioni lapidee collocate su ognuna di essa, come già detto, sono gli unici reperti che vengono salvati. Attualmente di fronte alla chiesa si erge solitaria la Cappella ricostruita nel 1955 per opera dell’amministrazione comunale, così come è riportato sulla lapide collocata internamente all’edicola. Il progetto pare sia stato redatto dall’allora capo dell’Ufficio Tecnico, l’ing. Domenico Binetti, in uno stile novecentista, quindi più asciutto e semplificato, diverso da quello delle cinque vecchie cappelle. All’interno, sulla parete frontale, campeggia un’opera sulla Crocifissione realizzata con la tecnica decorativa policroma del mosaico, su disegno del pittore Francesco Speranza, mentre all’esterno sulla parete laterale, che guarda verso la città antica, è sistemata l’epigrafe proveniente dalla corrispettiva vecchia cappella: “1739, Consummatum est …” (tutto è compiuto), a memoria delle ultime parole pronunciate sulla croce dal Redentore prima di morire.

A sinistra, la Cappella ricostruita nel 1955, a destra il mosaico interno realizzato su disegno di Francesco Speranza

Speranza nell’affrontare questo tema dell’iconografia classica sembra ispirarsi al dipinto della sacrestia, però come sempre, con grande maestria, introduce nella composizione dell’opera e nella collocazione delle figure un’impronta innovativa. Il protagonista ovviamente è Cristo, al centro della scena, e poi i tre “dolenti”: la Vergine, San Giovanni e la Maddalena. I primi due, con pose ed espressioni di dolore e compassione, sono disegnati di profilo rispettivamente a sinistra e a destra, in posizione corrispondente agli estremi della croce, con il loro sguardo fisso al Gesù che soccombe, sembrano offrirgli l’ultimo sostegno. Maria Maddalena, invece, inginocchiata ai piedi di Cristo, è di spalle nell’atto di stringersi alla croce: un gesto esasperato che funge da raccordo tra la rappresentazione sacra e lo spettatore, compiuto con una tale forza espressiva che segna il culmine del pathos della scena, invitando tutti alla sofferenza del momento. Speranza, inoltre, riduce la rappresentazione della Crocifissione all’essenziale, con i personaggi principali e un lembo di terra a simboleggiare il Golgota: niente deve distrarre dall’evento tutto umano. Il fondo dell’opera musiva non è color oro come nella tradizione classica bizantina, ma non è neanche dipinto di blu o di azzurro, come nelle sue pitture, è invece di color verde, il colore dominante del mondo naturale che ci circonda, che rappresenta appunto la vita che continua e si rinnova: il colore della speranza, insomma, e non poteva che essere così. Qui le pennellate del maestro sono pietrificate e cristallizzate nei frammenti delle varie tessere. Persino la sua firma non è quella solita calligrafica, ma viene riprodotta a destra, tra pietre, ceramiche a smalto e paste vitree colorate, assieme a quella della ditta esecutrice del mosaico a sinistra.

Dettagli del mosaico: a sinistra il nome della ditta esecutrice dell’opera e a destra quello dell’autore

Insomma la Chiesa del Crocifisso e la Cappella ricostruita sono la testimonianza di un’arte espressa in modo differente da due pittori, appartenenti a due secoli diversi, con opere fuori dal comune, davvero singolari. Carlo Rosa con un’opera architettonica del 600, e Francesco Speranza con un’opera musiva del ‘900 rendono questo luogo denso di memoria, che si solidifica appunto nella pietra.

Nella foto in alto, la Chiesa del Crocifisso e la cappella ricostruita. Le foto sono di Domenico Fioriello