“Uno sviluppo profondamente preoccupante e deludente”. Non usa mezzi termini Jim Rowan, ceo di Volvo, per commentare il rinvio (sostenuto anche dall’Italia) del voto sulla proposta della Commissione Europea di vietare la vendita di auto a benzina e diesel dal 2035. Il veto di Roma e Berlino (con una maggioranza, quella tedesca, tenuta “in ostaggio” dai liberali, assolutamente contrari al divieto) ha condotto finora allo slittamento del voto finale al Consiglio dell’Ue, ma ha immediatamente rivelato uno scollamento tra i governi più restii al provvedimento e le case automobilistiche che quelle vetture, a benzina e diesel, le fabbricano e le vendono. Il tema del phase-out dei motori termici – ossia l’addio alle auto a benzina e diesel – è già da tempo, infatti, al centro dei piani dei costruttori, spinti dalle normative sempre più stringenti in fatto di emissioni.
L’elettrificazione dei trasporti cosiddetti “leggeri”, come abbiamo scritto in passato anche su queste pagine, non è stata imposta dall’alto da qualche burocrate europeo ma è la soluzione indicata dagli stessi produttori di automobili come quella economicamente più vantaggiosa ed energicamente più efficiente (dopo aver valutato, ad esempio, alternative come quella dell’idrogeno, decisamente più complicata da applicare per autovetture private). Non è secondario, inoltre, il fatto che sia ormai ampiamente e scientificamente dimostrato, numeri alla mano, come le auto elettriche, se confrontate con quelle a benzina o a diesel, rappresentino un vantaggio gigantesco per l’ecologia e il clima.
Ad oggi lo scenario peggiore di utilizzo per l’auto elettrica è che la batteria sia prodotta in Cina, in fabbriche alimentate a carbone e senza economia circolare delle materie prime, e che sia guidata in Polonia (la nazione col peggior mix energetico d’Europa): anche in questo scenario, non auspicabile ma comunque possibile, le performance climatiche sono nettamente migliori dell’equivalente a benzina o diesel (circa 30% di impatto in meno). Se invece consideriamo lo scenario più virtuoso, cioè guidare l’auto elettrica in un sistema energeticamente pulito, il divario è ovviamente ancora più evidente.
Come spesso accade, però, l’incertezza politica sulle misure da adottare per accompagnare la transizione (comunque inevitabile) rischia di far più danni che altro. Considerando, specialmente, che oltreoceano l’amministrazione Biden ha approvato negli scorsi mesi un piano da 430 miliardi di dollari, l’Inflaction Reduction Act (IRA), che prevede una quantità di incentivi senza precedenti per convincere le imprese straniere (quindi anche quelle europee) a tornare a investire negli Stati Uniti, oltre a concedere robuste agevolazioni fiscali alle famiglie per convincerle a comprare prodotti green (pannelli fotovoltaici e auto elettriche, per citarne alcuni) made in USA.
Il risultato? In pochi mesi dal lancio dell’Inflaction Reduction Act gli investimenti in fabbriche di batterie e veicoli elettrici sono esplosi in Nord America. Ciò è avvenuto in risposta al requisito in base al quale, per poter applicare l’intero credito d’imposta sui veicoli elettrici, il 40% dei metalli delle batterie deve provenire dagli Stati Uniti e metà di tutti i componenti delle batterie devono essere prodotte in Nord America a partire dal 2024. Uno scenario di questo tipo, secondo l’associazione non governativa Transport & Environment, dovrebbe rappresentare un input per l’UE a intervenire per snellire le regole sugli aiuti di stato per l’erogazione delle risorse alle industrie del settore della mobilità elettrica, spesso caratterizzate da processi di approvazione molto lenti e farraginosi. L’Unione Europea, sostengono da T&E, dovrebbe introdurre un’agenda di semplificazione in ottica green, in modo che la costruzione di un impianto di batterie per veicoli elettrici non richieda lo stesso tempo di realizzazione di una centrale a carbone.

La concorrenza degli Stati Uniti, ovviamente, rischia di avere effetti negativi anche sull’Italia. Quasi la metà (48%) della produzione di batterie agli ioni di litio pianificata oggi nel nostro paese, secondo le stime fatte da Transport & Environment, rischia di andare incontro a ritardi, di essere ridimensionata o addirittura cancellata. Emblematico è il caso della fabbrica di batterie al litio Italvolt: il progetto, inizialmente previsto a Scarmagno, vicino Torino, e poi “trasferito” a Termini Imerese, potrebbe subire ritardi o venire ridimensionato a favore del suo gemello Statevolt in California.
L’analisi dell’organizzazione ambientalista rileva come in tutta Europa sia a rischio il 68% della capacità produttiva di batterie agli ioni di litio prevista per i prossimi anni. Lo studio mostra come 1,2 TWh di produzione europea di batterie, in grado teoricamente di equipaggiare 18 milioni di auto elettriche, sia attualmente ad alto o medio rischio di interruzione o delocalizzazione. Senza questi volumi di produzione, l’Europa non sarà in grado di soddisfare la domanda interna di accumulatori prevista per il 2030, dovendo quindi ricorrere ad ampie quote di import dai concorrenti stranieri.
La vera sfida che attende il mondo dell’automotive, prendendo atto che l’elettrificazione dei trasporti è, da ogni punto di vista, la soluzione più auspicabile, sarà quella di agevolare, attraverso la ricerca e lo sviluppo tecnologico, una transizione verso batterie più sostenibili. Molti dei metalli chiave che ne costituiscono componenti cruciali portano con sé un rilevante impatto ecologico: metalli come il litio, la cui estrazione richiede l’utilizzo di enormi quantitativi di acqua, o il cobalto, legato anche a seri problemi di violazione dei diritti umani. Bisognerà quindi lavorare per cambiare i «dosaggi» metallurgici delle batterie e ridurre progressivamente la necessità di utilizzare determinati materiali per la loro costruzione.
La vera chiave per accedere a una batteria più compatibile con l’ecologia e i diritti umani sarà però l’economia circolare. La commissione europea è al lavoro su una “battery regulation” che rappresenterà il modello europeo per contrastare lo strapotere cinese: sulla base di questo regolamento, una quota (ancora da stabilire) di metalli delle batterie dismesse dovrà essere obbligatoriamente riutilizzata. Questo passaggio aiuterà a ridurre drasticamente l’impronta ecologica delle batterie, ma ci vorrà un decennio: quando il mercato sarà arrivato a regime, le prime generazioni di auto andranno incontro allo smaltimento. Nel 2030, 400mila tonnellate di batterie arriveranno alla fine del loro ciclo di vita e saranno dismesse. A quel punto l’economia circolare sarà innescata e l’Europa muoverà il primo grande passo in una nuova era dell’automotive. Cinque anni dopo, se l’indicazione dell’Ue sarà accettata e condivisa da tutti gli Stati membri, sarà venduta l’ultima auto a benzina.
Nella foto in alto, il vicepremier e ministro delle infrastrutture e trasporti, Matteo Salvini, con l’omologo tedesco Volker Wissing.