Il tema del paesaggio, nella pittura, ha subito nel corso dei secoli una grande evoluzione: da sfondo a protagonista, esprimendo oltre che sentimenti profondi anche la sensibilità di epoche diverse. È nel corso del Settecento che la pittura del paesaggio diventa interamente protagonista ed ottiene il riconoscimento di genere autonomo, slegato dalla presenza fino ad allora indispensabile della figura umana. Le figure che popolano le opere dello scenario naturale hanno il solo scopo di animare il paesaggio, quindi sono ridotte a comparse poste sullo sfondo, capovolgendo così una gerarchia oramai consolidata, che metteva in risalto l’uomo e le sue azioni.
Sono questi i presupposti che sottendono il paesaggio di Speranza, ambientato nella Lama Balice, dal titolo Case e orti del mio paese, del 1951, che appartiene alla collezione dell’Università di Bari. Dell’immagine, in bianco e nero, tratta dal catalogo intitolato Francesco Speranza del 1971, purtroppo, non è possibile poter apprezzare la tavolozza e le tonalità caratteristiche di Speranza: davvero un gran peccato!
In quest’opera la presenza di persone risulta alquanto contenuta, infatti sono illustrati i personaggi necessari a restituire il senso dell’attività umana. Da una parte vi sono tre contadini in un orto, intenti a zappare la terra, raggiunti da una donna, che porta loro del cibo, mentre nel fondo attiguo, adiacente il trappeto della famiglia dei Basso, si assiste a qualcosa che ha dell’incredibile: qui viene fuori la vena religiosa di Speranza, che raffigura Gesù in ginocchio, con una figura angelica lasciata in bianco.
Senza dubbio è un’invenzione del maestro, che finisce col dare al racconto realistico il timbro di una nota di irrealtà, che trasporta l’osservatore in un’atmosfera onirica: la narrazione popolare si fa improvvisamente mistica. Una capacità tutta di Speranza di contestualizzare il luogo, con la presenza del trappeto, nell’episodio biblico del “Getsemani”: non a caso la parola di origine aramaica significa appunto frantoio.
Nel dipinto, ancora una volta, prevale quest’attitudine tipica di Speranza di far riflettere attraverso il paesaggio la sua fede. La natura è lo specchio con cui egli rivela la sua indole mistica: il paesaggio diviene per l’artista il luogo del cuore, del sogno. Il paesaggio rappresentato con realtà e precisione non poteva che essere reinventato dall’artista, per una perfetta aderenza alla sua visione idealizzata. La veduta, a giudicare dallo scorcio prospettico del trappeto, è presa da Piazza Castello, e più precisamente dal belvedere che si affaccia sulla lama: posto al trivio tra Via Alessandro Volta, Via Galileo Galilei e Via Luigi Galvani. A sinistra, più che a destra, emerge il costruito urbano, mediante successive quinte, con elementi isolati e volumi che, poi, via via si addensano sempre più. In primo piano vi è una vecchia cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, sormontata da una pergola di vite. Appena sopra, dopo, il trappeto della Casa Basso: la struttura che si affaccia su Piazza Ferdinando II di Borbone, da cui si diparte il fronte che si sviluppa lungo tutta Via Modugno. In alto, infine, i pini di Villa Capruzzi, ubicata su Via Palo, attribuita all’architetto Luigi Castellucci.
L’ambiente, della Lama Balice, raffigurato nel dipinto Case e orti del mio paese, ha ispirato anche un altro artista, il grande maestro Gianni Berengo Gardin: il fotografo che ha illustrato l’Italia rigorosamente in bianco e nero. Nel suo reportage sulla città di Bitonto, eseguito nel 2003, in una fotografia riprende, dallo stesso punto di vista, con un ingrandimento, il preciso e identico luogo, mostrando, con una forma di espressione diversa, una poeticità non dissimile da quella del pittore. Berengo Gardin nella fotografia, con grande maestria, mette in risalto, con intensi rapporti chiaroscurali, i campi appena arati e l’area in cui Speranza inserisce il frammento con la scena evangelica.
Si è già detto, a più riprese, dell’approccio fotografico che il pittore Speranza dimostra soprattutto nella scelta oculata del punto di vista ideale, per l’inquadratura dei suoi dipinti. Un aspetto che, in generale, vale per tutte le sue opere, ma che, nello specifico, emerge palesemente in Panorama del mio paese (clicca qui) del 1939. Abbiamo pure visto come nell’opera Paesaggio Italico (clicca qui) del 1932 nasce spontaneo il confronto con un altro grande della fotografia che è Luigi Ghirri e con la sua immagine ripresa dalla scalinata del Liceo Classico di Bitonto.
Tra questi due luoghi, della Lama Balice, rappresentati da Speranza, ve ne è un altro ripreso in una straordinaria foto, sempre di Gianni Berengo Gardin, raccolta dal “Campo dei Cinquecento”, nella quale sugli edifici, in primo piano, che si attestano sulle due diramazioni di Via Aspromonte, la strada che s’innesta su Via Castefidardo, si sovrappongono le facciate tagliate di tante piccole case, fino a chiudersi con il disegno dello skyline della città vecchia, con i tetti di grandi fabbriche: Palazzo Labini, Chiesa di San Domenico e Cattedrale. Berengo Gardin con queste sue immagini, tratte dal reportage sulla città di Bitonto, mostra chiaramente attraverso la fotografia, con i valori tonali che sono propri del bianco e nero, una poetica quasi di stampo pittorico, che per certi versi è sovrapponibile a quella di Speranza.
Allo stesso modo Speranza, catturando lo spazio fisico reale, rivela, come sempre, una capacità straordinaria di reinventarlo secondo un’originale dimensione idilliaca, restituendo con creatività un realismo magico, con una sorprendente nitidezza fotografica. Una lettura, se vogliamo, ambivalente e interscambiabile tra due modi differenti di fare arte, e fra due figure autenticamente artistiche, che non può non essere il risultato di una spiccata sensibilità artistica, anche se Berengo Gardin non ama definirsi artista, ma semplicemente fotografo.
Nell’immagine in alto, “Case e orti del mio paese” (1951) di Francesco Speranza