In Il fuoco e il racconto il filosofio Giorgio Agamben, che poco più che ventenne fu chiamato da Pasolini a impersonare l’apostolo Filippo nel Vangelo secondo Matteo, ammette che “dopo tanti anni passati a leggere, scrivere e studiare, capita, a volte, di capire quale sia il nostro modo speciale – se ve n’è uno – di procedere nel pensiero e nella ricerca. Si tratta, nel mio caso, di percepire quella che Feuerbach chiamava “la capacità di sviluppo” contenuta nell’opera degli autori che amo. […] Perché questa ricerca dell’elemento suscettibile di essere sviluppato mi affascina? Perché se si segue fino in fondo questo principio metodologico, si arriva fatalmente a un punto in cui non è possibile distinguere tra ciò che è nostro e ciò che invece spetta all’autore che stiamo leggendo. Raggiungere questa zona impersonale di indifferenza, in cui ogni nome proprio, ogni diritto d’autore e ogni pretesa di originalità vengono meno, mi riempie di gioia”.
Di questa “suscettibilità” si fa sviluppatore anche Trifone Gargano, divulgatore di classici della letteratura come Dante, Boccaccio, Leopardi, Manzoni, Pasolini, capaci, secondo lui, di generare inesauribilmente una freschezza “pop”. Per Gargano, docente di Lettere al liceo Don Milani di Acquaviva delle Fonti e all’università di Bari con l’insegnamento Lo Sport nella Letteratura, il segno “pop” della letteratura lo si coglie soltanto se si è disposti a superare finalmente la letteratura come “lett-erat-ura”. Per esempio, se si è disposti ad archiviare quel modello di lettore, purtroppo ancora tenacemente aderente al nostro immaginario, indicato da Calvino come sacro, atemporale, intoccabile.
Quella figura a cui si fa riferimento nella pagina d’inizio di Se una notte d’inverno un viaggiatore, scriveva Gargano nel suo a Scuola NON si Legge nel 2017, è ormai anacronistica. Il lettore a cui pensa Calvino (che pure aveva lanciato, con le sue “lezioni americane”, un “esalogo” per il millennio che sarebbe arrivato), un lettore, parafrasando le sue parole, rilassato, raccolto, che allontana da sé ogni altro pensiero, che chiude la porta al mondo lasciandolo sfumare nell’indistinto – quel lettore archeologico, appartenente ad un mondo ancora, dice Gargano, “lento, pausato, borghese, ottocentesco”, non esiste più.
Il lettore di oggi è, invece, “smart, veloce, simultaneo, interconnesso; egli legge con gli auricolari inseriti; legge rispondendo allo smartpone; legge dando un’occhiata al tablet; o il pc, in modalità multitasking (con più finestre aperte e con più app attive contemporaneamente); legge sullo schermo tattile e ultraveloce del suo device; legge, sì, col televisore spento (come raccomandava Calvino nel romanzo prima citato) ma non perché ne avverta il disturbo nella lettura, assolutamente no, semplicemente perché, da lettore prosumer di terzo millennio, fruitore e co-auotore di ciò che legge, percepisce il televisore come un media irrimediabilmente vecchio, lineare e non interattivo, totalmente inservibile”.
Proprio tenendo ferma questa constatazione fenomenologica del lettore contemporaneo, Gargano si dedica con impegno militante a rendere visibile la componente “pop” della letteratura, o, meglio, la sua ricezione “pop”. Una sorta di filologia del contaccolpo “popolare”, che considera parte integrante dello studio dei classici la condizione della mutevolezza storica del lettore. Dante, Boccaccio, Leopardi, Manzoni e ultimamente Pasolini, vengono restituiti con questo sguardo “basso”.
Pasolini stesso si è fatto interprete “pop” di Dante, secondo Gargano. Rilievo tra gli altri aspetti “popolari” del regista di Uccellacci e uccellini su cui si è soffermato Gargano in PPP. Pasolini Prima di Pasolini, di cui ha parlato in un incontro pubblico che si è tenuto a Bitetto, nei giorni scorsi, nella sede dell’associazione di teatro sociale Officina d’Arte (compagine che da qualche anno, animata da Vito Dalò e Anna Marziliano, svolge, con marcata differenza, un furibondo lavoro di avvicinamento al teatro con la stessa consapevolezza di Gargano, secondo cui il fruitore culturale contemporaneo non è più un consumatore passivo).
Il Dante “pop” dell’intellettuale bolognese, ha raccontato Gargano, lo troviamo, ad esempio, in una delle più belle canzoni italiane del Novecento, “Che cosa sono le nuvole”, che Domenico Modugno canta, testo di Pasolini, nell’omonimo cortometraggio del 1968. Un verso di quel testo è “tutto il mio folle amore” e “folle amore”, ha fatto notare Gargano, rinvia all’Alighieri, precisamente al verso 2 del canto VIII del “Paradiso”. “Il Pasolini che racconto nel mio libro – mi ha scritto Gargano in una nota che mi ha inviata dopo l’incontro a Bitetto – è incentrato sulla figura di Pier Paolo Pasolini prima del 1955, e dunque prima di Ragazzi di vita. Narra delle sue esperienze di supplente di scuola media, tra il 1946 e 1947, e tra il 1951 e il 1954; del suo rapporto con la Puglia, in particolare con Taranto, Bari, Gallipoli, Rodi, e altre città. Un Pasolini che, per pochi spiccioli, scriveva reportage giornalistici dalle città di mare, e che accantonava gli scritti pubblicati su vari quotidiani locali per un progettato (e mai realizzato) romanzo del mare. Racconto aspetti ritenuti ingiustamente minori, come il Pasolini maestro, il Pasolini autore di articoli su una idea di scuola, che è ancora da realizzare (il ruolo del dialetto, della poesia, dei libri di testo), nella quale il docente deve riuscire a incuriosire e a emozionare i suoi studenti. Parlo, inoltre, di Pasolini e il calcio; di Pasolini autore di canzoni per Domenico Modugno, Sergio Endrigo, Laura Betti; di Pasolini e la ri-scrittura dei primi 7 canti della Commedia di Dante (la “Divina Mimesis”). Insomma, un Pasolini inedito e lontano dalle narrazioni correnti”.
Un Pasolini altro la cui conoscenza – chissà – potrebbe portare ad intitolare qualche scuola in più col suo nome, visto che, in Italia, rileva Gargano, “appena tre istituti, dei quali un liceo di Potenza, sono stati dedicati all’autore di Poesia in forma di rosa”.
La luce, sebbene riflessa, che emana la comprensione del Pasolini Prima di Pasolini, un Pasolini per così dire minore, non tradisce quella luminosità di lucciole su cui ha accuratamente meditato Georges Didi-Huberman in un suo saggio dedicato al significato politico della luminescenza del lampiride caro allo scrittore: una luce antitetica a quella, del potere, propria dei riflettori. La luce “pop” del Pasolini Prima di Pasolini, restituisce la luce di un contemporaneo, ovvero, come scrive Agamben, di “colui che tiene fisso lo sguardo nel suo tempo, per percepirne non le luci, ma il buio. […] colui che sa vedere questa oscurità, che è in grado di scrivere intingendo la penna nella tenebra del presente”.
Nelle foto l’omaggio di alcuni street artist a Pier Paolo Pasolini, letto in chiave pop, su alcuni palazzi della capitale, nei quartieri Pigneto e Torpignattara. In alto Pasolini di Diavù, tra vari ritratti al Cinema Impero