Il fotografo che fissava l’anima della città

La mostra dedicata a Salvatore Ambrosi dalla Fondazione De Palo Ungaro, restituisce lo sguardo poetico e la devozione filiale dell'artista per la sua Bitonto

Cos’è, per dirla col salmista, la tua città perché te ne curi? Dove arriva lo sguardo acuto ed interpretativo, lì nasce un reperto che diventa cultura. Lo sa l’artista che eleva quel che era solo un dettaglio, lo sa il poeta che crea analogie tra mondi distanti, lo sa lo scrittore che ode un suono lontano e lo trasmuta in effetto narrativo.

Arriva poi nella città l’occhio fotografico. Come è arrivato a suo tempo l’occhio di Salvatore Ambrosi, bitontino, scomparso nel maggio del 2021, grande anima esplorativa nella città ed oltre, ben oltre. Sulla sua opera è stata allestita, recentemente, una mostra a Bitonto nel foyer del teatro Traetta, a cura della Fondazione De Palo-Ungaro. Finalmente, verrebbe da dire. Un’antologia di alcune tra le immagini più significative dell’artista concernenti la città (Uno sguardo su Bitonto, il titolo della rassegna), alcuni aspetti iconici del centro storico, momenti, scene rapite alla quotidianità.

La mostra è stata curata da Arcangelo Ambrosi (figlio di Salvatore) e Nicola Pice. Il testo critico è di Francesco Paolo Del Re. Foto piuttosto recenti, quelle in mostra, a fronte di un patrimonio vastissimo dell’autore, in gran parte ancora da conoscere.

Ambruosi comincia a fotografare nella seconda metà degli anni Sessanta, dedicandosi personalmente allo sviluppo e alla stampa del bianco e nero e al trattamento delle diapositive a colori. I temi principali e più costantemente svolti del suo lavoro sono l’architettura e la figura umana nel paesaggio. Tiene diverse personali e partecipa a numerose collettive. Attratto dal lato artigianale della fotografia sperimenta, nel frattempo, numerosi procedimenti cosiddetti “alternativi”. Il sommarsi di queste alla conoscenza di altre tecniche, non strettamente fotografiche, lo porta ad aprire una stamperia. Dall’inizio degli anni Ottanta questa attività lo assorbe quasi totalmente.

Presso il suo studio vengono realizzate opere grafiche per conto di artisti e gallerie. Riprende a fotografare in digitale nel 2006, con rinnovato impegno e vigore e continuando a sviluppare gli stessi temi che lo hanno appassionato in gioventù. Diceva di sé: “Amo percorrere lentamente il lungomare, specie quando si è disperso il traffico transumante e caotico dell’estate. Le rare figure che vi transitano, evase da un altro contesto, come pesci al di fuori del loro banco, hanno il fascino dell’apparizione”. Era il lungomare di Santo Spirito, da lui tanto amato e spesso teatro dei suoi giochi di sguardi e di luci, di interpretazioni del reale. “Qui ogni storia che si affaccia vive tempi troppo brevi per essere decifrata. Io tento di immaginarla rubandone qualche attimo con l’umile pazienza di un pescatore”. Ancora il nostro su Santo Spirito.

“Frequento da diverso tempo i centri storici della Puglia e della Basilicata. Sono luoghi bellissimi, densi delle suggestioni che si sono accumulate nel tempo. Posso dire che alcuni li conosco ormai pietra per pietra, eppure ostinatamente ne seguo i percorsi alla ricerca dell’emozione di un incontro. Quello che la mia mente accoglie sono figure che riconosco note e che in me risvegliano memorie, nostalgie: sono le divinità tutelari del luogo”. Ecco come l’indagatore spiega gli spazi del suo stesso agire. E poi: “Ogni centro storico ha i suoi luoghi privilegiati, i suoi scorci magici. Mi fermo a guardare e aspetto che qualcuna di loro passi. Ogni volta un caso benevolo mi regala nuovi racconti e meraviglie”. Luoghi dove potersi fermare e, forse, sognare.

“Qui il giorno non segue il giorno e non racconta sorrisi o lacrime. Qui i raggi del sole immobile disegnano le ombre per l’eternità. Qui non c’è vento che muova l’aria o che il suono di una voce trasporti. Qui non ci sono rimpianti o promesse, e nessuno ricorda nessuno”. Terre anche dell’oblio della storia.

Ma torniamo alla mostra. Delicata nell’approccio, come delicate sono le foto di Ambruosi, come delicatissima era la persona di Salvatore. Estremamente riservata, come spesso sono le persone grandi, grandi nella loro umiltà. Per questo spesso, con grande stima ed affetto civico, anche personalmente, noi – quanti lo abbiamo frequentato – ci permettevamo di spronarlo ad una possibilità maggiore di emersione del suo catalogo di bellezza e di storia antropologica delle varie storie del territorio e dei territori.

Il tempo è stato nemico. La mostra è intervenuta in questo senso, eppure molto si potrà e dovrà ancora fare per rendere sempre più pubblico o conosciuto il patrimonio di archivio di Ambrosi. Egli entrava nelle storie -lo dimostra ache la recente esposizione- col tatto con cui ha vissuto, da osservatore tanto analitico quanto poco interventista. Il cammino quotidiano di un anziano, l’angolo misconosciuto del paese, il particolare che resterà ignorato meno che nello ‘sguardo’ poetico e realistico del fotografo. Tutto è parte di un discorso seguito nel tempo da Ambruosi.

Ecco che cogli anche cambiamenti nelle attenzioni ai luoghi da parte sua: Bitonto, la Valle d’Itria, la Lucania. La sua amata Lucania. Un moto: nel senso proprio dei movimenti e poi un moto dell’anima, di quel che i luoghi e chi li vive trasmettono, ripresi ed immortalati da chi ha saputo guardare. Ambrosi un poeta dello sguardo, dunque. Tuttavia, è dal punto di vista della catalogazione civica, del ragguaglio prettamente culturale e scientifico che sarà sempre più un bene che le opere del compianto artista ‘emergano’, siano conosciute e diffuse. Lo meritano insieme la città (e le città, gli spazi, le comunità); lo meritano la sua memoria, la qualità dei suoi lavori, la sua bella e pura persona.

Le foto di Salvatore Ambrosi sono tratte dalla mostra “Uno sguardo su Bitonto”