“Perchè l’Arena è l’Arena!”

Il crollo sulla cavea della grande stella di Natale non mette in discussione la "funzione turistica" dell'anfiteatro di Verona, meritevole di ben altro rispetto

Il fatto è ormai noto. Durante i lavori di smontaggio del grande addobbo – la stella d’acciaio collocata a cavallo tra l’Arena e piazza Bra, a Verona – il pesante sostegno in acciaio posizionato all’interno dell’anfiteatro si è staccato ed è rovinato lungo la cavea, danneggiando irrimediabilmente tutti i gradoni interessati dal suo passaggio. L’intero monumento è stato sottoposto a sequestro dalla procura che ha aperto un fascicolo per danneggiamento colposo. La quantificazione dei danni è ancora in corso da parte dei tecnici dell’Area monumenti del comune e della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Verona.

La base della stella d’acciaio, caduta nella cavea dell’Arena

Sul posto, per un primo sopralluogo, si è subito recato il sovrintendente ai Beni archeologici e architettonici il quale non ha potuto che verificare lo scheggiamento di tutti i gradoni coinvolti, alludendo anche a potenziali lesioni strutturali ancora da verificare e riferendo, inoltre, che il danno cagionato è sostanzialmente irreversibile. Il restauro che ne seguirà sarà, per forza di cose, posticcio e non potrà restituirci la pietra sbriciolatasi; sostanzialmente verranno messe delle “toppe” lì dove c’era materiale durato duemila anni.

E veniamo all’oggi. E’ fuor di dubbio che questo doloroso evento dimostra, qualora ve ne fosse ancora bisogno, che l’utilizzo dei monumenti per attività che vanno oltre la visita deve essere accompagnato da grandissima attenzione e profondo rispetto, perché qualsiasi danno arrecato rappresenta una ferita non sanabile.

Ma procediamo per gradi. L’ormai discussa stella viene allestita ogni anno, dal 1984, durante le festività natalizie e ha una mole a dir poco gigantesca: è costituita da una struttura in acciaio alta 70 metri e pesante 78 tonnellate, peculiarità che l’hanno fatta finire addirittura nel guinness dei primati con la motivazione di “archi-scultura più grande del pianeta”. La ciclopica decorazione, frutto del lavoro dell’arch. Rinaldo Olivieri che la realizzò sull’idea di Alfredo Troisi, viene puntualmente installata tra l’Arena, che funge da spalla d’appoggio, e piazza Bra, divenendo in quarant’anni una “visione tradizionale” nel paesaggio urbano dei cittadini veronesi e un ulteriore punto di richiamo per i turisti a passeggio in centro durante le festività.

Una scena della Tosca, allestita all’Arena di Verona

La vista della stella, che sembra fuoriuscire dall’anfiteatro romano, crea senza dubbio un’immagine suggestiva le cui istantanee fanno da quarant’anni il giro del mondo. Ma lo spiacevole evento ha inevitabilmente spaccato l’opinione pubblica, le cui reazioni sono state sostanzialmente due: chi ha messo alla gogna la decorazione senza sé e senza ma e chi professa l’impossibilità di rinunciarvi adducendo le succitate motivazioni, legate ad una tradizione d’immagine ormai consolidata e imprescindibile.

Come in ogni situazione del genere bisogna quantomeno provare a porsi le giuste domande per cercare in qualche modo di venirne a capo. Dunque: è possibile accettare che un monumento storico di tale portata debba assolvere al ruolo di “spalla d’appoggio” per una struttura moderna così mastodontica? È accettabile che, in alcune circostanze, il patrimonio culturale debba essere “vessato” in nome di certe pratiche che nulla hanno a che fare con la natura dello stesso? E ancora: davvero non è possibile sfruttare altri punti d’appoggio, se non un edificio con duemila anni di storia, per sorreggere questa decorazione? Credo che ognuno di noi conosca, in cuor suo, le giuste risposte ad ognuna di queste domande e possa ragionevolmente essere concorde sul fatto che non ci siano motivazioni di carattere economico o d’immagine che tengano. Un’operazione del genere espone l’Arena al potenziale rischio che comportano queste manovre almeno due volte l’anno dando una sola certezza: prima o poi sarebbe successo.

A questo punto è utile fare una seria, seppur breve, riflessione partendo proprio dall’ultimo quesito posto e nello specifico dalla parola “sorreggere”. Ci troviamo nella situazione concreta in cui un monumento che già porta su di sé il peso di duemila anni di storia deve farsi letteralmente carico di un ulteriore gravoso peso. Un fardello che noi contemporanei abbiamo deciso di mettergli addosso, con motivazioni che davvero non reggono il confronto con quella che è la sua storia, natura e il profondo rispetto che questa merita. Senza voler nulla togliere all’archi-scultura contemporanea – anch’essa indubbiamente espressione del tempo in cui è stata prodotta e anche solo per questo meritevole di rispetto a prescindere dai gusti personali di ognuno di noi – sembra però che la stessa, per avere un valore e un senso di essere ed esistere, debba “approfittare” delle gloriose vestigia dell’antico monumento.

Un’immagine dell’Arena con la grande stella cometa

Sembra quasi che risieda proprio nel privilegio proibito di poter sfruttare, oltre che il contatto fisico, la suggestiva quinta scenica fornita dall’unicità dell’arena che risieda, più che altro, la peculiarità dell’opera contemporanea. Una forma di dipendenza quindi, che valorizza l’una a scapito dell’altra. Il quadro che ne emerge induce a pensare che tutto regga, in tutti i sensi, grazie a questo. Ecco che le ragioni dell’appoggio, così analizzate, oltre a rivelare l’essenza della loro dualità ci forniscono le coordinate di quella che, in alcune circostanze, sembra essere un po’ la metafora del mondo contemporaneo, facendo affiorare nella mia mente la celebre frase, perfettamente calzante in questo frangente, del filosofo Bernard di Chartres: “Siamo nani sulle spalle dei giganti”.  

Insomma, il millenario monumento è e resta grande a prescindere dall’installazione, l’archi-scultura no; lontana dal “privilegio” di salirgli in spalla sarebbe solo un enorme addobbo. A margine della doverosa riflessione bisogna però guardare in avanti e assicurarsi che questo genere di incidenti, evitabili con scelte veramente consapevoli, non si verifichi più assumendo una postura ferma a riguardo pur cercando una mediazione che tenga conto della sensibilità di tutti. L’auspicio dunque è che dopo quarant’anni di assimilazione di “prestigio per contatto” è tempo che l’archi-scultura si regga su se stessa (o a qualsiasi cosa che non sia un pezzo del nostro patrimonio culturale) magari pur restando nel contesto urbano di origine, ormai tradizionalmente consolidato in piazza Bra, mantenendo però una più che ragionevole distanza di rispetto che escluda, categoricamente, qualsiasi forma di danneggiamento futuro durante le operazioni di allestimento e smontaggio.

A costo di sembrare ripetitivi è sempre bene ricordarci che è un nostro dovere prenderci cura del grande patrimonio culturale giunto sino a noi. Abbiamo l’enorme fortuna, riservata a pochi cittadini del mondo, di esserne eredi e di poterne godere in maniera così ravvicinata e quotidianamente; tuttavia, allo stesso tempo, come cittadini italiani abbiamo la missione di fare tutto il possibile per preservarlo e consegnarlo ai posteri nelle migliori condizioni possibili, o quantomeno nelle stesse condizioni in cui ci è stato tramandato.