Cospito come Kirilov, l’anarchico che ne I demoni, di Dostoevskij, si suicida nel nome dell’ideale, dell’ideologia. So di suscitare un vespaio, con questo esordio. Cercherò di spiegarlo e, comunque, di farmene una ragione.
Il testimoniare, con la propria vita, per tutti i carcerati sottoposti a regime di 41 bis, assomiglia troppo da vicino alla risoluzione di uno dei personaggi del romanzo citato. Non solo. E’ l’intero quadro che ci viene proposto, con l’opposizione radicale tra chi nasconde il proprio cinismo sotto la coltre della fermezza dello stato a fronte dell’attacco terroristico, e chi intende resuscitare attorno, e grazie a questa battaglia, e a questo martire.
Non mi sento, personalmente, di prendere posizione a favore di qualsivoglia contendente. Non condivido l’ideologia, e la pratica dell’Internazionale anarchica e delle sue sezioni nazionali. Non fa parte della mia cultura ma, soprattutto, non rientra nell’orizzonte della mia coscienza, l’uso del terrorismo, nel nome dell’attacco allo stato. Sono esente, dunque, dagli esami cui mi voglia sottoporre qualunque paladino della fermezza dello stato.
Eviterei, però, che venga riproposto lo schema che la destra, anche in questo caso, vorrebbe usare: creare un nemico – ieri gli immigrati, oggi gli anarchici, domani chissà -, proporre soluzioni “toste”, al limite dell’infattibilità, in cambio di una diminuzione della libertà. Proprio come avvertiva Dossetti, per misurare il tasso di totalitarismo, di fascismo, nel suo linguaggio, dei regimi.
Perchè la domanda fondamentale, prima ancora di discutere della revoca del 41 bis, e per quali ragioni, è: Cospito è al 41 bis perchè anarchico? Perchè, se il 41 bis dovesse essere giustificato dagli interventi inviati da Cospito a riviste anarchiche, ci troveremmo di fronte ad una giustizia persecutoria e vendicativa. Per il resto, Cospito è stato condannato e non è contro questa condanna che ha iniziato il proprio sciopero della fame. D’altronde, e non me ne vogliano i duri e puri di entrambi i versanti, io credo che sia proprio l’irriducibilità, sostenuta come vessillo della propria coerenza, la radice dell’errore, e del male che provoca questo errore.
Nel film The King, Falstaff, amico e consigliere di Enrico V, a fronte del suo ordine di uccidere tutti i prigionieri, rifiuta di ordinare l’eccidio e dice al suo re che lui, Enrico, non è quel tipo d’uomo. Ecco, dovremmo ripetere a noi stessi che la democrazia non è quel “tipo d’uomo”, che concepisce la vittoria innanzi tutto come vendetta, e prima ancora, che ha bisogno di costruire fittiziamente nemici immaginari.
La fermezza della democrazia è quella della tolleranza, al limite, con buona pace di
Popper, della tolleranza degli intolleranti, cui viene restituita l’umanità. Che, a dispetto della loro stessa, peculiare, intolleranza, visto che anch’essi ritengono il nemico un obiettivo, e non una persona in carne ed ossa, vengono riportati all’umanità della pena, che è un po’ la sua giustificazione.
Credo che il dibattito che si è sviluppato, di cui queste note sono un’ulteriore dimostrazione, debba essere l’occasione di un ripensamento profondo dei concetti di pena, e di riabilitazione. Lo stato non può essere ostaggio di se stesso: gli spetta, e giustifica la reputazione positiva delle istituzioni e dei suoi rappresentanti, di fornire l’esempio attraverso l’interpretazione e la coerenza dei propri dettami e delle proprie azioni concrete. Dovessimo mai, come ci ricorda Gherardo Colombo, e non qualche ideologo terrorista, accorgerci che sono anche i comportamenti delle nostre istituzioni a scatenare reazioni uguali e contrarie…
Nelle foto in alto, alcune tavola delle “Carceri d’invenzione” di Giambattista Piranesi