Dante di destra? Qualcuno spieghi la mediazione linguistica a Sangiuliano

Se si ascrive il sommo poeta al campo conservatore si tradisce la verità storica dei fatti ma, soprattutto, il "garbo istituzionale" che si conviene a un ministro

La tsunamica esternazione del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, merita qualche ´interiorizzazione`, anche per far chiarezza sulla sua controversa affermazione di “Dante fondatore del pensiero di destra!”, da cui fra l’altro potrebbe derivare la conclusione sillogistica che la Società Dante Alighieri sarebbe necessariamente di destra! Personalmente confesso che, anche chi avesse una visione politica di destra, non può non dichiarare un po’ di imbarazzo di fronte a quella affermazione ministeriale. Per due motivi di fondo, in sostanza.

Il primo afferisce la sfera di una certa etica di opportunità all’interno degli stili comportamentali e comunicativi nell’agire politico, specie ad opera di chi rappresenta ed “amministra un ministero” che è anzitutto al servizio della comunità nazionale intera, che ha il diritto sacrosanto di pensare a destra o a sinistra, senza dimenticare il centro! Il ministro Sangiuliano non può non perseguire e cercare di realizzare – anche mediando con certe “posizioni dell’opposizione” – il suo programma di destra, ma che c’entra un Dante invocato come un “santone taumaturgico” per giustificare o far dimenticare i mali della politica italiana?

Che ben venga semmai un recupero salvifico del Sommo Poeta per cercare di lenire i problemi della nostra (già sua!) lingua italiana, affetta da un lato da un anchilosante e superficiale ‘parlato’, condito per lo più da un’insopportabile stereotipia, dall’altra da un uso scritto ormai sempre più approssimato e scarsamente consapevole di un’efficace ‘grammatica’ comunicativa, cioè ben al di là del corretto ossequio verso le norme linguistiche. A tal riguardo però non si potrà poi non concordare con quanto lo stesso Sangiuliano sembra voler perseguire nell’ottica di un “recupero della nostra identità nazionale”, che non può non partire da Dante. Ed anche se sembra troppo tardi è ora di tentare di avviare finalmente una politica linguistica seria. E in effetti, specie con un governo connotato ‘a destra’, una tale politica linguistica – ancor che ritardataria e tutta da pianificare, anche attraverso un confronto politico ad ampio raggio – non può che prendere comunque le mosse da Dante, ancora una volta! Forse che il ministro della Cultura voleva davvero dire questo? Se così fosse, che ben venga un “Santo Giuliano”, che sia di destra o di sinistra.

E veniamo al secondo punto: la non proprio perfetta funzionalità del contenuto del messaggio ministeriale. A mio avviso la sua ‘comunicazione’ – che consapevolmente mirava a sottolineare una così importante peculiarità di fondo all’interno di differenti visioni politiche nella nostra comunità collettiva – non ha utilizzato sufficientemente  appropriati atti comunicativi che richiederebbero innanzitutto un sapiente e più diffuso uso di strategie mitigatorie. A cominciare dal ricorso più frequente al modo condizionale piuttosto che all’indicativo, decisamente più assertivo. Oppure l’uso conciliatorio delle parentetiche, per non parlare di mezzi lessicali meno perentori (del tipo ‘forse, probabilmente, diciamo, magari, ecc.), indispensabili per ottenere un consenso collettivo superiore in virtù di una loro maggiore capacità di aggregazione.

Il non ricorso a tali strategie (su cui fra poco indugeremo ancora più da vicino) fa sì che il parlante vada incontro – senza quasi accorgersene – a quegli inevitabili rischi comunicativi che sempre sono connessi con determinate enunciazioni forti ed ancor tutte da spiegare (ed eventualmente far condividere), che perentoriamente e a chiare lettere evidenziano un mal celato tono categorico, quale sembra essere già l’affermazione iniziale del ministro: “LA DESTRA HA CULTURA, UNA GRANDISSIMA CULTURA”. Una tale espressione non può non determinare reazioni eterogenee (positive oppure sgradite se non negative) da parte di chi legge o ascolta. Eppure la ‘mitigazione’ (o ‘attenuazione’ che dir si voglia), lungi dall’essere intesa come indebolimento di valori, a  mio avviso agevolerebbe non di poco il raggiungimento degli scopi dell’interazione fra (il punto di vista del) parlante e interlocutore, nel nostro caso il lettore: né si dimentichi che questo aspetto della cortesia comunicativa (proprio nel contesto della dimensione di una costruzione del sé in un determinato tipo di attività, che qui afferisce proprio al ‘consenso politico’ nazionale!) è ben funzionale al monitoraggio delle distanze emotive fra chi parla e chi ascolta.

Di conseguenza, per tornare all’affermazione iniziale da parte del ministro, sarebbe stato forse più efficace premettere una semplice parentetica del tipo: “Com`è facile riconoscere da parte di tutti, LA DESTRA …” (lo stampatello riproduce fedelmente le parole di Sangiuliano, mentre il carattere normale si riferisce alle proposte integratorie in ottica ´mitigazione`).

A parte questi mezzi sintattici, vi sono anche verbi ugualmente parentetici (come penso, credo, immagino) che, al fine del raggiungimento della persuasione, si adattano bene come atti assertivi. A questi (e simili) mitigatori poteva ben attingere il ministro Sangiuliano con maggiori probabilità di poter convincere l’interlocutore (magari incerto), ad esempio continuando così subito dopo i due punti iniziali: “a ben guardare, penso che IL FONDATORE DEL PENSIERO DI DESTRA NEL NOSTRO PAESE È STATO DANTE ALIGHIERI”.

Questa sua affermazione forte, nel cui messaggio non si può non cogliere una certa ‘tensione’, sarebbe indubbiamente risultata meno… indigesta, e quindi più appetibile per chi la pensa diversamente, nel momento in cui si fosse ricorso ai su menzionati ma anche a tanti altri mezzi espressivi ‘di cortesia’ che, andando incontro all’interlocutore, indicano considerazione, rispetto, tatto. Il fatto è poi, ed è bene sottolinearlo, che in realtà anche o proprio questi segnali espressivi ‘cortesi’ stanno ad indicare, in fondo, calcolo se non manipolazione dell’altro per i propri fini. Noi qui abbiamo semplicemente voluto richiamare l’attenzione sul valore e quindi l’importanza comunicativa intrinseca nell’uso dei ‘mitigatori’ che, se da un lato risultano ormai altamente convenzionalizzati, dall’altro diventano sempre più necessari proprio in quei contesti ad alta densità comunicativa, quale ormai si configura il discorso politico. E questo ben al di là di quel politichese, che per assurdo spesso indulge proprio sul parlare di tutto ma anche del contrario, ad esempio dando adito a mitigatorie formule di negoziato, del tipo ci si passi il termine, se ho capito bene, magari, sbaglio o… ?

Per assurdo, proprio questa ‘ambivalenza’ della mitigazione in certi messaggi ben si inserisce all’interno delle due fondamentali e contrastanti esigenze del linguaggio, vale a dire l’espressione di sé e poi la volontà di influire sull’altro, in maniera più o meno consapevole. Ci sarebbe ancor molto da dire. Forse alla prossima puntata, da destra o da sinistra, fa lo stesso, purché con… mitigazione e rispetto!