Il corpo rappresenta un’importante area di sperimentazione del sé e di costruzione dell’identità. È la casa che abitiamo, la sede di tutte le nostre sensazioni; il monitor del nostro stato interno, dal quale possiamo trarre informazioni che molto spesso trascuriamo. Il bambino costruisce la propria identità già dai primi anni di vita. Si tratta di una scoperta che si consolida gradualmente: la sua reazione alla propria immagine nello specchio viene considerata un importante indicatore dell’emergere della consapevolezza di sé, del proprio corpo, oltreché del raggiungimento di uno stadio fondamentale dello sviluppo psichico.
L’avvento della fotocamera frontale e la comparsa delle piattaforme social hanno cambiato l’evoluzione del processo di autorappresentazione che, da sempre, accompagna la nostra specie e che si lega con forza al tema dell’identità e alla rappresentazione di sè. Il nuovo specchio allora, diviene lo smartphone, attraverso il quale, bambini e adolescenti imparano a riconoscersi, tra filtri, like e challenge. Sfidare e sfidarsi è sempre stato il modo per misurare se stessi e confrontarsi con gli altri. Il problema nasce quando viene messa in pericolo la propria vita, con comportamenti e gesti estremi che vanno ben oltre la semplice trasgressività adolescenziale, anche a causa della crescente necessità di ottenere visibilità, popolarità e riconoscimento. Le secchiate d’acqua ghiacciata, i selfie sui binari, le catene alcoliche, le passeggiate all’aperto con occhi bendati, sono solo alcune delle sfide all’ultimo respiro che conducono adolescenti e non, ad esibirsi in maniera spericolata e pericolosa. Va da sé, che le sfide più irragionevoli e rischiose, sono anche le più “proficue” e virali.
Il gusto del divertimento azzera la percezione del rischio e il gioco dell’emulazione permette di non sentirsi diversi dagli altri e fuori dal gruppo. Il fenomeno del Blue whale challange penetra silenziosamente in tale dinamica, sfruttando proprio quella tendenza adolescenziale al conformismo, fino al rischio di suicidio. L’adolescenza è un momento di profonda ristrutturazione del proprio corpo, della propria identità e dei rapporti con gli altri: genitori e coetanei.
A tal riguardo, E. Erikson ritiene che lo sviluppo della personalità segua diversi stadi che si estendono per l’intero ciclo di vita e che hanno come tema comune la ricerca dell’identità. Lo psicoanalista individua la fase dell’adolescenza come un’età di conflitto tra l’io individuale e il sé sociale; questa discordanza può essere superata attraverso l’assunzione di uno stile personale, capace di condensare le due immagini (quella che ho di me stesso e quella che mi rimandano gli altri), al fine di poter essere spontanei ed autentici. In questa fase di vita, durante la quale, l’individuo conquista le capacità e competenze necessarie ad assumersi le responsabilità future, la classica condizione di ansia, smarrimento e insicurezza, conduce l’adolescente, alla ricerca di nuove esperienze, modalità comunicative e di comportamento.
Il gruppo dei pari allora, aiuta l’individuo a definirsi mediante nuove identificazioni, soddisfando così, il bisogno di orientamento ed elaborazione di valori differenti da quelli genitoriali. Occorre sottolineare che il gruppo dei coetanei, soprattutto in presenza di rigidità e chiusura del mondo adulto, potrebbe rappresentare un ricettacolo di regole e comportamenti deleteri, a cui il ragazzo potrebbe aderire acriticamente. Per evitare tale evenienza, fondamentale diviene la capacità educativa dei genitori nel permettere la fisiologica separazione del figlio dal nucleo famigliare, una separazione accompagnata dalla simultanea abilità di offrire sostegno, comprensione e disponibilità al dialogo.
Le manifestazioni del disagio adolescenziale, spesso trascurate e interpretate come maleducazione e prepotenza, possono essere rilevate attraverso segnali di aggressività, autolesionismo, difficoltà scolastiche, disfunzioni dell’alimentazione, mancata accettazione del proprio corpo, isolamento e somatizzazioni fisiche. Gli stati d’animo depressivi o aggressivi, potrebbero anche essere all’origine di dipendenze da droghe, alcol, fino ad arrivare ad estreme condotte suicide.
Quali sono, dunque, gli elementi che esercitano fascino verso challenge estremamente pericolose? Il loro essere strumenti per la definizione della propria identità, una dimostrazione di appartenenza al gruppo, una componente di intrattenimento facilmente accessibile ma anche il desiderio di poter essere di moda, mediante sfide nuove, non considerate già viste o da “sfigato”. Dai motivi sopra esplicati, pertanto, risulta evidente, quanto sia determinante l’aiuto esterno di adulti e coetanei, allo scopo di spezzare il “circolo vizioso” in cui l’adolescente può venirsi a trovare.
Sarebbe necessaria la promozione del pensiero critico e dell’autonomia di giudizio, l’offerta di modi non pericolosi per affermare se stessi, dove la componente di sfida può essere orientata su altri format (per esempio videogiochi o sport) per reimparare a ricordarci chi siamo, ad acquisire la capacità di guardarci con i nostri occhi, senza utilizzare lo sguardo interiorizzato degli altri.