Viviamo tempi in cui si torna a mettere in discussione l’aborto, a parlare di tutela della “sacra” famiglia naturale, diritto al lavoro sì ma solo se intrecciato alla maternità, lotta all’ideologia gender. Temi che costituiscono un ostacolo all’emancipazione delle donne, se è vero che già nella nostra cultura sono talmente radicati i pregiudizi nei confronti dell’universo femminile da non permettere di riconoscere la gravità della violenza sia fisica sia psicologica che in casi estremi conduce a quella piaga drammatica che è il femminicidio.
Già prima e dopo il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, associazioni, centri antiviolenza e movimenti nati sui social si sono mobilitati per costruire un’alternativa alla giustificazione della violenza, soprattutto quando questa è occultata da luoghi comuni quali “donna angelo del focolare”, “donna al volante pericolo costante”, “chi dice donna dice danno”. Lo dice anche la fisica, no? A ogni azione corrisponde una reazione.
Una parola, quest’ultima, che fatica ancora oggi a diffondersi. Non piace. Alcuni dicono che è scorretta. Reactive: e reazione fu è, invece, il titolo di uno spettacolo della compagnia bitontina attoREmatto con la regia di Cecilia Maggio , che si propone di portare sul palcoscenico un fenomeno sempre più complesso come la violenza maschile sulle donne nel corso del tempo.
Lo spettacolo racconta sei storie, con altrettante diverse tonalità, di donne che, nella loro vita, sono cadute vittime indifese della persecuzione, di un incidente, della violenza e dei più collaudati pregiudizi, ma che grazie all’arte hanno saputo trasformare il loro dolore in resistenza al predominio del potere maschile. Già rappresentato al Traetta di Bitonto lo scorso marzo, lo spettacolo è stato riproposto alla Cittadella degli artisti di Molfetta con repliche la mattina per alcune classi del liceo Spinelli di Giovinazzo e dell’ISS “Mons. Antonio Bello” di Molfetta. Senza il supporto della FIDAPA , sezioni di Giovinazzo e Molfetta, da anni in prima linea nella promozione del talento femminile nell’arte, il successo dell’evento non sarebbe stato scontato.
Le donne su cui si accendono i riflettori – Ipazia , Artemisia , Eva Fahidi , Alda Merini , Frida Kahlo – hanno scelto di andare in un’altra direzione, proponendosi alle giovani generazioni come top models alternative per la sostanza del proprio essere e la profondità del loro agire. Calato il sipario, abbiamo incontrato la regista e gli attori (Francesco Mitolo , Simone Delvino , Alessandro Cela , Gabriella Perrini , Mariangela Vitone , Fausta Finetti , Milena Achille , Marzia Colucci , Chiara Mitolo , Giada Finamore , Savino Coviello ) per conoscere da vicino le ragioni di una piéces di grande impatto emotivo.
“È successo che con Maria Donata Acquaviva, coautrice dei testi insieme a Francesco Paolo Bonasia, c’è stata subito sintonia nel raccontare le diverse sfumature del dolore che queste donne hanno portato con sé. Punto di partenza verso un approdo più complesso quale è la reazione”, esordisce Cecilia Maggio . Che così prosegue: “Mentre nella prima stesura il progetto scaturiva dall’esigenza di raccontare la storia di cinque donne e nel cast erano presenti solo alcuni attori, nell’ultima scrittura, visto il dilagare del fenomeno come testimoniato dalle cronache, si è reso necessario allargare il racconto di questo specchio inquieto attraverso l’iniziale monologo della bambola per creare un aggancio all’attualità ”.
“Quello della violenza sulle donne è un problema reale oltre che quotidiano. Faccenda antica. Succede continuamente e succederà in futuro. Per un attore formato attraverso una lunga e robusta esperienza sul palcoscenico, la resistenza è quasi un approdo naturale che disciplina l’indole dell’attore e lo porta ad affinare sempre più le tecniche del mestiere ”, rileva Milena Achille (Alda Merini).
I monologhi di Francesco Mitolo e di Simone Delvino fungono da svelamento di quel sessismo ambivalente da cui la nostra società è affetta. Nessuno oggi sosterrebbe apertamente che è giusto uccidere una donna che, ad esempio, ha tradito il marito. Ma…Quel “ma” è il sintomo di un nodo irrisolto, il segno che nella nostra società è ancora presente l’idea di proprietà della vita delle donne. Vale per la violenza domestica, per lo stupro così come per il revenge porn. Perché la verità è che la violenza sulle donne non è un luogo comune ma, ma nello stesso tempo, lo è.
Francesco Mitolo
Simone Delvino
“Ed è questo il secondo obiettivo dello spettacolo: spostare l’attenzione da chi compie la violenza, cioè gli uomini, alla reazione femminile che trasforma quel dolore in espressione artistica. Da sempre, infatti, le donne reagiscono alla violenza del proprio tempo attraverso l’arte, la pittura, la poesia, il cinema. Arriviamo, quindi, al terzo obiettivo, quello più ambizioso: anche da una semplice reazione personale o collettiva può scaturire un cambio di rotta ”, precisa Simone Delvino .
Ecco allora che Ipazia, “donna bellissima, virtuosa e istruita, pur sapendo che il patriarca Cirillo, appoggiato dal popolo, ne avrebbe ordinato il rogo per idolatria, va incontro al suo destino, consapevole che le idee da lei propugnate le sarebbero sopravvissute in futuro. Prendere parte ad un progetto così arricchente è stata per noi una grandissima opportunità ”, affermano Mariangela Vitone , Letizia Acquafredda e Ester Ricciardi , interpreti, rispettivamente, della parte storica, drammatica e moderna della filosofa neopagana.
Ugualmente l’interpretazione scenica di Artemisia “la cui violenza sessuale è raffigurata attraverso la sua pittura nella descrizione della celebre opera ‘Giuditta che decapita Oloferne’ è stato un banco di prova per placare l’ansia di non essere all’altezza di impersonare un ruolo così ”, prosegue Gabriella Perrini .
Una scena dello spettacolo
Nell’accostarsi alle parole del Diario di una diversa , da cui è tratto il monologo di Alda Merini, Milena Achille si chiede: “Com’è stato possibile che un talento così naturale ed espressivo potesse condurre una vita asociale relegata tra le mura di un manicomio? Solo penetrando gli abissi del disordine psicologico che scaraventò per decenni la Merini negli abissi della psichiatria – condizione di cui la poetessa scelse, con lucidissimo coraggio, di farsi carico – emerge e si certifica l’incontro con la perfezione del dolore”.
Ad aprire e chiudere i monologhi delle donne, le espressioni canore di Namille e Nino Schettini . “Ad ogni replica – spiega Namille – l’ansia è sempre la stessa e le emozioni forti come fosse la prima volta. Sì è il mio brano d’esordio scritto e arrangiato da Savino Valerio mentre il mastering è stato curato di Alberto Boi presso lo studio VS Advice Music. Esorto le donne a non rimanere in disparte limitandosi a fare da spalla agli uomini; la vera reazione è imparare a dire sì a sé stesse e no agli uomini: Charlie Chaplin lo chiama amore di sé”. “C’è voluto un pizzico di fantasia e originalità nell’adattare brani scritti, pensati e cantati da donne intonandoli con la mia voce maschile – scherza Schettini – anche se i più giovani tra il pubblico hanno gradito la performance riconoscendo subito la paternità dei brani”.
La performance canora di Nino Schettini
“Ho sempre creduto in un teatro con i giovani e per i giovani, uno spazio aperto a tutti, dove imparare a fare squadra. In ciò sta la funzione terapeutica ed educativa del teatro, questa la magia di cui è capace: l’esercizio quotidiano di porsi in ascolto dell’altro. Un consiglio che rivolgo sempre agli attori è: “Questa è un’arte che si impara stando prima seduti in poltrona e, una volta educato e predisposto il cuore all’ascolto, saliamo sul palcoscenico e il sipario cala ”, precisa Cecillia Maggio.
E, in merito alla dialettica tra attore e regista, aggiunge: “ quest’ultimo ha il compito cruciale di dirigere, guidare, suggerire e discutere ogni singola scena o battuta con gli attori, senza mai imporre i suoi diktat dall’alto. Spetta a lui, anzitutto, porsi al servizio del gruppo, sollecitandolo a dare il meglio di sé sulla scena ”.
Tra tutte le arti, dunque, quella che più contribuisce all’arte del vivere è il teatro perché sul palcoscenico si condensano tutte le situazioni e le contraddizioni della vita che l’attore deve saper portare all’attenzione del suo pubblico affinché esso si immedesimi nei panni dei personaggi rappresentati. Nell’assistere a vicende che, potenzialmente, potrebbe vivere anch’esso, lo spettatore purifica le sue passioni. Da Aristotele in avanti, in occidente questo espediente si chiama catarsi.
Nel caso di Reactive, la storia di donne, come Lisistrata, spesso lasciate sole contro tutti ma accomunate da una peculiarità: la capacità di andare al di là dell’immaginazione per arrivare a realizzare sogni che non muoiono all’alba. Senza mai dare per scontato che le generazioni future imparino dagli errori specifici di quelle passate. Nessun diritto, specialmente per le donne, è mai veramente acquisito. Niente trionfalismi. Bisogna restare vigili.
In alto, un momento dello spettacolo in scena alla Cittadella degli artisti di Molfetta