Quando si parla di violenza contro le donne è facile cadere in molti luoghi comuni. Eppure, non vi è niente di più dannoso, quando si fa riferimento ad argomenti così delicati e importanti, che ripetere i soliti cliché. Per non dire dei numeri e delle statistiche, che se da una parte servono ad illustrare l’ampiezza del fenomeno, dall’altra possono sollcitare l’idea di qualcosa di ineluttabile, di uno dei tanti costi, inevitabili, che la società – “opulenta, libera, moderna” – è costretta a subire. “Sarebbe bello che non ci fossero giornate contro queste infamanti violenze, che sviliscono anche noi e la nostra comunità” ha sostenuto il sindaco Francesco Ricci, prima che lo spettacolo – messo in scena a conclusione di una serie di iniziative sul tema della violenza alle donne – iniziasse al Teatro Traetta di Bitonto. Quel bellissimo Traetta che resiste tenacemente all’incuria: basta salire sul palco, infatti, per notare gli assi orribilmente scheggiati.
Sarebbe davvero bello, è vero, che non vi fossero giornate contro la violenza sulle donne. Ma perché ciò possa avvenire è necessario che vi siano dei cambiamenti e il tempo perché tali cambiamenti possano verificarsi. E allora, questo spettacolo – realizzato da Rosita Cannito, giovanissima new entry della Fidapa, ed Emanuele Porzia, altrettanto giovanissimo regista e attore – si inserisce alla perfezione in questo discorso, offrendo la propria versione dei fatti. Tra monologhi e dialoghi, lo spettacolo ritrae e descrive compiutamente una società, maschilista e retrograda, che ha un ruolo fondamentale nel favorire le violenze.
Fisiche, psicologiche; perpetrate attraverso un linguaggio degradante e ricolmo di stereotipi, che sembrano essere nati insieme all’uomo per quanto sono antichi. Il triste risultato di un certo modo di pensare che si è consolidato attraverso i secoli. Il sesso debole – com’è ancora definita la donna – è stato costretto a farsi forte e a combattere perennemente per una parità che è ancora lontana dal realizzarsi. Una lotta (rivoluzionaria perché mira ad un capovolgimento) che lo spettacolo Io non ho paura porta coraggiosamente in scena. Video, danza, dialoghi e monologhi, canzoni, l’arte in ogni sua forma, sono le armi di questa straordinaria rivoluzione.
La Fidapa, l’associazione che sostiene le iniziative delle donne che operano nel campo delle arti, delle professioni e degli affari, ha abbracciato una causa coraggiosa: non ha promosso la vittima ma la combattente e ha affidato un’impresa tanto complessa e impegnativa a due giovanissimi artisti, che hanno fatto un grande lavoro. Non è semplice – parlando in termini tecnici – garantire il giusto ritmo ad una performance così variegata. Richiede esperienza, studio, impegno. Richiede una vasta conoscenza dello spazio scenico e dello stile di recitazione. Così, il pubblico, in un teatro ricolmo in ogni ordine, ha assistito ad un armonico susseguirsi di scene, molto diverse tra loro, coordinate con sapienza e gusto, ammirando gli attori, le due straordinarie ballerine e Rosita che ha avuto l’onere di interpretare brani anche molto complessi e diversi tra loro. Una serie di performance rese possibili dalla convincente regia di Emanuele Porzia, bravo anche nell’interpretazione di un personaggio totalmente opposto alla sua natura.
È bellissimo stare a teatro perché si avvertono le innumerevoli emozioni in circolo tra gli spettatori; come talvolta alla lacrima seguisse il riso e quanto fosse divorante il silenzio tra le poltrone. Specie in quello che è stato il momento più alto dello spettacolo, due monologhi portati in scena da Claudia Zema, giovanissima attrice dotata di un grande talento. Ha recitato nel ruolo di una bambina in quello di una donna, Valentina, entrambe vittime di violenza, passando con disinvoltura da uno stato d’animo all’altro, modulando con bravura la voce ma, soprattutto, dominando lo spazio scenico come chi è abituata a calcare il palcoscenico. È stata una rivelazione, il volto di questo spettacolo.
Cloinvolgenti gli intermezzi della danzatrice Rita Masellis e della piccola ma talentuosa Tracy Saracino, nonché l’interpretazione di Antonio Ruggiero del monologo di Paola Cortellesi sulla natura maschilista del nostro linguaggio. Ad occuparsi del trucco sono state le sorelle Paola e Silvia Murgese. Il pubblico, con ripetuti applausi, ha stretto in un caloroso abbraccio tutti gli interpreti in scena, mostrando di aver gradito il modo inedito con cui è stata rappresentata la figura femminile, anche attraverso l’affresco di una società, lontana dai nostri confini, dove il velo non è una libera scelta culturale e religiosa, ma una trappola che tiene avvinte moltissime donne, le costringe in casa, segregate, alla mercé della volontà di un uomo.
“Il cambiamento deve essere culturale e deve riguardare gli uomini, che troppo spesso usano la forza per imporre la loro volontà”, ha detto all’inizio dello spettacolo, Rosaria Albanese, presidente della Fidapa. Stigmatizzando un certo sentire della società, che continua a dare la colpa della violenza alle donne alle stesse donne, continuando a proteggere gli uomini, con una frase che abbiamo ascoltato tante volte, una battuta entrata a tal punto nel nostro immaginario che chissà quante volte anche noi donne ci siamo trovate a ripeterla: “te la sei cercata”. Capovolgere questo stereotipo, come lo spettacolo dimostra, è il primo fondamentale passo da compiere per un presente e un futuro migliori.