Ogni anno mi ritrovo ad attendere con trepidazione Word Press Photo. Ogni anno, ai primi di settembre, inizio a cercare online informazioni sui fotografi e a capire quali master class ci saranno e quante straordinarie immagini potrò ammirare. E mi rendo conto, sempre più, di quanto la fotografia sia una finestra sul mondo, uno sguardo oltre i nostri confini, oltre le nostre scarse conoscenze del reale, oltre il nostro limitatissimo sguardo e pensiero. Entrare nel Teatro Margherita, a Bari, dove sono state esposte le bellissime fotografie della mostra internazionale è stata un’esperienza incredibile. Si passa attraverso il dolore, la fame, l’abbandono, le offese arrecate alla Terra ma alla fine di un viaggio catartico ci si avvia verso la luce, godendo di indimenticabili momenti di gioia e di speranza.
La mostra propone le immagini, giunte da ogni parte del pianeta, vincitrici dell’edizione 2022 del World Press Photo, il prestigioso premio indipendente che dal 1955 seleziona i lavori di fotogiornalismo più belli e significativi dell’anno trascorso, portando all’attenzione del pubblico luoghi e persone sconosciuti ai più. All’ultima edizione del premio hanno preso parte 4066 fotografi di 130 paesi, per un totale di 64.823 scatti incentrati su diverse tematiche. Quet’anno il percorso espositivo non è stato suddiviso nelle classiche otto categorie tematiche, come negli anni precedenti, ma procede per aree geografiche del mondo. In modo che lo spettatore passi in rassegna tutte le regioni del pianeta: Africa, Asia, Europa, Nord e Centro America, Sud America, Sud-est asiatico e Oceania. Il risultato è una grande tavolozza, piena di colori e di emozioni, ma anche l’innegabile dimostrazione che ci sono realtà di cui non siamo a conoscenza, pervase di sofferenze, di abusi, di ferite inferte lontano dal nostro sguardo e oltre ogni nostra immaginazione.
Come dimostra l’immagine vincitrice di quest’anno, uno scatto preziosissimo della fotografa canadese Amber Bracken per il New York Times. In questa straziante fotografia in realtà non vediamo corpi straziati, non vediamo il dolore, ma tante croci, l’una dietro l’altra. Su ciascuna croce c’è una veste di colore giallo o rosso o arancione. Il paesaggio avvolge queste croci, le tutela allo sguardo, senza però nasconderle. Sono più di 200 i bambini trovati morti nei pressi della Kamloops Indian Residential School, in Canada, istituto costruito alla fine dell’Ottocento per accogliere i piccoli indigeni indiani. La fotografa rivela le tante atrocità commesse dal colonialismo occidentale. Eppure, c’è sempre una possibilità, una speranza. Lì, nel cielo, tra i nuvoloni che si scontrano, vi è l’arcobaleno. Un piccolo, straordinario, prezioso momento di grazia.
Ad aggiudicarsi il premio per la World Press Photo Story of the Year è stato, invece, il reporter australiano Matthew Abbott, con la fotografia intitolata Salvare la foresta con il fuoco. Lo scatto è stato realizzato per National Geographic/PanosPictures. Le immagini raccontano il rito degli indigeni Nawarddeken di West Arnhem Land, in Australia. Essi adoperano una tecnica che prende il nome di combustione a freddo e consiste nel bruciare in modo strategico il sottobosco per rimuovere l’accumulo di residui vegetali, responsabili dell’avvampare degli incendi. Questa pratica antica, risalente a decine di migliaia d’anni fa, non vede il fuoco come un nemico ma come un prezioso alleato per aiutare a salvaguardare la propria terra natale. Combinando conoscenze tradizionali e tecnologie contemporanee, questo popolo riesce ogni anno a ridurre l’anidride carbonica presente nell’aria, causa del riscaldamento globale.
Vincitore del premio World Press Photo Long-term Project Award, invece, è il lavoro di Lalo de Almeida, Brasile. Un fotografo straordinario che ha pubblicato Distopia amazzonica, il suo capolavoro, su Folha de São Paulo/PanosPictures. Le immaginini raccontano come la foresta amazzonica sia quotidianamente minacciata dalla deforestazione, dall’estrazione mineraria, dallo sviluppo infrastrutturale e dallo sfruttamento di altre risorse naturali. Infine, Il sangue è un seme di Isadora Romero, Ecuador, è l’opera vincitrice per la sezione World Press Photo Open Format Award: un video che, attraverso il racconto di storie personali, mette in discussione la scomparsa dei semi, la migrazione forzata, la colonizzazione e la conseguente perdita di conoscenze ancestrali.
Nell’ambito della 65° edizione della World Press Photo Exhibition, curata da Marika Cukrowski della World Press Photo Foundation, una menzione d’onore è stata assegnata all’italiana Viviana Peretti, autrice del progetto fotografico A Portrait of Absence. Un lavoro nel quale la reporter racconta come in Colombia, durante i conflitti interni degli ultimi 60 anni, decine di migliaia di persone fra gli oppositori politici siano state fatte scomparire con la forza per conto delle Forze Armate Rivoluzionarie e di gruppi paramilitari coinvolti nei traffici illeciti.
Tra tanto grigiore non mancano, tuttavia, momenti divertenti. Come le fotografie di un servizio realizzato nella Macedonia del nord, dove dal 2016 vengono prodotte fake news. Vales, infatti, è stata segnalata a livello globale come epicentro delle fake news. Sono stati creati al computer dei modellini in 3D, che agiscono come degli esseri umani. Si tratta di una riflessione, al di là del riso, su quanto sia facile produrre e diffondere delle notizie false. E non manca perfino qualche fotografia che riscalda il cuore, che rappresenta un raro spiraglio di luce negli orrori del presente.
The Promise di Irina Werning Antonella, una ragazza di dodici anni, che vive a Buenos Aires, in Argentina. Nell’agosto 2020 ha promesso di tagliarsi i capelli solo quando sarebbe tornata a scuola, visto che le lezioni erano state interrotte a causa della pandemia. Solo il 25 settembre 2021, il fine settimana prima di tornare in classe, Antonella ha deciso di accorciare la sua fluente chioma. “Quando finalmente tornerò a scuola, sapranno che sono una persona diversa, mi sento una persona diversa” ha raccontato con il suo bellissimo caschetto e con un gigantesco sorriso sul volto, gli occhi lucidi, la voglia di riprendere dal momento in cui tutto le è stato strappato via.
“Quello di World Press Photo è ormai uno degli appuntamenti più attesi dell’anno – ha detto il sindaco di Bari, Antonio Decaro – a riprova dell’importanza di una programmazione culturale capace di spaziare nei temi e nelle proposte. La nuova veste della mostra nel Teatro Margherita rende ancora più evidente la prospettiva globale scelta per approcciare immagini eloquenti, straordinarie, capaci di cogliere la contemporaneità con le sue insanabili contraddizioni: i cambiamenti climatici, lo sfruttamento delle risorse naturali, le guerre. Da cittadini non possiamo che ringraziare e farne tesoro, ma soprattutto dimenticarci quanto siamo fortunati e non ce ne rendiamo conto”.
La mostra a Bari si è chiusa alcuni giorni fa. A questo punto, non ci resta che attendere l’anno prossimo per commuoverci, entusiasmarci e riflettere ancora una volta con il meglio della fotografia internazionale.
La foto in alto di Amber Bracken s’intitola Kamloops Residential School