La chiesa degli Amalfitani a Monopoli

L’antico edificio testimonia come la repubblica marinara, realtà politica ed economica tra le più influenti del Mediterraneo, avesse vasti interessi in Puglia

La lunga e complessa storia dell’unica chiesa in stile romanico ancora oggi pienamente fruibile presente a Monopoli, Santa Maria degli Amalfitani, risale alla metà del XII secolo, pieno medioevo. I racconti popolari e le fonti documentarie sono concordi nel sostenere che dietro la costruzione dell’edificio di culto c’è la mano degli amalfitani. Per darvi un’idea, la repubblica marinara di Amalfi, già tra il IX e il X secolo, risultava essere una delle più influenti realtà commerciali e militari del Mediterraneo. Alcune fonti dichiarano, infatti, che presso Amalfi si potessero incontrare: “i migliori navigatori del tempo e alla quale giungevano mercanti provenienti da tutte le parti del mondo allora conosciuto”.

Effettivamente la portata degli scambi commerciali di Amalfi era rilevantissima. Le navi amalfitane, cariche del prezioso carico di legname di cui era ricchissimo il suo immediato retroterra, partivano alla volta dell’Africa Settentrionale dove scambiavano la loro merce con l’oro proveniente dalle miniere nel cuore dell’Africa. Toccavano successivamente le coste siriaco-palestinesi e dell’Asia Minore, dove spesso l’oro veniva successivamente scambiato con pietre preziose, avorio, manufatti di oreficeria, spezie, sete e stoffe preziose a loro volta commercializzate in Italia, giungendo sino ai mercati di Roma, Ravenna, Pavia e nelle maggiori città italiane del tempo.

Per gestire questa fenomenale macchina economica, Amalfi fonda empori e centri di rappresentanza ad Alessandria d’EgittoTunisi, CiproBisanzio, solo per citare i più noti. Ma la forte influenza non si esercitava solo attraverso gli scali commerciali. La costruzione di edifici civili e religiosi era un ulteriore segno tangibile che veniva lasciato sui territori e che concorreva, inevitabilmente, a costruire un’immagine forte e meritevole di credito presso le comunità. Per citare alcune opere tra le più rilevanti, sul monte Athos in Grecia Amalfi fonda un monastero mentre a Gerusalemme promuove la costruzione di un grande ospedale con una capacità di oltre mille posti letto, retto dai frati Ospedalieri di San Giovanni, meglio noti come Ordine dei Cavalieri di Malta.

In Puglia la presenza degli amalfitani è notevolmente attestata: negli ultimi anni studi e ricerche hanno prodotto una cospicua bibliografia in tal senso, dimostrando che gli interessi della repubblica marinara non riguardavano solo i centri costieri in termini di scali commerciali ma anche per gli intensi scambi religioso-culturali, oltre che di natura economica, l’entroterra pugliese. Nel XII secolo Monopoli era già considerata, con il suo porto, un piccolo scalo commerciale di rilevante importanza strategica nel comprensorio pugliese: elemento che, chiaramente, non sfuggì agli Amalfitani i quali lasciarono tracce incontrovertibili della loro presenza sul territorio, tra cui un edificio sacro.

L’antico porto di Monopoli

Le reali motivazioni dietro la costruzione dell’edificio non sono però del tutto chiare. La storia popolare, che a Monopoli si tramanda da secoli, racconta di uno scampato naufragio, a largo delle coste monopolitane, di un’imbarcazione di Amalfi, nel 1059. I marinai in balia delle onde, dopo aver dato fondo a tutte le loro capacità di navigazione, si rivolsero in extrema ratio alla Vergine chiedendo la salvezza. Sopravvissuto all’affondamento, l’equipaggio volle dedicare alla Madonna una cripta preesistente, poco distante dall’antico porto della città, e sulla quale promisero, attraverso un voto, di edificare una vera e propria chiesa. La chiesa, in stile romanico, verrà poi edificata nella prima metà del XII secolo. In merito alle motivazioni che hanno portato alla costruzione di questo edificio di culto si potrebbe dare, tuttavia, una lettura differente rispetto al racconto popolare.

È verosimile, infatti, che anche il porto di Monopoli ospitasse un emporio o uno scalo commerciale stabile di Amalfi, e che probabilmente l’edificazione dell’edificio sacro in stile romanico rientrasse proprio in quella pratica, a metà strada tra fede religiosa e opportunità concreta, finalizzata a promuovere l’immagine e il credito della repubblica marinara presso le comunità autoctone nei luoghi di interesse strategico, come è stato ampiamente documentato in altri centri del mediterraneo nei quali vi erano interessi commerciali.

La chiesa di Santa Maria degli Amalfitani

Le modifiche nei secoli

L’originaria chiesa romanica di Santa Maria degli Amalfitani ha subito nei secoli numerosi interventi, più o meno invasivi, a seconda del cambiamento del gusto estetico. All’interno, già tra ‘500 e ’600, venne sostituito l’altare, nelle navate laterali vennero costruite alcune cappelle dedicate a santi o acquisite e decorate da famiglie di spicco della città. Un intervento importante fu lo spostamento della lunetta del Christus Patiens dall’altare dei Santi Giacomo e Filippo, dov’era dal 1512, sulla facciata principale come documenta il Della Gatta durante la visita apostolica del 1727. La preziosa lunetta oggi trova posto all’interno della chiesa, applicata sulla controfacciata a sinistra dell’entrata.

La radicale svolta estetica arriva, tuttavia, nel 1745 anno in cui il procuratore Don Vito Tarantini ne decide la trasformazione in chiesa barocca. La tendenza al restyling delle antiche chiese, con interventi che prevedevano l’applicazione di stucchi e marmi, apportando talvolta rilevanti modifiche, era molto diffusa all’epoca ed è perfettamente in linea con il mutato gusto estetico e i cambiamenti di natura sociale. In questi secoli la chiesa subì, inoltre, una sorta di “accerchiamento” che si manifestò mediante la costruzione di nuovi edifici e in diverse forme, dalla riduzione dello spazio di pertinenza esterno all’addossamento per finire a forme di inglobamento di alcune parti, come nel caso della zona delle absidi, totalmente fagocitate dall’oratorio di San Giuseppe.

La chiesa barocca in una foto degli anni ’30

Il ritorno al romanico

Le ultime vicende legate alla trasformazione dell’edificio si verificano tra il 1932 e il 1936. L’allora Sovrintendenza ai monumenti e belle arti di Bari ad inizi anni ’30 decise un intervento radicale avviando un pesante restauro della basilica con lo scopo di riportarla quasi totalmente al romanico. Questi pesanti lavori consistettero nello smantellamento di applicazioni, modifiche architettoniche e decorative barocche. Una pratica, questa, molto in voga negli anni ’30, periodo durante il quale altri edifici sacri hanno subito lo stesso processo come, ad esempio, la Basilica di San Nicola e la Cattedrale di Bari entrambe riportate al romanico.

Questo tipo di interventi risultavano molto “provanti” per gli edifici in quanto la rimozione delle stratificazioni barocche spesso portava, accidentalmente, a strappare via anche ciò che in realtà si voleva evidenziare causandone l’irrimediabile perdita. A quel punto era inevitabile procedere con un’integrazione di materiale del tutto nuovo, dunque, non originale. Per quanto ci si sforzasse di emulare perfettamente nella forma ciò che era andato perso, il nuovo materiale impiegato non era più quello lavorato e messo in posa nel medioevo, non erano più le pietre che hanno attraversato la storia. Nel caso dell’Amalfitana le integrazioni furono numerose. All’interno i lavori hanno interessato la rimozione delle diverse cappelle sorte nelle navate laterali (eccetto quella di San Nicolò), il ripristino e il restauro degli apparati decorativi in parte conservati sotto i rifacimenti barocchi e, infine, il totale rifacimento delle coperture nella navata centrale e laterale sud.

All’esterno, invece, si operò su tutto il lato sud con la rimozione degli stucchi e sulla zona delle absidi riportate alla luce decidendo l’abbattimento dell’oratorio di San Giuseppe, edificio costruito nel 1613 e che aveva anch’esso una sua storia. Durante questi lavori, nel 1935, venne infine deciso l’abbattimento dell’originario campanile del XII secolo e con esso i suoi mille anni di storia. Per quanto riguarda, invece, la facciata ci fu probabilmente l’intenzione di ripristinare l’originale, rimuovendo il rifacimento settecentesco; tuttavia, il rispetto della sovrapposizione di culture e stili diversi, in questo caso, prevalse.

La chiesa oggi

All’interno, la navata centrale è divisa da due file di quattro pilastri, comprendenti otto semicolonne coronate da capitelli decorati con motivi a foglie a doppio o a triplo ordine di felce o con motivi a palmette alternate a figure animali, sui quali poggiano gli archi a tutto sesto a doppia ghiera. È totalmente assente la struttura del matroneo, lasciando spazio subito al claristorio con ampie finestre che illuminano in maniera ottimale l’ambiente con la luce che mette in risalto i particolari dei capitelli romanici. Per quanto riguarda le coperture, nella navata centrale il tetto è costituito da una copertura a capriate lignee a vista. Nella navata laterale nord sono presenti una serie di volte a crociera in corrispondenza degli archi e dei pilastri che favoriscono lo scarico del peso della copertura in muratura. Nella stessa, trova posto la cappella dedicata a San Nicolò, unico elemento in stile barocco, volutamente lasciato tale, all’interno della chiesa.

La navata laterale sud, invece, presenta una copertura lignea a spiovente che sostituisce l’originale, non più recuperabile, dopo i lavori di ripristino svolti negli anni ’30. L’abside centrale domina, con la sua massa semicilindrica, tutto l’insieme e, a differenza delle piccole absidi laterali, lisce e decorate da una semplice cornice su mensolette, è ornata da elementi architettonici e decorativi. Agli incontri dell’abside centrale con le laterali partono dallo zoccolo due esili colonnine ed altre due all’interno dell’abside maggiore che svettano in altezza. Un plinto sporgente dallo zoccolo costituisce il necessario appoggio per le basi delle colonne, le quali terminano in alto con capitelli variamente scolpiti con motivi tipicamente romanici e sui quali poggia l’arco a tutto sesto.

 

La cripta

L’antica cripta è l’unico ambiente rimasto invariato attraverso i secoli. Dal momento in cui gli amalfitani scelsero appositamente di costruirvici su la chiesa romanica ad oggi il trascorrere della storia e delle vicende degli uomini non hanno toccato questo antico vano. È come se il suo appartenere ad un passato così remoto da perdersi nella memoria delle generazioni, già nel XII secolo, abbia garantito a questa antica chiesa un’aura di “intoccabilità”: nessuna società succedutasi nel tempo ha mai osato mettere in discussione la sua originaria identità ed essenza. La cripta presenta una pianta semplice a navata unica la quale, divisa da sole due colonne ricavate nella pietra, culmina con due absidi. Presenta inoltre una sorta di deambulatorio, che circonda i tre lati del nàos, non diviso da pilastri. Attorno all’ambiente principale si aprono, inoltre, quattro cellette quadrangolari. Gli unici elementi che nel tempo si sono aggiunti all’arredamento sono le diverse epigrafi che commemorano eventi di particolare rilevanza per la comunità di fedeli in diversi momenti storici, a testimonianza di una frequentazione ed uso della cripta ininterrotte per più di mille anni.

L’altare con l’icona della Madonna cui è dedicata la chiesa. Alle spalle, le celle (a sinistra) e una delle epigrafi (a destra)

Le foto sono dell’autore dell’articolo. Quelle in bianco e nero sono tratte dal Bollettino d’Arte, 1936 – I Luglio – Anno XXX

Nella foto in alto, la Battaglia di Ostia, dipinto di Raffaello, combattuta nell’estate dell’849 nel Mar Tirreno tra una coalizione di stati italiani (i ducati di Amalfi, Gaeta, Napoli e Sorrento) e una flotta saracena.