Perchè l’Anello non sia più così Debole

Nell'esperienza della comunità di Monteiasi, il senso e la misura dell'impegno della Caritas su povertà ed esclusione sociale come testimoniato dal rapporto 2022

I conti con la povertà li stiamo facendo ormai da tempo. Ora rischiamo di doverli fare con la miseria. Man mano che aumentano i problemi che hanno diretta ripercussione sulle persone, il numero dei poveri cresce a dismisura. Alla diminuita capacità di spesa della maggior parte delle famiglie, a causa di un rincaro senza precedenti dei beni di consumo, anche di quelli di prima necessità, corrisponde un aumento vertiginoso di nuovi poveri. Le ragioni che hanno determinato una grave accelerazione della povertà sono state diverse e nella maggior parte dei casi anche inedite, ma ben pesanti.

Prima fra tutte la pandemia, fenomeno dalle conseguenze sanitarie, economiche e sociali devastanti. Il virus che l’ha scatenata, lo si conosceva solo in laboratorio. Ci ha rinchiusi in casa, ci ha isolati, ci ha privato del lavoro, ha reso impossibile ogni e qualsiasi forma di relazione e dimensione sociale, scolastica, religiosa. Tanti i morti, i contaminati, soprattutto i più deboli e i più fragili, con gli anziani al primo posto. Una sanità messa a nudo, un paese che ha dovuto sconvolgere la propria organizzazione sanitaria per affrontare la nuova emergenza. Conseguenza diretta di questa scelta obbligata il dover rinunziare a cure mediche, specie per gli anziani. L’inversione di tendenza al contagio si è cominciata ad avere grazie alla vaccinazione di massa, con prima dose, seconda, terza e quarta dose. Il non poter svolgere quelle attività lavorative minime, piccole, spesso a nero, con cui abitualmente tanti portano un salario anche minimo a casa, ha costretto milioni di cittadini a chiedere aiuto alle Caritas parrocchiali diffuse sull’intero territorio nazionale.

L’Anello debole, il Rapporto 2022 della Caritas Italiana su povertà ed esclusione sociale, recentemente pubblicato, presenta uno spaccato crescente delle povertà del nostro Paese che colpisce in modo pesante, i minori e le famiglie numerose.

In un paese con culle vuote da primato, una famiglia con due figli è considerata già numerosa e registra i danni crescenti della povertà. Nel silenzio assordante delle pubbliche amministrazioni la povertà assoluta sta raggiungendo cifre da primato. I principali problemi con cui si devono fare i conti e nei quali ci si deve imbattere sono il cibo, il carissimo bolletta, luce e gas, schizzati a livelli storici per effetto della guerra Russo-Ucraina. Gli effetti di questo immane conflitto, che va avanti dal 24 febbraio scorso, stanno piegando attività produttive, aziende, famiglie. A registrare le loro conseguenze sono le Caritas, le loro file che si allungano giornalmente sempre più. I numeri sono da capogiro: 1milione 960mila famiglie, cioè 5.571.000 persone, il 9,4% della popolazione residente. E, come già registrato con il Rapporto ISTAT del luglio scorso, è il Mezzogiorno il più colpito ed in misura sempre crescente.

Crescono gli immigrati che si rivolgono alla Caritas. Se le Caritas sono chiamate a dedicare più dei tre quarti dell’ammontare degli interventi a bollette di luce e gas, ovviamente restano penalizzati gli altri interventi, gli altri aiuti sempre offerti, soprattutto per le prestazioni sanitarie. Allarmanti i dati che mettono in relazione povertà e descolarizzazione. A pagarne lo scotto, soprattutto i più piccoli e i più giovani: la licenza media è ormai il livello di istruzione massimo.

I numeri sono allarmanti: un milione e mezzo di interventi Caritas. Numero sempre in crescita: il +7,7% sono i nuovi fruitori, rispetto al 2020, soprattutto stranieri. Sono i Centri di Ascolto e le Caritas diocesane che offrono uno spaccato significativo su come sta cambiando la povertà in Italia. Le 192 Caritas diocesane, nel 2021, hanno erogato quasi 1 milione e mezzo di interventi di aiuto. Almeno 227.556 sono state persone supportate dai soli servizi Caritas in rete, presenti nelle 192 diocesi. Singolare il fenomeno registrato: non sempre si tratta di nuovi poveri, ma di persone che entrano ed escono da una situazione di bisogno. A chiedere aiuto sono sia uomini (il 50,9%) sia donne (il 49,1%). L’età media dei beneficiari è di 45,8 anni.

Mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto

Le persone senza dimora incontrate nel 2021 sono state 23.976, pari al 16,2% dell’utenza: per lo più uomini (72,8%), stranieri (66,3%), celibi (45,1%), con un’età media di 43,7 anni. Gli ambiti di maggiore vulnerabilità, riguardano le persone con problemi economici, occupazionali, abitativi, familiari, di salute e legati all’immigrazione. Gli aiuti erogati dalle Caritas hanno riguardato per il 74,7% beni e servizi materiali (mense, distribuzione pacchi viveri, buoni ticket, prodotti di igiene personale, docce, ecc.); il 7,5% le attività di ascolto, il 7,4% gli interventi di accoglienza, a lungo o breve termine; il 4,6% l’erogazione di sussidi economici (per il pagamento di affitti e bollette), il 2,2% il sostegno socio assistenziale e l’1,5% interventi sanitari.

Sulla povertà incide molto il livello di scolarizzazione. Esso è direttamente correlato alla povertà: meno istruzione significa più povertà.

Nel 2021, tra gli utenti Caritas si è rafforzata la correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione. In aumento quelli che possiedono solo la licenza media (dal 57,1% al 69,7%). Ma, tra loro vi sono anche persone analfabete, senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare. Nelle regioni insulari e del Sud il dato arriva rispettivamente all’84,7% e al 75%. Correlato al livello di istruzione è il dato sulla condizione professionale, legato anche alla situazione causata dalla pandemia: cresce l’incidenza dei disoccupati o degli inoccupati che passa dal 41% al 47,1%. Ovviamente, strettamente correlato a questo dato è il numero degli occupati che scende dal 25% al 23,6%.

Tra i beneficiari Caritas i casi di povertà intergenerazionale pesano per il 59,0%; nelle Isole e nel Centro il dato risulta ancora più marcato (rispettivamente 65,9% e 64,4%). Più del 70% dei padri degli assistiti Caritas risulta occupato in professioni a bassa specializzazione. Per le madri è invece elevatissima l’incidenza delle casalinghe (il 63,8%), mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche. Un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e il 42,8% ha invece sperimentato una “mobilità discendente”. Più di un terzo (36,8%) ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale ma non trova un impiego adeguato agli studi.

Per i giovani c’è un futuro con il lavoro, almeno in Europa. Da una indagine condotta in 10 Paesi europei in collaborazione con Caritas Europa e Don Bosco International, risulta fosco anche il futuro lavorativo e formativo dei giovani in difficoltà. Per almeno quattro studenti su cinque, la pandemia ha influito negativamente nella pianificazione del loro futuro. Da un campione di giovani in 5 Paesi è emerso che: il 41,3% di essi ha vissuto in famiglia gravi problemi economici a causa del Covid; il 44,1% riceve aiuto per pagare le spese scolastiche; il 37,4% non si sente preparato per continuare gli studi; il 57,1% non si sente pronto ad entrare nel mondo del lavoro; il 78,6% non è stato aiutato da nessuno a scuola per orientare il proprio futuro.

Reddito di cittadinanza

Raggiunge solo il 44% dei poveri assoluti. La misura è stata finora percepita da 4,7 milioni di persone, “ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%)”. Si legge nel Rapporto Caritas: “Sarebbe quindi opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti”. Una misura di sostegno alle povertà da riformare, ma non da abolire, specie se si vuole tenere conto delle difficoltà verso cui si sta andando. Inoltre “accanto alla componente economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale” al momento ostacolati da “una serie di vincoli amministrativi e di gestione”.

Il Rapporto offre diverse proposte, tra cui il rafforzamento della capacità di presa in carico dei Comuni, anche attraverso il potenziamento delle risorse umane e finanziarie a loro disposizione e un miglior coordinamento delle azioni. Su questa misura di sostegno alla povertà, durante la recente campagna elettorale ne abbiamo sentite di tutti i colori, dalla sua soppressione alla sua trasformazione. C’è da augurarsi che il nuovo governo trovi il giusto equilibrio per la soluzione che si intende adottare soprattutto per eliminare il gravissimo disincentivo che rappresenta alla ricerca di un lavoro. I numeri possono sembrare freddi. Danno però la misura esatta del fenomeno povertà. Per capire sino in fondo cosa avviene in un centro servizi della Caritas, abbiamo visto sul campo il lavoro, l’assistenza che un vero esercito di volontari offre a chi ne ha grande bisogno.

L’esperienza della Diocesi di Taranto

Abbiamo colto l’opportunità di poter intervistare tre persone significative della diocesi di Taranto: don Giovanni Nigro, parroco dell’unica parrocchia presente a Monteiasi, la signora Rosanna Putzolu, responsabile diocesana della gestione logistica Caritas e Toni Cappuccio, responsabile delle comunicazioni sociali.

“Il vero povero – esordisce don Giovanni – non manifesta la sua condizione di bisogno, né viene a chiedere facilmente. Intanto crescono quelli che non ce la fanno, quelli che tirano la cinghia sempre più. Il fine mese, per chi ce l’ha, è sempre più lontano. Crescono così i nuovi poveri che noi cerchiamo di intercettare”. E prosegue: “Il gruppo parrocchiale Caritas è sempre attivo. Siamo in stretto collegamento e collaborazione per qualsiasi problema con la sensibile e attiva Caritas Diocesana. E’ mio impegno pastorale coinvolgere la comunità alla presenza dei poveri, a saper leggere la realtà e intervenire con grande delicatezza e rispetto. Parliamo di persone, di famiglie in difficoltà che vivono sulla loro pelle il disagio”.

Qual è la modalità di intervento che preferite?

“Gran parte dei contatti avvengono nel Centro di Ascolto. E’ qui che, dialogando con le persone, cominciamo a condividere il loro stato di necessità. Hanno la possibilità di aprirsi; abbiamo la possibilità di dare anche indicazioni per metterli a conoscenza di diritti e di interventi che il Comune, le istituzioni del territorio pur hanno attivate. Come dire? Se possibile cerchiamo di dare una dritta e dare anche quel minimo vitale di aiuto materiale utile ai bisogni primari dei membri delle loro famiglie.

C’è un impegno che per voi è primario nei confronti di queste persone che vengono a bussare alla vostra porta?

Certamente”, tiene a dire don Giovanni. “Chi viene da noi, chi incontriamo, innanzitutto va accolto. Va considerato in tutta la sua dignità. E’ parte della Comunità. E’ persona! Del resto, non aveva detto Gesù che ‘I poveri li avrete sempre con voi!’. Ai miei parrocchiani amo ripetere: lasciamoci evangelizzare dai poveri. Con loro esiste uno scambio che ci vede sempre debitori: è più quello che loro danno a noi di quello che noi diamo a loro”.

Qual è la dimensione del fenomeno che gestite nella vostra comunità?

“Abitualmente, nella nostra parrocchia abbiamo un numero costante di oltre cinquanta famiglie da assistereo. Abbiamo la possibilità di offrire aiuti occasionali, abbiamo sistematicamente ondate di immigrati che accogliamo e assistiamo”.

Lei, don Giovanni, come sacerdote, com’è visto?

“Sono il destinatario di tante richieste. Indicano lo stato, il livello raggiunto dalle povertà. Nel dialogo, nel contatto mi vengono prospettate le esigenze più disparate. La discrezione e l’attenzione aiuta le persone ad aprirsi, al dialogo, a presentare con tanta dignità le loro richieste alle quali cerchiamo di poter rispondere.

C’è qualcosa di particolare che le sta più a cuore?

“Nei confronti della comunità c’è una forma di sensibilizzazione continua, permanente. Chiedo di tener sempre vivo il fatto che il nostro intervento non deve esprimersi o circoscriversi nel periodo, nelle feste più significative: Natale, Pasqua, la ricorrenza dei defunti. Ovviamente, in quei giorni c’è una maggiore disponibilità. Ma la povertà non è stagionale. C’è una disponibilità che dobbiamo vivere e gestire tutto l’anno. E’ una scelta educativa, promozionale che cerchiamo di tenere presente nei percorsi educativi e di catechesi fatti con sistematicità in Comunità”.

Allargando lo sguardo alla dimensione diocesana e alla Città di Taranto, i problemi sono accentuati e amplificati, nei numeri e nelle problematiche. Un grande centro obbliga a grandi servizi. La povertà è un problema che accompagna la dimensione urbana.

Abbiamo posto alcune domande a Rosanna Putzolu, responsabile diocesana della gestione logistica Caritas diocesana e a Toni Cappuccio, responsabile delle comunicazioni sociali.

“Ci arriva gente da tutte le parti del mondo, soprattutto gente che scappa dalla guerra, dalla miseria. Hanno bisogno di tutto, di un letto, di cibo, di accoglienza, di ospitalità, di servizi, di sostegno psicologico. Le 86 parrocchie della diocesi hanno quasi tutte una Caritas autonoma. Le parrocchie più piccole si accorpano nei comuni per fare un servizio completo. I nostri interventi riguardano vecchie e nuove povertà. Per separati e senza reddito, il nostro aiuto li toglie dal dormire in macchina. I barboni, invece, i cosìddetti homeless, i senzatetto, sono assistiti nella loro condizione irrinunciabile di voler vivere per strada”, spiega Rosanna.

Cosa è stato per voi il periodo della pandemia?

“La frontiera. Siamo stati i primi ad intervenire. Abbiamo unito i nostri sforzi con la Croce Rossa e la Protezione Civile. Molti esercizi commerciali si sono affidati a noi per dare sostegno ai bisognosi. I bisogni sono cresciuti a dismisura”, afferma Toni.

Ci parla degli avvocati di strada?

“Abbiano un bel gruppo di avvocati volontari che ogni 15 giorni intervengono con l’obiettivo fondamentale di tutelare i diritti delle persone senza dimora. L’esperienza è nata dalla necessità, sentita da più parti, di poter garantire un apporto giuridico qualificato a quei cittadini oggettivamente privati dei loro diritti fondamentali”, la risposta di Rosanna.

Come curate il raccordo con le Caritas parrocchiali?

“Abbiamo incontri ravvicinati con tutti gli operatori delle nostre Caritas ai quali è riservata una cura particolare con corsi sistematici di formazione tecnica e spirituale”, conclude Toni.

Un lavoro impegnativo, spesso sconosciuto. Un’esperienza umana e di fede molto ricca, impegnativa. Si ripete ogni giorno nelle 2.600 Caritas parrocchiali di tutta Italia. Il Rapporto, con i suoi dati nazionali, ci ha dato la possibilità di conoscere il reale stato della situazione che il Paese deve affrontare. Come non preoccuparsi dei numeri rilevati nel 2021, sapendo perfettamente le difficoltà economiche che sta facendo registrare il 2022?

Nella foto in alto, don Giovanni Nigro con i volonatari della Caritas di Monteiasi