Il Nobel della Letteratura, assegnato per la prima volta nel 1901, non è semplicemente un prestigioso omaggio ad una scrittrice o ad uno scrittore, che nel corso della sua vita abbia saputo distinguersi per il grande talento, emergendo tra tanti nomi con l’assoluta freschezza e originalità del proprio lavoro. Un lavoro che, magari, corrisponde in termini qualitativi e quantitativi ad una serie di opere, che hanno avuto il compito eroico di cambiare la letteratura, ma anche chi la legge e ne riempie gli scaffali della propria, personale biblioteca. Un premio è, al di là di tutto, un simbolo e conferire tale riconoscimento alla scrittrice francese Annie Ernaux ha, tra i molteplici, un forte valore sociale e, quindi, politico. Perché, come diceva un grande scrittore come Orwell: “se è di società che si parla, si parla di politica”.
Ernaux, insignita recentemente del Nobel, è nata nel 1940 in Normandia da una famiglia di operai, che vivevano come potevano, negli stenti e nel duro lavoro, in tempi tristi come quelli della Seconda Guerra Mondiale, del poco denaro che garantiva il loro lavoro. Con immensa fatica, si erano fatti strada nel “mondo del lavoro” – diremmo oggi – approdando alla più felice condizione di commercianti. Ernaux, come tante donne di quella generazione, si è ritrovata a vivere tra due epoche, che sembravano essere agli antipodi: da una parte il peso di un mondo antico, fatto di tradizione e di valori, un mondo che risentiva ancora della guerra e che guadava al nuovo con diffidenza; dall’altro l’avanzare del progresso, del benessere, dell’emancipazione che permeava le famiglie cambiandone inevitabilmente i valori. E, com’è accaduto anche qui da noi in Italia, quando una famiglia sperimenta dopo anni di stenti la ricchezza e il benessere, affoga i suoi dispiaceri in beni di consumo che, un po’ alla volta, le consentono di dimenticare le brutture del passato anziché di farne tesoro.
Ernaux ha raccontato, nel corso della sua opera, quanto profondamente questo periodo di transizione abbia inciso sulla vita delle donne e sulla sua stessa vita. Racconta i traumi ricevuti, le umiliazioni, i soprusi e, così facendo, ha reso la sua stessa storia universale. In uno dei suoi libri più belli, L’evento – uscito nel 2000 e dal quale è stato tratto il film di Audrey Diwan, La scelta di Anne, vincitore del Leone D’Oro a Venezia nel 2021 – racconta di una donna che desidera abortire nella Francia nel 1963, quando era proibito anche solo pronunciare quella parola. Una storia che, al giorno d’oggi, appare più attuale che mai, al fine di ricordare che, al di là delle battaglie pubbliche che vengono fatte ogni giorno pro o contro l’aborto, esistono storie personali che vengono taciute, sofferenze reiterate di donne che si vedono ancora vincolate, violate, sottomesse al volere di terzi sul loro corpo.
Impossibile non vedere in questo premio un valore simbolico, appunto. Specialmente perché questa grande scrittrice francese ha trattato in maniera straordinariamente schietta la violenza all’interno della relazione uomo-donna, che sia nel matrimonio o nella società stessa. Non lesinando di parlare di sé e della propria esperienza di vita. In Memorie di una ragazza, viene ritratta una giovane Anne mentre lavora, nel 1958, in un campo estivo e lì conosce il sesso, ma anche lo scherno dei suoi compagni e degli altri istruttori. Una storia personale eppure universale che, senza nessuno che la raccontasse, sarebbe rimasta “inspiegata, vissuta per niente” riferisce la stessa scrittrice. Partire dall’io è fondamentale per aprirsi all’altro, afferma la Ernaux: “Non c’è nessun’altra persona al mondo sulla quale io disponga di un sapere così esteso, inesauribile. L’intimo è pur sempre qualcosa di sociale, perché un io puro, in cui gli altri, le leggi, la storia non sono presenti, è inconcepibile”.
Anche nel libro Il posto, che le ha assicurato l’attenzione di molti critici, non ha esitato a raccontare di sé, della sua famiglia, del rapporto con il padre e di quelli che sono capisaldi della sua scrittura, legata alla nuda natura dei fatti, ai sentimenti, allo studio serrato di sé e delle sue emozioni. Non vi è gioia per la scrittrice nel separarsi dall’intima natura del proprio essere e della sua stessa femminilità. “Ogni volta mi strappo via dalla trappola dell’individuale. Naturalmente, nessuna gioia di scrivere. In questa impresa in cui mi attengo più che posso a parole e frasi sentire davvero”, scrive in questo straordinario romanzo, pubblicato nel 1984.
Il libro che, però, le ha conferito l’affiliazione di tantissimi lettori è Gli anni, scritto nel 2008. Straordinaria opera d’arte in cui la scrittrice raggiunge l’apice del suo talento narrativo, raccontando vicende collettive, in cui la vita vera di donne e uomini s’intreccia a quei grandi eventi, narrati nei libri di storia. Se Annie Ernaux è stata insignita di un premio tanto importante è certamente per la sua capacità di mettere su carta “i vincoli collettivi della memoria personale”, come recita la motivazione del Nobel. Ma anche perché, in un momento storico in cui ci si avventa con ferocia sul corpo femminile, in un periodo di femminicidi in Occidente e di persecuzioni in Iran e Afganistan, non poteva che essere premiata una donna che, per l’intera vita, ha stanato l’ingiustizia contro le donne, ha narrato l’ingiustizia che grava sulla condizione femminile e i limiti di una società e di una mentalità che va combattuta con mezzi potenti, anzi potentissimi, come la parola.