Una piccola darsena rischiarata dal baluginio di fari e lampioni. Sullo sfondo l’oscura distesa del mare, a tratti increspato dal sibilo del vento. Intorno, la quiete con l’incedere dei pochi passanti, stretti nelle felpe o nelle sciarpe, intirizziti dalla prima frescura autunnale. Le stagioni sfumano, il paesaggio cambia, il tempo si trasforma.
No, non è la Trani ridente e caotica, scapigliata o romantica, che abbiamo conosciuto nei giorni d’estate; meta di tanti volti noti della tv, per i locali chic affacciati sul mare, e spesso “vittima” di un turismo “mordi e fuggi” a misura di influencer. E di malinconica nostalgia si ammanta anche piazza Quercia, punto di ritrovo estivo per comitive, coppie e turisti che sorseggiano uno spritz o gustano un aperitivo, baciati dal sole o al poetico imbrunire.
Ma in realtà, è solo un’impressione: un coloratissimo salottino culturale giunge, infatti, ad animare questo spicchio di città. Vanno in scena i famosi Dialoghi di Trani, rassegna giunta alla XXI edizione, che quest’anno sviluppa il tema del Convivere, un’interessante e opportuna occasione di confronto sui maggiori temi dell’attualità tra intellettuali, scrittori, artisti e scienziati di varia estrazione e provenienza. Tra gli ospiti Piero Pelù, invitato a conversare con il giornalista Felice Sblendorio sul suo ultimo libro Spacca l’infinito – Il romanzo di una vita, edito da Giunti, scritto durante la pandemia. Un libro autobiografico, la storia di una vita -la sua- consacrata nel nome di una dea, la Musica, dalla quale sin da ragazzo rimane ammaliato fino a divenirne devoto sacerdote, sacrificando gli studi universitari, prima di giurisprudenza e poi di scienze politiche, senza mai mettere in discussione gli ideali di giustizia, legalità e pacifismo cari alla letteratura e alla storia, di cui è grande estimatore.
E quando Piero individua la sua strada, si sbriga ad imboccarla: ingrana la marcia, si gira e va sebbene non raccolga sempre il consenso familiare. Ma c’è di più. Il prodotto letterario del rocker fiorentino, figlio del primo lockdown, restituisce al lettore un notevole spaccato di storia del Novecento attraverso i racconti di nonno Mario e nonno Pietro: l’uno, coraggioso partigiano, partito a diciotto anni dalla stazione di Massa a combattere in trincea sulle Ardenne durante la Grande Guerra, l’altro divenuto fascista, in seguito alla morte del fratello minore Paolo, partito da Massa alla volta di Sarzana per liberare un gruppo di squadristi detenuti nella Fortezza Firmafede e rimasto vittima – l’anno prima che Mussolini marciasse su Roma- dei forconi e delle vanghe dei contadini.
E’ grazie ai ricordi di nonno Mario, che non dimenticherà mai l’orrenda morte di un suo amico mentre in trincea allietava i compagni con il suono del flauto, che il piccolo Piero scopre Bella Ciao, il canto popolare più famoso della Resistenza nonché il valore della nonviolenza. Poi la predilezione per la maschera di Arlecchino, mutevole e vivace, cangiante come la sua personalità ancora in fase di crescita, l’approdo sui banchi di scuola, l’amore smisurato per la letteratura grazie al liceo classico e il desiderio di vivere da cosmopolita perché, come si legge nel suo libro, “potevano togliergli tutte le ruote del mondo […] ma fermo lui non ci poteva stare, dove finivano le ruote cominciavano comunque le gambe. E dove finivano le gambe cominciava la fantasia. E dove finisce la fantasia c’è il buio della ragione“.
E in effetti, nella stesura è servito un pizzico di fantasia per far parlare l’uomo di ora con il bambino di un tempo, incrociando le loro esistenze in un’improbabile giornata al parco, dove un piccoletto invadente disturba l’adulto Piero, “alle prese” con la pennichella pomeridiana, chiedendogli se per professione faccia il pirata e invitandolo a raccontare una storia, la storia della sua vita, il cammino lungo ed impervio per diventare grandi. È da questo dialogo sui “massimi sistemi”, la fanciullezza e la maturità, che si srotola pian piano un gomitolo narrativo ricco di avventure, viaggi oltreoceano, la passione per i tatuaggi e per i coltellini dai manici intarsiati, e ancora sodalizi, litigi, nuove culture e fervide immaginazioni con le quali Piero spacca l’infinito, godendosi il processo di crescita personale dopo anni di lavoro ininterrotto. Direzione nord, sud, est, ovest, non importa, basta partire e adattarsi a tutto quello che capita. E Piero lo mette in pratica costruendosi “un castello volante, con la fantasia di un bambino gigante“.
Allora chi è davvero Piero? Un rocker, un attivista, un anarcoide, un brado, un pugile o semplicemente “el diablo”? Nessuna di queste “etichette” si confà alla sua persona, istrionica, camaleontica, eccentrica. Come documenta il suo percorso musicale tutto in ascesa, dai fascinosi anni ’70 quando abbraccia il genere punk, un sottogenere del rock in voga a quei tempi in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, che Piero importa in Italia con la sua prima storica band Mugnions, per spostarsi ad un rock più edulcorato con il gruppo musicale dei Litfiba, formatosi a Firenze nell’autunno del 1980, di cui è stato il frontman. Ma non basta.
Eccolo ripartire per un giro “introspettivo” intorno al mondo, il suo mondo, forse il più bello. Quello che lo ha visto diventare tre volte padre delle sue “streghette”, come affettuosamente le chiama, Greta, Zoe e Linda, e successivamente nonno. Ma è nel 2019 che incontra il vero amore, quello che rende il cuore “matto” proprio come canta Little Tony in un tormentone del ’74, da lui riadattato in una rockeggiante cover in gara al festival della canzone italiana nel 2020. Si chiama Gianna, la bella direttrice d’orchestra foggiana che a Piero ha rapito il cuore; colei che segue e accondiscende a tutte le sue folli corse con il camper negli angoli più reconditi della terra. Perché il viaggio diviene scoperta se c’è qualcuno con cui condividerlo; una scoperta di sé e dell’altro oltre che di nuove mete auspicabilmente accoglienti e non contaminate dalla mano dell’uomo.
Dalla riflessione sullo stato attuale dei paesaggi naturalistici sempre più alterati e deteriorati dalla smania di guadagno che assilla gli esseri umani, scaturisce il suo impegno per la salvaguardia ambientale e la tutela dell’ecosistema favorito – in sinergia con Legambiente – dalla creazione del Clean Beach Tour, un movimento itinerante volto alla pulizia delle spiagge e alla difesa delle biodiversità. Poi il 2020, l’anno che già nei numeri lasciava presagire qualcosa di buono: 20+ 20= 40, 40 come gli anni di musica con i Litfiba; e in seguito la coincidenza dei multipli: 8 marzo 1980, data significativa che segna il primo concerto in assoluto con i Mugnions al Circolo Bencini, su un palco che aveva costruito da solo, legando insieme con lo spago i tavoli della sala della tombola, 6 dicembre 1980 il primo concerto con i Litfiba alla Rokkoteca Brighton.
Il 5 febbraio 2020 Pelù calca per la prima volta il palcoscenico dell’Ariston di Sanremo, con la canzone in gara intitolata Gigante. A Piero non interessa vincere quanto stupire il pubblico con la sua performance accattivante. E la giuria demoscopica lo premia piazzando il pezzo nei primi cinque posti della classifica. In quel teatro voleva portare l’emozione, quella della scrittura, quella delle sue “streghette” e di suo nipote appena nato quando lo avevano ascoltato per la prima volta e, soprattutto, quella dei ragazzi del carcere di Nisida o delle case circondariali minorili di Napoli incontrati a Forcella, cui la canzone è dedicata. Un brano che esorta alla rinascita e al riscatto poiché la vita regala sempre un’opportunità per ricominciare. Non c’è nulla di proibito, si è solo benvenuti al mondo.
“Cos’è per te la musica?”, gli chiede Felice Sblendorio al termine della conferenza. Il pirata lo guarda e sorride: “è la terapia migliore per l’anima, la ricerca costante di vita, catalizzatrice perfetta del mio bisogno di adrenalina, benzina naturale per il cervello“. “Quindi è lecito ancora sognare da adulti?“, incalza il giornalista. E Piero: “si può sempre sognare, l’importante è non abbandonare il bambino che è in ciascuno di noi“. Dopo questa lucida osservazione che strizza l’occhio alla poetica del fanciullino pascoliana, esce di scena tra gli applausi.
Un “tappeto” di libri dalla copertina rosa e un enorme cornocuore al centro, simbolo indiscusso della band dei Litfiba, attende di essere autografato. Piero si sposta in un angolo, dove si concede una manciata di minuti per il firmacopie e per i selfie con i fans. Viva il rock tutto italiano, libero, selvaggio, anticonformista, anarchico, ribelle e soprattutto quello sano che non necessita di droghe o di allucinogeni. Perché la musica di per sé è già stupefacente ed è per questo che bisogna praticarla o ascoltarla senza l’ausilio di filtri pericolosi!
Le foto sono tratte dal sito de “I Dialoghi di Trani”