25 luglio. Poco più di un mese fa. Per l’università romana La Sapienza è una giornata molto triste, avvolta nel silenzio di un acuto dispiacere. Al centro dell’aula magna della facoltà di Lettere, un feretro e, su di esso, una fotografia con il volto di Luca Serianni, linguista, filologo ed ex docente. Investito da un’automobile mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali, nel centro di Ostia, si era spento alcuni giorni dopo al San Camillo di Roma dove era stato ricoverato in coma irreversibile.
L’aula è gremita di alunni e colleghi, giunti per l’ultimo, commosso saluto. Sul feretro, la corona di fiori del presidente Mattarella; intorno, il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, l’assessore capitolino alla cultura, Miguel Gotor, il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, e la rettrice de La Sapienza, Antonella Polimeni, che ricorda le qualità umane e professionali di “un grandissimo docente, un servitore dello stato, un pilastro della cultura italiana”. Tra i banchi c’è anche Alessandro Modesto. Iscritto al primo anno della triennale in lettere classiche del celebre ateneo romano, il giovane bitontino ha avuto il privilegio di assistere alle lezioni di Serianni, di cui ha imparato ad apprezzare oltre alla sconfinata cultura il tratto umano e la squisita disponibilità. A distanza di un mese dal triste evento, che ha sconvolto l’intero mondo accademico e culturale nel paese e oltre, abbiamo chiesto ad Alessandro di raccontare la sua esperienza di studente nel rapporto col celebre professore. Per riflettere sull’eredità culturale e civile che il linguista ha consegnato alle generazioni future.
“La notizia del tragico incidente ci aveva lasciati attoniti e sbigottiti. Quel giorno mi ero recato in ateneo per consegnare il mio elaborato in vista dell’esame di italiano argomentativo. Ad attendere me e i miei compagni di corso, un docente associato alla cattedra di Serianni, il quale, trattenendo il fiato in gola per il dolore, ci ha informati dell’accaduto, esortandoci ad affrontare l’esame con serenità, come il professore avrebbe voluto”, esordisce Alessandro, ricordando lo “sgomento sul da farsi” e “l’invito della rettrice a non perdersi d’animo”. “Venuto a sapere dell’allestimento della camera ardente, in cui poter stringersi in raccoglimento per l’ultimo saluto al professore, non ci ho pensato due volte e, salito sul primo treno in partenza, sono rientrato nella capitale. All’arrivo nell’aula magna della facoltà di lettere – prosegue Modesto – l’atmosfera che si respirava era strana: allo shock che aveva lasciato tutti increduli si accompagnava la gratitudine per aver avuto, come maestro, un vero intellettuale, umile come tutti gli uomini e le donne di cultura”.
Serianni era questo. Un’istituzione che non ha mai voluto separare sé stesso – sì, una volta scherzando il professore disse che avrebbe voluto essere ricordato come lo studioso del “sé stesso” accentato – dal contatto con gli altri. In un mondo in cui il rilievo sociale si tende a misurarlo con l’intoccabilità, Serianni si è sempre confrontato. “Coerente, in questo, con l’idea che una lingua è un organismo vivente, che vive di contatti e di rapporto con la società civile. Quella società di cui si sentiva stabilmente parte, convinto che la lingua fosse lo strumento imprescindibile per realizzare una comunità”, spiega lo studente. “Poiché la lingua – ogni lingua – cambia con lo scorrere del tempo, influenzata, in ciò, dall’uso come fattore linguistico, per Serianni il legame con gli studenti era un mezzo pratico ed empirico per sondare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, i mutamenti interni al linguaggio, la formazione di nuove parole, e così via”, puntualizza Alessandro, sottolineando come il docente “insegnando la correttezza formale della parola, educava anche alla correttezza nell’uso delle espressioni, ciecamente convinto della perfetta corrispondenza del legame tra parole e cose”.
Rattristati ma non scoraggiati, Alessandro e altri amici, allievi della Scuola Superiore di Studi Avanzati, si sono subito attivati per rendere omaggio a Serianni, maestro del dialogo che sapeva insegnare il valore della parola. “Sostenuti anche da studenti non iscritti a facoltà umanistiche ma profondamente segnati dai suoi apprendimenti, nel giro di un pomeriggio abbiamo steso un breve testo in forma di lettera per ricomporre i momenti salienti del rapporto educativo tra maestro e allievi”, illustra Modesto.
“La provenienza trasversale dei firmatari è stata preziosa per rimarcare la gentilezza e l’umiltà come virtù di un uomo in fondo comune, dotato di competenze trasversali e interdisciplinari, che sapeva elegantemente aprire il proprio sapere a chiunque si ponesse in ascolto, anche fuori dalle aule universitarie”, prosegue. Un gigante attento e gentile, capace di ricordare “i nomi e le circostanze di tutti, informandosi degli studi, interessi, provenienze e opinioni”, ricorda con affetto Alessandro.
“La sua eleganza è stata per noi d’esempio. In una società in cui serve gridare per essere ascoltati, Serianni parlava a bassa voce. Immersi in una comunicazione in cui si premia soltanto la quantità e l’eccesso, sapeva scegliere le parole giuste e necessarie”, precisa. “Da studente, appena entrato a far parte di una grande realtà universitaria, ho notato una caratteristica di Serianni che mi ha sempre impressionato, al di là dell’enorme e indiscusso valore professionale: vale a dire la capacità di tenere l’uditorio inchiodato alle sue lezioni con la magia della parola e la forza di quello che diceva. Nessuna concessione alla spettacolarizzazione. Solo la forza gentile – un ossimoro che per lui era quanto mai calzante – di chi crede nella bellezza e nell’importanza delle cose che dice».
Riportiamo, dunque, alcuni stralci della lettera scritta dagli allievi della SAS (leggi il testo sul sito della Sapienza), vero e proprio elogio che si deve a un grande maestro della parola e dell’ascolto.
“Ci ha insegnato a costruire il testo, a orientare la lettura e a orientarci in essa; a coltivare la chiarezza, la correttezza e l’efficacia, a scoprire il significato profondo di ogni segno. Parlare del nostro caro professore comporta avere lo sguardo rivolto verso il futuro; ogni grande maestro, infatti, quando insegna, insegna per il domani. Ci ha mostrato un sapere che continua a crescere trasmettendosi alle nuove generazioni. Nonostante avesse tanto da dirci, ha ritenuto importante anche ascoltarci; infatti, la parola per lui era dialogo. Ha saputo interessare chiunque si ponesse in ascolto, fossero essi studenti di lettere, ingegneria o psicologia. Come Brunetto Latini, ci ha formato non solo nella retorica, ma ci ha fornito anche un modello di persona. Ci tornano alla mente le sue parole: ‘Ogni volta che fate un intervento, ragazzi, concludetelo con un grazie, perché non è scontato che qualcuno vi abbia prestato attenzione’ ”.
Come storico della lingua, Serianni, ha sempre manifestato la convinzione profonda che la padronanza linguistica rafforza il senso di appartenenza ad una comunità. Da qui il suo impegno civile che lo portava a non rifiutare mai gli incontri, frequentissimi, nelle scuole con alunni e insegnanti. Degli uni riconosceva il lavoro importante di formazione culturale e sociale, degli altri le potenzialità che occorreva coltivare. Nell’ultima lezione alla Sapienza, prima della pensione, in un’aula gremitissima di studenti, li salutò così: “Voi per me rappresentate lo Stato“. Parole che resteranno nei cuori di chi, ogni giorno, crede e alimenta il modello di un’accademia viva, fertile e universale dentro e fuori l’accademia stessa.
In alto, Luca Serianni