C’è un paese che rinasce in una calda sera d’estate. Si rianima nelle piazze, nei bar, nei vicoli del centro antico, nel corso principale pervasi dal profumo dei dolci o dall’odore della carne alla brace. È la Festa Maggiore, l’evento clou dei festeggiamenti in onore della Madonna di Sovereto, patrona di Terlizzi, che tutti i cittadini stavano aspettando dopo i due lunghi anni di pandemia. Terlizzesi e non solo, considerata l’enorme affluenza dai centri vicini, che ha consentito alla “città dei fiori” un grandioso ritorno ai fasti del passato. Scintilla la bigiotteria sulle bancarelle della fiera, brillano ad intermittenza le luci del luna park, splendono le luminarie sulla torre dell’orologio, in piazza Cavour. E’ la rutilante scenografia che incornicia il passaggio del famoso carro trionfale dal basamento scuro, spinto dalle braccia di decine di devoti e trainato dai quattro timonieri e il loro capo, il “maestro di guida”, raggianti nei loro caratteristici costumi: camicia bianca, gilet rosso, pantaloni blu, cinturone azzurro, berretto bianco con pon pon, calze bianche e scarpe nere.
L’imponente macchina trionfale, alta ben 22 metri, condotta quest’anno dalla famiglia De Lucia, rappresenta l’istantanea devozionale più calzante di un percorso di fede consolidato nei secoli, partito da un racconto fantasioso cui si è aggiunto quasi spontaneamente un folklore mai sopito e ravvivato nel tempo. Stando ad un’antica narrazione, un pastore bitontino, intento a liberare una pecora caduta in un fosso, avrebbe ritrovato un’icona della Vergine Maria con bambino nel borgo di Sovereto. In quell’occasione fu proprio un carro trainato da due buoi, uno bitontino e uno terlizzese, a decretare la permanenza della sacra immagine nell’agro terlizzese: nella sfida tra le due bestie si impose quella terlizzese che accecò con una cornata il bue bitontino. Ancora oggi, infatti, sull’impalcatura mobile della grande macchina a ruote troneggia l’effige della Madonna di Sovereto a suffragare il ricordo di quel memorabile evento.
Resta impossibile stabilire se tutta la popolazione sia a conoscenza del curioso aneddoto che ha consentito al paese di aggiudicarsi la sacra icona, riportando una vittoria schiacciante e significativa sulla vicina Bitonto. Tracciare una netta linea di demarcazione che separi la fede dal folklore risulterebbe un’operazione azzardata, specie in circostanze come queste dove il confine tra le due entità appare labile e quasi impercettibile. Inutile arrovellarsi dunque su un’astiosa e vecchia querelle, avulsa totalmente dal contesto gioioso e goliardico respirato a Terlizzi nei tre giorni di festa patronale. Una chiassosa allegria che si rinnova – dopo il lungo silenzio causato dalla pandemia – ravvisabile sul volto dei bambini seduti sui gradoni del carro, pronti a salutare la gente che li immortala sventolando cappellini bianchi.
Flash impazziti, battute salaci degli uomini che dal basso reggono gli ingranaggi del carro, applausi ad ogni prodezza dei timonieri, una banda in visibilio e la presenza del neoeletto sindaco Michelangelo De Chirico per una città che spesso cela la sua bellezza destinandola solo alle grandi occasioni. E quale occasione più grande per vedere Terlizzi sfavillare con un elegante abito da cerimonia? Ieri sera la città si è resa ancor più raggiante per ricevere l’abbraccio di una delle voci più acclamate del panorama musicale, Fabrizio Moro. Lo hanno atteso in tanti, alcuni nello spazio riservato ai possessori del ticket, altri affacciati alle transenne a parecchia distanza dal palco.
Poco importa quanto il cantautore romano si sia fatto attendere prima del concerto, tra sguardi impazienti agli orologi, animi scalpitanti e corpi trafelati per l’enorme tasso di umidità. Accolto da un’enorme ovazione, l’artista rigorosamente in look total black sforna per il pubblico pezzi tratti dal suo meraviglioso repertorio. Si comincia con La mia voce e Questa è benzina, che scaldano l’atmosfera a colpi di batteria e riff di basso; si cambia poi registro con le romantiche poesie in forma di musica Eppure mi hai cambiato la vita, Sei tu, Portami via e la ballata Alessandra sarà sempre più bella sulle cui note si sprigiona un tripudio di palloncini colorati. Gran finale con i capolavori Pensa e Non mi avete fatto niente con i quali l’autore ha trionfato a Sanremo nel 2007 nella sezione giovani e nel 2018 in coppia con Ermal Meta nella categoria Big. Un timbro graffiante, un urlo liberatorio (“contro chi sotterra la coscienza nel cemento“) e potente in favore della pace: i fan di Fabrizio Moro cantano così, dondolandosi stretti, affratellati, uniti sotto lo stesso cielo e un cuore che batte all’unisono.
La foto in alto è di Walter Angelo Larovere. Le altre foto sono di Vittoria Leone