L’identità di Warhol al castello di Monopoli

Con una serie di opere particolarmente significative, la mostra illustra il percorso che ha reso l’artista una delle figure più iconiche e controverse di tutto il Novecento

Colorata, eclettica, originale. Nel Castello Carlo V di Monopoli, a pochi  passi dalle acque cristalline che lambiscono il nucleo antico, la mostra Warhol – Pop Art Identities illustra la complessa personalità di Andy Warhol attraverso un percorso espositivo di 33 opere, che hanno reso l’artista una delle figure più iconiche e controverse di tutto il Novecento. La conturbante personalità del genio di Pittsburgh affiora già dai primi anni dell’adolescenza allorché ad un temperamento introverso e a numerose problematiche relazionali si unisce un aspetto estetico poco gradevole causato dalla salute malferma. Malgrado viva sulla propria pelle l’emarginazione da parte dei compagni di classe e dei suoi familiari, il piccolo Andy dimostra sorprendentemente un naturale gusto estetico, una spiccata propensione nel disegno e una grande abilità sperimentativa.

       

Doti che estrinseca dopo il trasferimento a New York nel 1949, dove in qualità di grafico pubblicitario e poi di libero artista ottiene risultati grandiosi, e successivamente con l’invenzione della “serigrafia fotografica” nel 1962. Questo sofisticato processo di stampa consiste nel trasferire un’immagine fotografica su una superficie di seta, in modo da poterla facilmente duplicare sulla tela, distendendo la stoffa sul supporto da imprimere e applicando la pittura o l’inchiostro con una spatola di gomma. Una tecnica che riflette pienamente il desiderio di creare un microcosmo artistico distaccato, neutrale, standardizzato retto dalla spietata logica del denaro. Quelle campiture cromatiche così uniformi e vivaci presenti in tutte le sue opere divengono lo specchio della società del consumo negli anni del boom economico, durante i quali la vita politica e sociale passava attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

Da qui l’esigenza di offrire un vivido ritratto della temperie culturale in cui vive, perché se è vero che l’arte appartiene a tutti e deve essere “consumata” come un prodotto commerciale, anche le stesse merci di massa tendono a rappresentare la tanto auspicata democrazia sociale, in base alla quale celebrità del calibro della regina d’Inghilterra, Jimmy Carter e Liz Taylor bevono la Coca Cola al pari dei senzatetto. Dunque, un programma figurativo votato ad immortalare l’anelito progressista di ogni classe sociale e che, pur nei suoi limiti, guarda al futuro e si apre al nuovo con l’ausilio dei mass media.

Di questo estroso modo di intendere l’arte sono prova le numerose opere in mostra a Monopoli sino al 31 agosto, nella rassegna prodotta e organizzata da MetaMorfosi Eventi, in collaborazione con MostreLab e Wall Drawings e con il patrocinio del Comune di Monopoli, curata dallo storico e critico d’arte Maurizio Vanni e coordinata dal curatore e critico d’arte Lorenzo Madaro.

Un’estetica illustrata dai primipiani dell’ignota Carla Pizzera (pittura acrilica e serigrafia su tela), musa ispiratrice di Warhol dagli inizi degli anni ’60, del collezionista statunitense Frederick Weisman, di Lenin (serigrafia su carta Arches) e Mao Tse-tung (serigrafia su carta da parati), di Marilyn Monroe (serigrafie su carta), di Miguel Bosè (serigrafia su carta pressata a caldo) e della dottoressa tedesca Mildred Scheel (serigrafia su carta). Alcuni di questi, sdoppiati, giganteggiano nella loro unicità, altri invece appaiono duplicati – come nel caso del suo autoritratto (serigrafia su carta) collocato all’inizio della mostra – triplicati o addirittura quadruplicati in serie, nella medesima posa o in espressioni molteplici.

Negli ampi saloni del maniero monopolitano c’è spazio anche per le serigrafie dedicate a Cow, nate quasi per gioco dalla ‘sfida’ di un commerciante che chiese a Warhol di ‘eternare’ l’immagine di una mucca, una sezione dedicata alla cinematografia e alla musica, in virtù della preziosa collaborazione di Andy Warhol con Lou Reed, i Velvet Underground e Mick Jagger che gli commissionò la copertina di due dischi. Ultima ma non meno importante è Flowers, la piccola serigrafia su carta del 1964 raffigurante quattro fiori disposti simmetricamente ai quattro angoli di una superficie quadrangolare: una foto che Andy rielabora e trasforma conferendole un successo imperituro. Quelle curiose ripetizioni dei soggetti, rese emblematiche attraverso l’impiego di colori sgargianti, testimoniano quanto l’arte a volte si alieni da una dimensione introspettiva tanto cara agli artisti precedenti al XX secolo, per assurgersi a veicolo di informazione nonché punto di contatto con il mondo che ci circonda.

Per Andy Warhol l’artista non esiste, esiste solo la sua arte intesa come espressione del tempo in cui si vive. Un hic et nunc disorientante, che esalta la contemporaneità ma lascia altresì aperto un interrogativo: un’opera d’arte può essere così asettica e prescindere sempre dalle sensazioni del suo creatore? Una domanda che non trova risposte immediate, a cui penseremo forse dinanzi ad un buon caffè e al luccichio del mare.

Le foto dell’articolo sono di Vittoria Leone