Buon compleanno Galleria Nazionale!

Nel primo anniversario della scomparsa, ripubblichiamo l'intervista al prof. Girolamo Devanna che fa un bilancio sui primi anni della pinacoteca di Bitonto

È sera. Pioviggina e fa piuttosto freddo. Stretto nell’impermeabile, attraverso a passi larghi Piazza Cavour, finalmente libera dalle auto e stranamente romantica sotto il bagliore dei fari, e mi dirigo verso via Planelli, a un passo dalla cattedrale. “Ma lo sai che Antonio Planelli è stato perfino più grande di Gluck? È lui che ha inventato la riforma del melodramma. Un grande studioso, un talento assoluto”. Sono le parole con cui il professor Devanna, il mitico Mino Devanna, mi accoglie in casa, al secondo piano dello storico palazzo nel cuore del centro antico. Un modo gentile per attaccare discorso, per non farmi pesare l’imbarazzo di quasi mezzora di ritardo.

“E Sgarbi che ha detto sulla mostra del Cinquecento Pugliese alla galleria?” rilancio, sollecitando il narcisismo del professore, nel tentativo di guadagnarne l’interesse alla conversazione. “Mi ha chiamato all’improvviso, qualche sera fa, mentre veniva da Roma” risponde. “Abbiamo fatto un giro della mostra, ma all’uscita siamo stati circondati da una folla di curiosi e Sgarbi, come al solito, non si è risparmiato. Poi, mi ha chiesto di vedere il Paolo Veronese nella chiesa delle Vergini. E, così, alle otto e mezza, siamo andati a bussare senza successo, al campanello delle suore: un orario decisamente proibitivo per un convento di clausura” conclude sornione. “E allora?” mi chiede. Il tempo dei convenevoli è terminato.

Un momento dell’intervista al prof. Girolamo Devanna (foto di Max Robles)

“Professore, circolano voci secondo cui la galleria sarebbe a rischio di chiusura…”, chiedo. “Voci assurde, messe in giro con l’unico scopo di creare malumore. Se conoscessi chi si diverte a spargere simili veleni, non esisterei un attimo a querelarlo”, la replica stizzita.

Il tè e i pasticcini possiamo metterli da parte. Il temperamento sanguigno del professore prorompe come una colata di lava. In realtà non sono pochi in città, anche “in alto”, a considerarlo un personaggio bizzarro, un rompiscatole che è meglio lasciar perdere. Eppure, se non fosse per la sua caparbietà, i suoi modi “spicci”, uniti tuttavia ad un’estrema franchezza e a grande lealtà – per non dire della straordinaria competenza che lo porta in giro per il mondo per conto di famose istituzioni culturali, a valutare capolavori d’arte – quella splendida realtà che è la galleria nazionale, forse oggi sarebbe soltanto un miraggio.

E sì: se una decina d’anni fa Mino non avesse minacciato di regalare la sua collezione (oltre settecento tavole da Tiepolo a Poussain a El Greco a Gross) a qualsiasi museo nazionale (compreso quello della capitale albanese) in grado di offrire un’adeguata cornice, col cavolo che politici locali e nazionali, insieme a tanti funzionari del ministero, si sarebbero messi a lavorare seriamente, bonificando un palazzo in rovina e regalando a Bitonto uno dei siti d’arte più belli e interessanti di tutta la Puglia. “Nel primo anno la Galleria ha staccato settemila biglietti, un record rispetto alla Pinacoteca Provinciale di Bari e al museo De Nittis di Barletta, le uniche due istituzioni pugliesi con cui si può tentare un paragone”, incalza il professore.

Ciò non vuol dire che siano tutte rose e fiori. D’altra parte, che le gallerie nazionali siano in deficit non è un mistero. Perfino gli Uffizi di Firenze, i cui proventi sono inghiottiti dal Tesoro. “Per tornare agli ‘untori’ di casa nostra, affermare che la galleria possa chiudere è come sostenere che si possano chiudere le scuole. Un’autentica stupidaggine! È un museo di proprietà del ministero dei Beni Culturali. Può risentire delle ristrettezze del bilancio pubblico, ma affermare che si possa cancellare è solamente un’idiozia”, il commento schietto di Devanna.

Eppure, qualche motivo di dispiacere Mino ce l’ha per questa sua creatura, la cui gestazione ha seguito passo dopo passo, con il sostegno dell’inseparabile sorella Rosaria, nel corso di una decina d’anni, dall’idea alla realizzazione. “Dopo la mia donazione, lo Stato non ha speso un centesimo per l’acquisto di altre opere, come ha fatto invece per altri musei. Il dipinto di Bordon, per esempio, una delle perle della mostra in corso, che raffigura l’ultimo duca di Bitonto – osserva il professore – dovrebbe essere associato permanentemente alle opere in galleria”. Ma torniamo ai motivi di soddisfazione. Così l’intervista diventa l’occasione per un bilancio, proprio quando il museo festeggia il suo quarto compleanno. “La nostra galleria incarna un modello alternativo rispetto alle altre, interpretato alla perfezione dalla direttrice Nuccia Barbone. Non è uno spazio statico, consegnato per sempre alla storia. Vi si organizzano mostre, incontri, concerti come si fa all’estero, dove la gente va al Metropolitan normalmente una volta al mese, non una volta nella vita”, chiarisce Mino.

Particolare di un’opera in mostra presso la Galleria Nazionale di Bitonto (Foto di Andrea Melato)

“Qualcuno sostiene che si coltivi qualche interesse personale nel proporre pezzi di collezioni private?” chiedo, citando l’esempio della mostra dedicata agli abiti di corte della famiglia Iatta di Ruvo. “Riecco gli untori!” sbotta il professore. Che spiega: “Ma che male c’è a collaborare con i privati? L’avevano capito pure certi ministri del passato come Urbani, peraltro molto vicino al nostro museo, che è questa la strada da seguire”. “Fatto sta che della nostra galleria, di quello che fa, delle attività che propone, ho sentito parlare qualche giorno fa a Basilea, da un gruppo di architetti tedeschi. Per non dire della soddisfazione di vedere in vetrina, a New York o a Londra, il catalogo di qualche mostra allestita qui a Bitonto”, prosegue.

Tutte cose belle! Ma perché questo museo non riesce a spiccare il volo, entrando nei circuiti del turismo che conta? Come merita per la qualità e l’originalità delle sue opere? La nuova domanda. “Per colpa della politica, di funzionari che non sono all’altezza. Un intellettuale onesto e preparato come Ugo Soragni, che è stato sovrintendente dei beni culturali della Puglia per tanti anni, se lo sono portato a Trieste, causando un vuoto incolmabile in una regione come la nostra, che denota una fragilità spaventosa in questo settore”, risponde il professore. E torniamo ai più e tanti motivi di ottimismo. Ormai non è più un miraggio vedere frotte di turisti che tagliano il centro storico diretti alla galleria. In questi giorni, poi, con l’Amifest, un’altra bella e proficua invenzione del maestro Vito Clemente, con gli attempati visitatori tedeschi e francesi si intrecciano i serpentoni colorati dei giovani artisti giapponesi, impegnati nell’opera lirica al Traetta, ammaliati dal fascino di tanti capolavori.

Non c’è che dire, un bel vedere! La riprova che questa città è una miniera a cielo aperto e che se si sceglie la strada giusta (come, primo fra tutti, ha fatto negli anni passati il sindaco Pice) i palazzi, le piazze, le cento chiese possono diventare un volano di sviluppo e benessere. Come dimostrano i locali che spuntano come funghi nel perimetro del borgo antico. “Oggi, finalmente, si è messo in moto un meccanismo virtuoso che si traduce in opportunità di lavoro e comportamenti adeguati. Questa, fino a qualche anno fa, era la città più sporca del sud e oggi ‘rischia’ di diventare un esempio di attenzione al bene pubblico”, sorride beffardo Girolamo Devanna. Tiriamo, dunque, le somme. “Si può dire che la scommessa del museo nazionale sia vinta?”, interrogo. “Credo di sì, tra tanta luce e qualche ombra, come sempre e, soprattutto, nonostante gli untori”, si congeda il professore.

Nella foto in alto, il particolare di una tela della Galleria Nazionale (Foto di Andrea Melato)