Quei ragazzi “in letargo” che fuggono dal mondo

Il torpore profondo in cui cadono molti figli di stranieri, rifugiatisi in Svezia per motivi politici, è un modo con cui il corpo esprime un’intensa sofferenza psichica

È definita Malattia della bella addormentata o Sindrome della rassegnazione: si tratta dello stato comatoso in cui versano centinaia di bambini e ragazzi in Svezia. In un primo momento, era stata divulgata l’idea che si trattasse di una sorta di disturbo fittizio o, addirittura, della Sindrome di Münchhausen. Secondo i dati del Comitato nazionale di sanità svedese, si tratta, invece, di individui realmente e gravemente malati, originari di famiglie provenienti dai Balcani, dalle repubbliche ex-sovietiche e dal Sud della Russia, per la maggior parte appartenenti a minoranze etniche e religiose, richiedenti asilo e a rischio di deportazione. I loro genitori sono, in genere, perseguitati politici, vittime di violenze, torture e stupri.

Di tale sindrome si era già parlato nel 2017 a seguito della pubblicazione della fotografia di Magnus (l’immagine in apertura), che ritraeva due sorelle originarie del Kosovo finite in coma nonostante il loro cervello funzionasse regolarmente.

Bambini e ragazzi tra gli 8 e i 15 anni si isolano gradualmente dall’ambiente circostante, rifiutandosi di mangiare e parlare, fino a cadere in uno stato di torpore profondissimo. Secondo quanto sostenuto da Giancarlo Cerveri, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’azienda sociosanitaria di Lodi, si tratterebbe di una “malattia in cui psiche e soma si fondono”. Sappiamo bene, infatti, che la comparsa della patologia può divenire un modo, seppur disfunzionale, per affrontare una condizione di disagio profondo. Ritirarsi dal mondo, rifiutare ogni contatto con l’esterno, diventa paradossalmente una risorsa e una modalità per il corpo di esprimere un’intensa sofferenza mentale. Una via di fuga, l’unica maniera per sottrarsi a una situazione invivibile.

Si assiste, dunque, allo svilupparsi di forme in cui c’è una sorta di dissociazione tra comportamento e capacità di esprimerne il senso: l’incapacità di attribuire un significato, persino a semplici azioni di vita quotidiana. A tal proposito, ricordiamo che anche nei campi di concentramento nazisti, alcuni internati, passavano lunghi periodi in catalessia per poi andare incontro a morte per disidratazione e denutrizione.

Inclusa nel 2014 nella versione svedese dell’ICD-10 (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati), la RS (Resignation Syndrome) è sempre correlata a un pregresso disturbo da stress post-traumatico e/o depressione e presenta alcuni sintomi tipici della catatonia: stupore, mutismo e negativismo. Si ipotizza, quindi, che si potrebbe trattare di una forma estrema di disturbo dell’umore o di ansia, correlata con lo stato di allerta e di paura innescato dai traumi fisici e psichici di cui i bambini sono vittime.

La società svedese, aperta in passato all’accoglienza e all’integrazione, ha progressivamente sviluppato un sentimento anti-immigrazione, ormai frequente nei paesi europei. Pertanto, le richieste di asilo, oltre ad avere tempi di valutazione più lunghi, vengono sempre più spesso rifiutate. L’annuncio di tale rifiuto e la prospettiva della deportazione provocano, allora, uno stato di ritiro dal mondo da parte di bambini già ben inseriti nel nuovo ambiente.

La Commissione svedese per la Salute e il Welfare in una guida del 2013 sul trattamento della malattia sottolineava che: “L’unica cura finora disponibile sembrerebbe quella di offrire alle famiglie un permesso di soggiorno, anche temporaneo. Un permesso di residenza permanente è perciò considerato di gran lunga il trattamento più efficace”.  Un concetto basato sulla nozione del “senso di coerenza” del sociologo israeliano Aaron Antonovsky’s secondo il quale, il benessere mentale dipende dalla convinzione che “la vita sia ordinata, comprensibile, strutturata e prevedibile e che la malattia psicologica deriva dall’incoerenza narrativa, una storia di vita che cambia corso”.

La guarigione di questi bambini è molto graduale e lenta, inizia solo quando la famiglia si sente al sicuro e sembra dipendere dalla ricostruzione della speranza. Una speranza che pare possa essere trasmessa solo dai genitori, attraverso varie forme di comunicazione: cambiamento del tono di voce (seppur inconsapevole), della corporeità ed atmosfera famigliare.

Possiamo, allora, cercare di comprendere la realtà descritta e quell’idea di rassegnazione drammaticamente attuale, che ci spinge a riflettere su quanto gli eventi traumatici, l’incertezza e la perdita di fiducia, mettano a rischio la sopravvivenza psichica e fisica delle persone. In tali casi, basta soltanto la parola ad evocare la perdita di salvezza, a indurre il crollo e il progressivo ritiro da un ambiente che rifiuta, dopo aver creato l’illusione di un futuro.

La foto in alto è di Magnus Wennman