La città va sempre avanti, anche quando il nostro scetticismo potrebbe portarci a pensare il contrario. Passano le strade, passano i tempi, passano i morti. Tutto passa. Restano, provate, le pietre. D’animo rivestite, però: la città è dunque lì, con i suoi fatti, con i suoi errori, pure con i suoi pazzi. E questa città va raccontata. Lo sa Domenico Fioriello, architetto di formazione specialistica ma uomo in ricerca e a tutto tondo, specie in ambito storico-artistico, a forte carica anche antropologica.
Un discorso appassionato il suo, flusso che non poteva non toccare la fotografia, sua forse vera passione. Abbiamo già qualche volta detto la nostra sui suoi lavori, sulla profonda operazione culturale che egli compie con le foto della città, attività di vero scandaglio civico. E poi questo è – o in gran parte questo è – la cultura. Anche quando nega a sé un impegno diretto, essa comunque non può sfuggire al suo ruolo di proiezione: la cultura non è mai un fatto intimistico ma dialettico, pur necessariamente coinvolgendo una qual certa elaborazione interiore.
Ecco la mostra di Fioriello, inaugurata nei mesi scorsi presso la redazione del nostro giornale e dal 4 luglio al 28 settembre riproposta all’Hotel de Galliffet, su iniziativa di Francesca Marocchino, dall’Istituto italiano di cultura di Parigi. Immagini di una città che si racconta nella essenzialità delle sue forme e della sua nuda verità quotidiana. Una città che ha come solo evento il suo esistere. Senza orpelli, manifestazioni, superfetazioni di alcun tipo. È stato detto che lo stile di Fioriello si inserisce nella cifra di un Ghirri ed è vero, verissimo. Ci siamo sia come forma, sia come contenuti.
La linearità apollinea appare unidirezionale rispetto al proprio – praticamente conclamato – fine: la realtà come rappresentazione e la rappresentazione come realtà. Ne conseguono direttamente i contenuti: la città stessa, senza eccessi; il suo esistere; il suo irrompere discreto. Bitonto è una città bella e complessa, Fioriello la legge sotto il filtro del silenzio. Bitonto è anche, notoriamente, un centro rumoroso, come tutte le grandi aree urbane; disordinato in non pochi contesti, spinoso per mille motivi, difficile per aree sociali.
Queste foto non negano tutto ciò né profondono intenzioni moralistiche o vacuamente estetiche. Qui non si cerca la Bitonto migliore o la Bitonto più bella. Qui l’elemento antropico è ostentato, laddove la pietra lavorata, ricomposta e messa in struttura dall’uomo, è un fatto storico. Manca l’uomo come figura, come ente fisico; non c’è l’uomo anatomico, c’è l’uomo storico, evocato. Ma è come se la città del tempo e della stessa storia dica alla città del presente il come, il quando, forse il perché del suo essersi pensata come nucleo civico alla ricerca di usi e comodità ma anche di bellezza.
Un intervento umano sul paesaggio, anche urbano, è sempre un arbitrio, non di rado pure violento. Esisteva un territorio selvaggio dove l’insediamento e poi la città sono intervenute. E sono intervenute mediando tra necessità e bellezza. Non c’è mai stato un tempo felice, edenico, in cui tutto era salvaguardato: gli scempi hanno storia antica. Fioriello non cela all’occorrenza questo, piuttosto manifesta il bisogno di fuga dalle riottose strade del caos per riconsegnarle ad un ordine da ritrovare fermandosi, riconoscendo i luoghi e gli spazi degli uomini della storia e ripartendo da un collante comunitario altrimenti dimenticato ed accantonato.
Da qui la scelta plastica della figurazione litica, nel suo nitore lirico, nel fine gusto legato, appunto, all’essenzialità. Ed ecco quindi ritratti angoli del centro storico dove non per forza debba dominare una (supposta, tra l’altro) idea di perfezione. E non solo perché questa eventuale perfezione sarebbe comunque il frutto stratigrafico di più percorsi interposti sui luoghi ma innanzitutto per il sapiente richiamo visivo anche alla crepa, all’angolo da sistemare, a quel taglio opinabile, a quella macchia ancora insistente. È permesso, insomma, spazio all’obliquo, a quel che va reso trasparente.
La tensione armonica è così viva da non poter negare, in essa, ogni esito veridico. La bellezza risiede in un tentativo, Fioriello lo sa. Quella corda è sempre tesa e così ogni tappa non può escludere proprio nulla, tantomeno la consapevolezza di un limite. Anzi: in questa piena coscienza l’anelito al bello, più concreto che mai. Ed il percorso della mostra si è risolto per davvero in una mappatura della città antica, ‘localizzando’ in questa composita ‘architettura’ lo spirito del luogo stesso, nelle sue geometrie molteplici. Varia è la città, come si diceva. Varia è la città vecchia, ambito su cui agiscono più visioni del suo stesso ruolo e della formazione della sua identità.
Fioriello ritrae interni ed esterni, giardini, angoli della pietà popolare. Le chiese vivono nella dimensione più poeticamente asciutta: anch’esse senza l’uomo, quell’uomo che pure le ha volute e le ha volute così. Si direbbe che l’uomo sia il reale convitato di ‘pietra’ in queste foto. L’uomo come dinamica moderna, figlio, in un certo senso, delle stesse pietre volute da chi lo ha preceduto. Quell’uomo che tutti ci auguriamo possa essere un elaboratore di sguardi, preso dell’attenzione minima al luogo che i suoi avi hanno inteso – bene o male – tramandargli. In quello sguardo già la sua chiave civica. A tutto ciò Fioriello ha aggiunto l’estro creativo dell’arte, anch’esso discreto e silenziosamente eloquente, come poi anche l’uomo Domenico è.
Nell’immagine in alto, la “mappa” della città vecchia di Bitonto, manifesto della mostra fotografica di Domenico Fioriello. Le altre foto sono parte della galleria di immagini proposte nella mostra.