Viaggiare è meraviglioso ma nulla è paragonabile al “profumo” e alla voglia di tornare a casa. Sapere che nella gente, nelle piante, nelle terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta lì ad aspettarti; che come narra Cesare Pavese ne La luna e i falò lenisce il rammarico della lontananza e aiuta a non sentirsi soli. Succede sempre così alla bella Caterina Dellaere, mezzosoprano di Mola di Bari, abituata per lavoro a vivere distante dagli affetti familiari e dall’amata Puglia verso cui serba tanta nostalgia.
A spasso con una ventiquattr’ore piena di sogni e un cumulo di certezze tutte da corroborare, la giovane cantante ha calcato la scena di numerosi palchi nei panni di Clarina ne La cambiale di matrimonio diretta dal maestro Giovanni Battista Rigon al Teatro Torlonia di Roma, di Cherubino ne Le nozze di Figaro di Mozart lavorando con il maestro Donato Renzetti, Zita nel Gianni Schicchi di Puccini, Scoiattolo ne Lo Scoiattolo in gamba di Nino Rota.
Se il Teatro Coccia di Novara ha segnato il suo ‘trampolino di lancio’ in campo professionale, interpretando i ruoli di Luna in De due ne famo una del maestro Cristiano Serino e Gaia ne La zuppa di sasso di Federico Biscione, il vero debutto arriva al Teatro Lirico di Cagliari, dove ha vestito i panni di Orfeo nell’Orfeo e Euridice di Gluck diretta da George Petrou. Successivamente il ritorno a Novara per calarsi entusiasta nella divertentissima parte della sorellastra Tisbe ne La Cenerentola di Gioacchino Rossini diretta Antonino Fogliani, una delle più grandi bacchette rossiniane nel panorama internazionale.
Poi l’ascesa, l’estasi, il brivido dell’inaspettato; la meraviglia negli occhi e nel cuore per avercela fatta dopo tanto vagare. Proprio in quel bellissimo tempio dell’opera che l’ha vista spettatrice fin dall’infanzia, Caterina esordisce nel Werther di Jules Massenet, sotto la direzione orchestrale del maestro Giampaolo Bisanti, nelle vesti di Charlotte, la fanciulla dolce e remissiva che rinuncia ad un amore extraconiugale per adempiere ai doveri di figlia diligente e di moglie completamente asservita al suo promesso sposo.
“È stata un’emozione indescrivibile cantare a casa, nel Teatro Petruzzelli, una di quelle che porterò sempre con me ovunque vada”, racconta. “Certo, alcuni anni prima avevo cantato in alcune produzioni come artista del coro aggiunta, quando ero ancora studentessa del conservatorio, ma tornarci dopo alcuni anni, da solista, con il ruolo di Charlotte che più mi rispecchia è stato come toccare il cielo con un dito. Spero di tornarci al più presto“. Quella speranza di un romantico ‘rimpatrio’ chiusa in un cassetto non le impedisce però di guardare verso nuovi e fascinosi orizzonti.
E’ la sentimentale Verona, la città dell’amore per eccellenza che ha dato i natali all’illustre Catullo e ha ispirato una generazione di poeti da Dante a Shakespeare, ad accoglierla nella maestosa Arena dove si è esibita il 17, 24 e 30 giugno, con repliche previste l’11 e il 14 agosto, nel ruolo della zingara Mercèdès nella Carmen di George Bizet. Sull’onda dell’entusiasmo, la ventiquattrenne pugliese ricorda il giorno in cui le hanno comunicato la notizia del debutto: “era il 25 marzo e stavo per iniziare la mia prima prova di sala al Petruzzelli per il Werther. Ho ricevuto una carica pazzesca“, afferma. Malgrado la maggior parte del repertorio mezzosopranile sia in francese, lingua con la quale ha imparato a confrontarsi già nel corso dei suoi studi, l’artista molese rammenta le difficoltà della pronuncia: “il francese è una lingua ostica in particolare a livello canoro, poiché molti fonemi possono infastidire l’emissione della voce. Diventa quindi fondamentale affidarsi ad un coach, che possa subito effettuare le opportune correzioni in fase di studio”. “L’ostacolo più duro è infatti dover cantare in una lingua che spesso non è la nostra, ma dare l’impressione a chi ci ascolta che tutto avvenga con assoluta naturalezza, come se parlassimo quella lingua da sempre. L’unica soluzione resta la ripetizione continua ed estenuante. Solo così si dispone di una buona memorizzazione e un’adeguata padronanza del ruolo“, chiarisce.
Per la piccola grande Caterina si prospetta, dunque, un avvio di carriera con i fiocchi, che lascia ben sperare su un prosieguo professionale scoppiettante. La sua voce limpida e tenace, dal colorito impeccabile, forte e sicuro, può aspirare a competere con quella dei mezzosoprani più famosi: Cecilia Bartoli, Elina Garanca, Geraldine Chauvet, Nadia Krasteva, Daniela Barcellona, Luciana D’Intino. Oltre al debutto in Arena, che rappresenta il coronamento di un sogno, Caterina sta preparando il terreno per tante altre sorprese. Chissà, forse tra qualche tempo potremmo dirci orgogliosi di aver intervistato questa ragazza così ambiziosa, divenuta ormai un’artista di successo, che ovunque vada ascolta il passionale richiamo della sua terra.
Una suadente eco per chi come lei non dimentica quel miracoloso colpo di fulmine che la fece innamorare della musica già da bambina, quando decise di frequentare il coro dei fanciulli nella parrocchia del suo paese. “Presi quella decisione solo per passare altro tempo con i miei compagni di classe. Nel coro ‘Emmanuel’ ho ricevuto una vera e propria formazione musicale cercando di tenere a bada l’emozione. Tremavo come una foglia quando mi veniva affidato anche un piccolissimo intervento solistico. Ho imparato a respirare, una cosa che può sembrare scontata ma non lo è affatto; ho capito anche quanto sia importante l’ascolto. Perché nel canto non si è mai soli, ma si rimane coinvolti in un gioco di squadra a totale servizio della musica“, precisa.
E passando in rassegna gli anni di formazione e perfezionamento non può non esprimere gratitudine nei confronti del suo mentore, Camillo Facchino, il tenore che dal coro dell’Emmanuel le consigliò di approfondire lo materia del canto. Con lui si è preparata all’ammissione al conservatorio di Monopoli. Aveva solo 14 anni e cominciava a scrivere una nuova pagina della sua vita, probabilmente il capitolo più bello durante il quale ha acquisito fiducia nei propri mezzi e consapevolezza del suo talento, grazie alla figura del soprano nonché sua insegnante Rosanna Casucci.
Da allora Caterina non si è più fermata. Custode di una tecnica sopraffina, ha continuato a frequentare accademie di perfezionamento, tra cui il Teatro Coccia di Novara, una validissima realtà per tanti talenti che desiderano specializzarsi nel settore teatrale o artistico. Ed è a loro che infine si rivolge esortandoli a non mollare: “noi giovani siamo il futuro di questo paese, abbiamo tanto da dire e dobbiamo farlo, sempre e comunque. In bocca a lupo quindi a tutti coloro che credono nella bellezza dei propri sogni affinché questi possano diventare realtà e regalare numerose soddisfazioni“. Intanto, buona fortuna a te Caterina: toi toi toi!
Le foto sono tratte dalla pagina fb di Caterina Dellaere