Il terzo spicchio della “mela” sarà la somma delle soluzioni alla guerra

Gianni Cuperlo, ospite del centro studi Reichlin a Barletta, racconta la storia del continente nel Novecento di cui parla nel volume "Rinascimento europeo"

C’è una bella frase che Jean Monnet, uno dei padri dell’Europa unita, pronunciò nel 1954, a meno di un decennio dalla fine della seconda guerra mondiale: “L’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni date per rispondere ad esse”. È la frase che Gianni Cuperlo ha citato in occasione della presentazione del suo libro presso il centro studi Alfredo Reichlin a Barletta. Rinascimento Europeo è un’opera che Cuperlo ha cominciato a scrivere quattro anni fa, all’indomani della pesantissima sconfitta elettorale del Pd, il 4 marzo 2018, con la volontà di risalire all’origine del fenomeno anti-europeo e al momento in cui, in Italia, la sinistra ha smesso di preoccuparsi di quel bisogno di protezione sociale per cui l’Unione Europea fu fondata.

Un libro che racconta la storia del continente europeo nel corso del Novecento, utilizzando efficacemente la metafora di una mela poggiata sul tavolo della cucina che viene tagliata in due da un coltello. “Un pezzo della mela è la storia dell’Europa dal 28 giugno del 1914 sino alla metà del ’45. In quell’arco di tempo, relativamente breve, ci sono state decine di milioni di decessi causati da due guerre mondali, epidemie, carestie, odio tra popoli. Poi c’è la seconda metà della mela, quella che va dal 1945 ad oggi. Con una sola eccezione, che è l’indelebile macchia nera dei Balcani negli anni ’90, è la storia della più grande area geografica pacificata per decenni. Un miracolo laico che non è stato fatto dall’economia o dalle banche ma dalla politica. Quella politica che, davanti alle tragedie del proprio passato, capì che era necessario rivedere le categorie del pensiero”, ha spiegato l’autore.

E chissà se adesso quella seconda metà della mela dovrà essere divisa in un ulteriore terzo spicchio, quello che comincia con il taglio del 24 febbraio 2022, data in cui è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina. Un evento destinato a cambiare l’Europa, la percezione della sua sicurezza, caricando di significato il “dopo”, quando sarà l’ordine stesso che abbiamo conosciuto ad imporre scelte ambiziose e lungimiranti. L’Europa, ne è convinto Gianni Cuperlo, non uscirà più debole se le sue leadership avranno lo stesso coraggio di chi dopo le tragedie del ‘900 seppe mutare le categorie della storia e concepire l’integrazione economica come leva di una progressiva unità politica attorno a valori comuni. Oggi quella sfida si ripropone e ci vorrà impegno per disinnescare l’animo bellicoso che si osserva risvegliarsi nel cuore del continente. Un sentimento che va “oltre il dovere di un sostegno alla resistenza dell’Ucraina”, sottolinea Cuperlo, e che sempre più allontana la possibilità di affrontare seriamente il tema dell’ancoraggio della Russia postsovietica al destino dell’Europa.

Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione Europa

Occorre decidere adesso se si ritiene percorribile la strada di una “vittoria” sul campo, come teorizzato da Boris Johnson – e non solo da lui – oppure se si debba riaprire in ogni modo e con ogni mezzo il sentiero di una mediazione che muova da un immediato cessate il fuoco. L’opinione di Cuperlo su questo è netta: “Non può esistere una vittoria contro una potenza nucleare come la Russia. Semplicemente non è un’opzione realistica. E non possiamo permetterci di consegnare alle nuove generazioni un continente incistato con un nuovo Afghanistan o con un nuovo Vietnam”. La strada della trattativa è quindi la sola da imboccare se non vogliamo che il “dopoguerra”, perché un dopoguerra comunque ci sarà, ci precipiti in un passato remoto e nell’idea di una Guerra fredda 2.0 anziché verso il traguardo di una nuova Helsinki, come indicato dallo stesso presidente Sergio Mattarella nel suo discorso all’assemblea del Consiglio d’Europa.

“Non scopriamo adesso chi é Putin. Lo sapevamo già da tempo e non ce ne siamo mai preoccupati”, denuncia Cuperlo. E spiega: “Anzi, la dipendenza di alcuni paesi europei dal gas russo è persino aumentata dopo l’invasione della Crimea”. Secondo i dati del ministero della Transizione ecologica, infatti, nel 2014, anno dell’annessione illegale della Crimea, dalla Russia sono arrivati poco più di 26 milioni di metri cubi di gas. Cifra che è salita a 27,6 miliardi nel 2015, per poi scendere leggermente l’anno successivo (26,8 miliardi) e poi schizzare a 33,1 miliardi di metri cubi nel 2017. Nel 2018 il trend è rimasto in linea (32,8) per poi lievitare ancora nel 2019 (33,4). Fino al 2020, quando il consumo di gas russo è sceso anche per effetto della pandemia.

Il pubblico intervenuto alla presentazione del libro

La ricognizione che Cuperlo fa nel suo libro prende il via da un tratto biografico, la nascita a Trieste, sul confine orientale italiano, quello più tragico e complesso del dopoguerra, lì dove la guerra ha proiettato le sue ombre fino ad anni relativamente recenti. Ed è facendo suo l’insegnamento di quella città, ovvero la distinzione che passa tra confine e frontiera, che l’autore traccia la mappa di un’Europa che non è solo politica, ma anche geografica e culturale, e che non può non comprendere la Russia: “C’è più Europa nelle prime cento pagine di Guerra e Pace che in decine di risoluzioni del Parlamento Europeo o nel programma della Lega di Salvini”. È per questo che bisogna porsi il tema di come ricucire il legame tra l’Europa continentale e i paese confinanti. Le élite che ci hanno consegnato la seconda metà della mela, la pacificazione della seconda metà del Novecento, ebbero il coraggio di lasciarsi alle spalle l’odio, le divisioni, il nazionalismo.

“Le parole di Draghi a Washington sono quelle giuste”, spiega Cuperlo. “I popoli europei chiedono a gran voce la pace e i toni di Biden e Johnson non aiutano il suo raggiungimento. L’invasione di un Paese sovrano è un crimine che non può essere giustificato ed è per questo che abbiamo garantito assistenza militare e umanitaria al popolo aggredito. Ma è fondamentale capire adesso qual è l’obiettivo a medio e lungo termine. La guerra va fermata prima con un cessate il fuoco immediato e poi aprendo un tavolo serio di trattative. Su questo l’Europa deve giocare un ruolo fondamentale, avanzando proposte che ci permettano di uscire da questa situazione con una maggiore integrazione, cooperazione e pacificazione del continente”, conclude. Si torna ancora a Jean Monnet. L’Europa che verrà fuori al termine – si spera vicino – di questa crisi sarà, con ogni probabilità, la somma delle soluzioni date per risolverla.

Nella foto in alto, la presidente del centro studi Cinzia Dicorato e Gianni Cuperlo