C’è un antico bagliore di luna piena nella notte scura, quella che si trascorre insonni ad ascoltare e riscoprire l’impercettibile voce del silenzio, il crepitìo di una candela accesa, la ruvida carezza dei piedi nudi sull’asfalto, il tocco vellutato dei fiori su quel legno che regge fiero – da più di un secolo – un pezzo di storia della settimana santa ruvese e che la rende eterna. Una cartapesta viva, “parlante”, plasmata a misura d’uomo che, oltre ai connotati, sa emulare i sentimenti più disparati, dall’angoscia al pianto, dal dolore all’oblìo, stretti in una tacita e sospirata invocazione al cielo.
Quella drammaticità così ricercata che il cartapestaio leccese Raffaele Caretta seppe evocare nel 1920 con il meraviglioso gruppo scultoreo degli Otto Santi, ispirandosi al dipinto di Antonio Ciseri intitolato Trasporto di Cristo al sepolcro, ipnotizza, a tratti turba per un’eccessiva e forse austera esortazione al timor Dei, ma da sempre avvolge Ruvo in un abbraccio sensoriale di grazia e verecondia. Il perpetuo afflato d’amore, che spira immutato da ben 102 anni, in questa settimana santa assapora il gusto della rinascita, dopo due anni di fermo imposto dalla pandemia, sebbene mantenga inalterate le sue peculiarità.
Conforta sapere che nulla è cambiato, tutti i fedeli tornano dove tempo fa si sono uniti in raccoglimento e in preghiera. La piccola chiesa di San Rocco è ferma lì ad aspettarli e li guida da lontano con le luci colorate di una vetrata a lunetta, che riproduce a grandi linee i contorni della statua. Un rullo di tamburi e alle prime ore del giorno la porta si apre. L’enorme simulacro viene condotto fuori dalla chiesa grazie alla maestria di un gruppo di portatori che, di generazione in generazione, si tramandano il controllo della statua. Il sincronismo dei loro movimenti, delicati ed oscillanti, permette di soffermare l’attenzione sulle loro candide vesti ricamate, con bordini e scapolari rossi.
Sulle note dell’Eterno dolore del maestro Evaristo Pancaldi, seguono il lungo corteo processionale costituito da novizi, confratelli, devote e bambini che indossano abiti rievocanti quelli degli Otto Santi. Le tonalità pastello dei vestiti di Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, Giovanni Evangelista, la Madonna, Maria di Magdala, Maria di Salomè, Maria di Cleofa, assieme al pallore del Cristo morto sorvegliato dall’angelo, appunto gli Otto Santi, offrono suggestivi cromatismi che variano in base al colore del cielo, ricchi di luci ed ombre durante la notte ma decisamente più marcati sul far del giorno, quando per le vie del paese riecheggia Jone, la celebre marcia funebre del compositore Enrico Petrella. Intanto, per il nucleo antico e per le strade trafficate si diffondono odori di caffè e di dolciumi pasquali, mischiati al profumo di soffici croissant al cioccolato e alla crema appena sfornati, una sosta appagante per i più temerari che desiderano rifocillarsi dopo aver trascorso la nottata all’insegna della devozione.
Il sole si è ormai levato. Scintilla sulla facciata ristrutturata del municipio, mettendone in risalto la nuda pietra che sortisce l’ammirazione di una manciata di turisti, tutti rigorosamente dotati di macchine fotografiche. Un ultimo sguardo agli otto santi, fugaci scambi di auguri e convenevoli, e in tutta fretta si torna a casa, stanchi ma felici. Non si può spiegare, è una questione di cuore!