Da pochi minuti il parroco di una chiesa di Grumo Appula, ospite dalla cooperativa sociale Solidarietà di Binetto, ha benedetto le palme preparate dalle ragazze e dai ragazzi insieme all’équipe degli educatori: un segno chiaro e forte di pace che ha aperto i riti della settimana santa. All’esterno dell’associazione – l’ampio piazzale della stazione ferroviaria, situato tra gli ulivi, lontano dal centro – ogni giorno i bambini e gli adolescenti scorrazzano e giocano prima di iniziare a studiare. E, così, anche al termine di quel breve momento di preghiera con i ramoscelli tra le mani.
Come frutto di quel segno di pace e accoglienza, inaspettatamente, una donna alta e magra insieme ai due figlioli, Kolya e Paolo, si avvicinano al gruppetto dei piccoli e degli educatori. Sono ucraini, giunti solo da pochi giorni nel comune in provincia di Bari: aspettano il treno per una visita al capoluogo pugliese. Per ingannare l’attesa, si avvicinano al gruppo dei ragazzi, che senza esitare invitano Kolya, il fratello maggiore, a partecipare alla partita di calcio, mentre il fratello più piccolo, timido e silenzioso, rimane aggrappato alla gamba della mamma. Anche loro, però, vengono travolti dall’entusiasmo spontaneo dei ragazzi che frequentano la cooperativa. La presenza degli ucraini sul piazzale della stazione, in quel luogo apparentemente abbandonato e dimenticato da tutti, sembra essere cascata proprio dalla gocce d’acqua benedetta sparse dal parroco pochi attimi prima. La donna si siede ai bordi dell’aiuola, con il figlio piccolo adagiato sulle gambe, mentre i ragazzi l’attorniano. Insieme ai miei colleghi cerco, allora, di calmare gli animi dei bambini per garantire spazio sufficiente e respiro a mamma e piccino. Ma la donna si lascia travolgere dagli sguardi vispi e spontanei. Da pochi giorni un piccolo gruppo di ucraini è ospite di alcune famiglie grumesi. Otto di loro parteciperanno ad un corso di lingua italiana presso l’istituto comprensivo “Devito Francesco – Giovanni XXIII” di Binetto.
Provo a tradurre i pensieri della donna ucraina con il mio inglese arrugginito, tenuto a galla in comprensione e grammatica grazie all’aiuto offerto in qualità di educatore proprio ai ragazzi di quel centro, che mutano la loro vivacità in silenzioso ascolto, riuscendo in modo del tutto naturale a captare le sofferenze e ad alleggerire i drammi grazie alla loro spontaneità. Elena – questo il nome della mamma ucraina – racconta, in perfetto inglese, le sue peripezie incominciate a fine febbraio, quando i carri armati e le bombe russe hanno preso di mira la sua terra: “Sono partita da Kharkiv, città vicina a Kiew, due giorni dopo l’aggressione. Alle 5,30 di mattina, intuendo il pericolo dell’avanzata russa, ho deciso di fuggire con i miei figli, cercando di trasmettere loro un minimo di serenità; rassicurandoli sul fatto che si sarebbe trattato solo di un breve viaggio e che avremmo fatto ritorno a casa al più presto”.
“Nelle ore successive Karkhiv è stata bombardata 66 volte, uccidendo 10 civili e un bambino”, racconta Elena, che nel suo paese è una business analitic. Interrompendosi per favorire la mia traduzione, poco dopo riprende il racconto: “In Ucraina sono rimasti mio marito, mia madre e mio padre e sono molto preoccupata per loro, perchè oltre alla corrente elettrica è stata eliminata la linea telefonica e ho difficoltà a ricevere loro notizie”. Elena ha calma e temperamento; riesce a raccontare il travagliato viaggio senza privare dei sorrisi i bambini che la circondano: “Ho raggiunto alcuni amici in una città a pochi chilometri da Kharkiv per poi riprendere la mia odissea. Ho viaggiato in macchina per 16 ore insieme ai miei bambini con il timore delle bombe che piovevano sulle nostre teste. Ho raggiunto la Romania senza sapere dove andare, dove poter alloggiare, senza conoscere una destinazione. Dalla Romania, grazie alla rete del volontariato sono arrivata in aereo in Italia da qualche giorno”. Le chiedo se può descrivere lo scenario lasciato in Ucraina: “La gente è nel panico, scappa nei bunker ed è terrorizzata ad ogni allarme antiaereo. I missili stanno distruggendo le città. Sono ancor più in apprensione perchè in Ucraina è rimasto mio marito per le azioni militari contro i russi”. Dopo la mia rapida traduzione, un bambino del centro socio-educativo commenta ingenuamente: “L’ho visto in tv al telegiornale”.
Cerco di spiegare a Elena che i bambini, in fondo, pensano alla guerra come qualcosa di irreale, solo un gioco come gli altri perchè fortunatamente sino ad ora la guerra non ha toccato le nostre vite. In effetti, anche la donna ucraina sorride all’affermazione del bambino, comprende il suo punto di vista. Ma l’assurdità della guerra, di questa guerra sta minando la realtà di ogni persona. Poco dopo un altro bambino, chissà per quale fantasiosa associazione mentale, chiede a Elena se insieme a lei e i figli ci sia un cane. Sorridendo la donna mostra la foto del loro cocker, rimasto in Ucraina insieme al marito. I figli avvertono la mancanza del loro amico a quattro zampe e quando accarezzano un cane che incontrano per strada non fanno altro che pensare al cocker rimasto in patria.
Il treno regionale, a causa delle poche corse verso Bari, tarda ad arrivare e dovendo rincasare dalla cooperativa verso la città di San Nicola, chiedo ad Elena se desidera un passaggio in auto. Accetta con piacere; sollecita Kolya ad andar via in ucraino. Intanto, penso nel mio piccolo di poter regalare alla famigliola almeno un’altra breve mezz’ora di serenità dopo la loro estenuante odissea dall’est europeo verso l’Italia.
Percorriamo la strada punteggiata dagli ulivi, per me la quotidianità, per loro paesaggi nuovi. La mamma richiama l’attenzione di Kolya e Paolo su quegli scorci di natura; Paolo si è addormentato. Ogni tragitto forse è per lui l’occasione per trovare un minimo di riposo e di pace. Chissà quanto stress, tensione, paura avrà accumulato nelle migliaia di chilometri percorsi alla sua tenera età, forse 5 o 6 anni. Elena sospende per alcuni istanti ogni pensiero e affascinata dagli ulivi mi parla della qualità dell’olio pugliese che ha assaggiato e valuta di sapore più aspro e deciso, molto particolare. Sta cercando di sfruttare questo tempo in Puglia, lontana dalla sua casa, dalla sua vita ordinaria provando a dare comunque un po’ di leggerezza ai figli, distraendoli il più possibile dal pensiero tragico e pesante della guerra. “Proviamo a pensare a questa pagina della nostra vita immaginando si tratti di un viaggio di piacere; e per questo stiamo andando a visitare Bari. Soprattutto per il mio piccolo cerco di tenere distante il terrore in cui la mia famiglia e l’Ucraina sono piombate”, spiega Elena. Provo a coinvolgere Kolya spiegandogli che a Bari Nicola (Kolya è omonimo) è il nome più diffuso e che San Nicola è il nostro patrono e nella chiesa a lui intitolata pregano cattolici e ortodossi. Gli chiedo se è appassionato di calcio, soprattutto dopo la partita disputata insieme ai ragazzi della cooperativa pochi minuti prima. Elena mi informa che al figlio piace giocare a calcio, ma non segue alcuna squadra del cuore. La madre precisa che per scelta educativa i figli non utilizzano lo smartphone e non vedono molti programmi tv ma prediligono le attività aggregative, la visione di film e la lettura. Kolya, un ragazzino di una decina d’anni, è appassionato di mitologia.
In breve descrivo a Elena il mio lavoro di educatore, la mia passione per i libri e per la scrittura, trovando affinità nelle sue idee su come educare i figli e rifletto dentro di me che le sue parole sarebbero davvero utili per i tanti ragazzi che quotidianamente incontro. Le chiedo, quindi, con l’ausilio del traduttore multimediale, di fornirmi altre informazioni della sua storia, mentre poco alla volta ci avviciniamo a Bari. Elena più volte ripete – come per dare conferma, rassicurazione e giustificazione a se stessa della sua decisione di lasciare l’Ucraina – di aver fatto la scelta più giusta. Sottolinea la sua preoccupazione per i genitori e il marito e dopo aver ripercorso la sua traversata da Kharkiv in Romania fino in Italia, cerca di spiegare che la guerra scoppiata a fine febbraio è stata percepita con un principio di incoscienza e inconsapevolezza dai giovani, che si sono ritrovati coinvolti. Le persone più anziane, forse per le precedenti esperienze, hanno pensato che la guerra sarebbe finita subito. Elena è preoccupata soprattutto per i giovani che in fondo, presi dall’ardore giovanile, non sono consapevoli dell’orrore di tanta violenza distruttiva.
Dopo mi chiede quali chiese e monumenti visitare a Bari. Arrivati nella zona del centro li conduco verso il lungomare, in direzione di Pane e pomodoro. Restano affascinati dai palazzi e dall’azzurro delle acque. Elena vorrebbe portare i bambini sulla spiaggia per vedere il mare da vicino. “Stiamo aspettando di ricevere il visto per il Regno Unito. Non sappiamo quanto tempo occorrerà, ma credo che dovremo attendere ancora qualche settimana”, afferma. Paolo continua a dormire rannicchiato, mentre nel mio inglese stentato cerco di veicolare alcune informazioni turistiche. Arriviamo all’ingresso della spiaggia pubblica barese: prima di raggiungere il pezzo di sabbia, Elena si accerta delle indicazioni stradali per la stazione da dove tornare a Grumo Appula. Io la rassicuro: è sì distante ma la passeggiata è piacevole. Prima di mettere lo zaino in spalla, come una vera turista, Elena mi sorprende con le sue parole: “Sono davvero commossa per lo spirito di accoglienza che ho visto in Romania e in Italia. Sono grata ai volontari e ammiro gli europei per la loro capacità di saper accogliere, di aprirsi in modo del tutto naturale verso gli altri”.
Non posso far altro che ringraziare battendo la mano sul cuore. Non ho molte altre parole da scambiare; spero, anzi, di non essere stato troppo invadente chiedendo informazioni personali di una vita, di una donna, di una famiglia stravolta alle 5,30 di mattina di un fine febbraio dalle bombe di una guerra assurda. Elena e Kolya svegliano il piccolo Paolo: mi sorridono e a passo svelto raggiungono la spiaggia. Temporeggio prima di ripartire, confuso ed emozionato, rasserenato ed indignato. Provo a riflettere se avessi potuto offrire altro tempo a quella famiglia o se quella mezz’ora in auto è stata sufficiente. Elena è la testimonianza: quel ramoscello di ulivo benedetto un’oretta prima insieme a tanti bambini ed educatori. E’ proprio quel segno inaspettato che dovrebbe interrogare ognuno di noi sull’impegno ad essere uomini e donne di pace ogni giorno; a partire dal mondo che ci circonda che costruiamo ogni giorno, soprattutto con i più piccoli, vittime innocenti delle scelte scellerate dei grandi.
Le immagini sono tratte dalla pagina fb di Save the Children Italia (clicca qui)