Nelle mani l’impronta del mondo

Mentre si riapre il sipario dell'arte, Ezia Mitolo lavora alla ripresa del progetto "Io, tu, noi", con cui continua a promuovere la poetica dell'essenza oltre l'immediato

Raccontare il respiro, il passaggio, la pelle e le sue cicatrici. L’artista tarantina di origine barese Ezia Mitolo insegue da una vita quell’impalpabile poetica dell’essenza che si cela oltre l’immediatezza. E cosa c’è di più improbabile e fortemente necessario, in quest’epoca delle distanze siderali, della trasmissione di se stessi attraverso un’impronta? Attraverso una carezza che non è più virtuale ma prepotentemente reale, impressa nella materia che tutto protegge e poi si dissolve in un eterno abbraccio? Il progetto Io, tu, noi, ideato dalla talentuosa artista già anni fa, in cui i divieti non avevano ancora flagellato i rapporti sociali, ha preso consistenza nell’ultimo scorcio dello scorso anno, tra le vie del capoluogo, vedendo come protagonisti i passanti incuriositi dalla atipica performance e una carriola da cantiere piena di argilla cruda. La materia, con la sua capacità di deformarsi e plasmarsi infinite volte, nasce autenticamente diversa in ogni istante, così l’artista procede alla sua inevitabile dissoluzione che allude ad una catarsi rigenerativa. Un progetto fortemente interattivo, che ingloba la presenza umana e le sue tracce; una ricerca che si nutre della reciprocità e non potrebbe esistere senza di essa. A parlarcene, la stessa artista, che ci presenta la sua idea e le sue infinite possibilità esecutive.

Foto di Bebbe Gernone

Una carriola piena di argilla in giro per Bari vecchia. Quale il senso di questa performance?

Sono andata in giro per i quartieri Murat e San Nicola con una carriola piena di argilla a raccogliere impronte delle mani dei passanti. Impronte che, una volta essiccate, ho lasciato disciogliere in una fontana, raccogliendone poi la mescolanza in una vasca di vetro. E’ il mio nuovo progetto di scultura interattiva/partecipativa dal titolo “Io, tu, noi”, ideato in tempi non sospetti, nel 2016, ben prima del “vietato toccare” e “restiamo a distanza” della pandemia. Così, tra un’ondata e l’altra, quando il momento propizio è arrivato, la spinta a ricominciare, motivazione ed entusiasmo sono stati ancora più potenti, necessari e fortemente corrispondenti al momento storico. L’ occasione giusta si è presentata con l’invito a partecipare alla sesta edizione di “IsolArt. Città, isolato e arti”, una rassegna che da diversi anni porta nel tessuto urbano l’esperienza diretta delle espressioni contemporanee attraverso interventi tra artista e pubblico. La rassegna è ideata da Domenico Toto, titolare anche della galleria Ars Toto, che insieme a Claudia Poggi, direttrice del Museo Nicolaiano di Bari ne sono i curatori. La storica dell’arte Cristina Principale, che segue da tempo la mia ricerca, ha scritto il testo critico, mentre il fotografo e videomaker Beppe Gernone col suo giovanissimo figlio Edoardo hanno documentato con immagini e video l’intero percorso. Questa edizione di IsolArt con “Io, tu, noi” è stata inoltre vincitrice del bando del comune di Bari, per la concessione di contributi alle imprese creative per l’anno 2021, e inserita nel programma di “BiArch”, primo festival biennale di architettura a Bari, nell’elenco Fuori Festival.

Foto di Beppe Gernone

Vuoi spiegarci i motivi ispiratori e i contorni di questa tua iniziativa?

“Io, tu, noi” è un progetto che affronta i temi dell’individualità e interiorità, dell’appartenenza e collettività nel ciclico aggregarsi e disgregarsi della materia e delle relazioni. Il lavoro operativo ha avuto la durata di tre mesi, periodo in cui lo spazio/galleria Ars Toto si è trasformato in laboratorio, dove ho creato e rielaborato gli oggetti – carriola e vasca – che sarebbero serviti per la mia interazione, trasformando in piccole sculture tutti gli attrezzi utilizzati – spatole e spazzole – come a renderli vivi. Un mio omaggio personale alla dignità del lavoro manuale. Le interazioni invece si sono svolte in due giorni di incontri. Durante la prima tappa operativa, in cui ho condotto l’azione in cammino per i quartieri con la carriola contenente argilla, ho invitato ogni cittadino coinvolto nel tragitto urbano, raccontando dapprima il progetto, a stringere nel palmo della mano l’argilla per lasciarne impressa l’impronta del gesto e della pelle: un’”impronta di umanità”, ogni piccola scultura ottenuta era unica e portava in sé il segno dell’affermazione di inconfondibile identità. Ne ho raccolte tantissime, la gente era curiosa, ascoltava con attenzione, e con cura e compiacimento tattile eseguiva il compito. Sono state quindi riportate nello spazio della galleria e rimaste ad asciugare per diversi giorni. Nella seconda e conclusiva azione collettiva le ho trasportate in piazza Mercantile, dove c’è la fontana più antica di Bari, la Fontana della Pigna, dove avevo dato appuntamento anche agli autori delle impronte. Una volta riempita d’acqua la fontana, ho immerso con la loro collaborazione le impronte sul fondo, a distanza l’una dall’altra. La fontana, metafora di rigenerazione, luogo di incontro e condivisione urbana, come un grande ventre le ha inglobate nel suo liquido amniotico. Lentamente e in uno spettacolo godibilissimo e poetico, le piccole sculture, testimonianze identitarie, tracce uniche del sé, accumuli di esperienze, si sono disgregate crollando su se stesse e formando un paesaggio di piccole isole sgretolate, come cumuli di polvere. La trasparenza e la fermezza dell’acqua hanno permesso di apprezzare ogni passaggio di stato, ogni evoluzione della materia. L’atto conclusivo è stato immergere tutti le mani nell’acqua creando movimento, piccole correnti che hanno mescolato le impronte tra loro trasformandole e fondendole in un “corpo unico esclusivo e irripetibile”, un ricco humus tutto umano e prezioso della collettività, della relazione profonda. Nel mese di dicembre è così stata inaugurata una mostra dal titolo “Tracce” sugli esiti e il percorso del progetto, raccontato attraverso la ricca documentazione di immagini fotografiche e video, realizzate da Beppe ed Edoardo Gernone, e le opere prodotte e gli oggetti utilizzati per le interazioni. E’ dal 2003 che progetto e realizzo lavori interattivi/partecipativi on going project con il pubblico, interazioni in cui il corpo, il “mezzo” estetico e il contatto-scambio tra le persone sono i principali protagonisti. Ed ogni volta è un’emozione nuova.

Foto di Beppe Gernone

Hai sempre avuto una particolare sensibilità nei confronti delle tracce lasciate dal tempo. Cosa hai ritrovato in queste impronte?

Ricordo che la mattina della mia passeggiata con la carriola in giro per Bari per raccogliere le prime impronte, mentre mi incamminavo a piedi verso la galleria, punto di partenza, ho provato una forte sensazione di “abbraccio del mondo”; era stranissimo, mi sentivo l’abbraccio del mondo addosso, un’emozione intensa e arcana, decisamente atavica, primordiale, insomma, forte, molto forte. Pensavo fosse perché di lì a poco mi sarei tuffata con tutti i miei sensi in quella vasta umanità; sarei presto entrata in contatto, in condivisione intima con tutti quegli umani sconosciuti, andando loro incontro; avrei raccolto le tracce di un’esistenza intera in un pezzo di argilla. E’ questo che ritrovo nelle impronte, anche quando lavoro sulle sculture: spesso i pezzi assemblati sono parti impresse del mio corpo, soprattutto delle mani. Lo stesso nei disegni dove compaiono tra un segno concitato e l’altro. L’impronta per me è l’affermazione dell’identità nel qui ed ora, l’anthropos, l’unicità di ognuno di noi; l’impronta racconta ogni vita vissuta, è una traccia unica del sé; e quelle tridimensionali ottenute con l’argilla stretta nel cavo della mano hanno anche forme molto interessanti proprio nella loro somiglianza ma assoluta diversità, nella mostra “Tracce” ho creato una piccola installazione distribuendone alcune a parete. Le impronte mi hanno sempre affascinato, dagli anni ’90 a più riprese, ne ho collezionato un gran numero di mie e di qualche amico che veniva a trovarmi durante il lavoro. Covavo “Io, tu, noi” chissà da quanto tempo. Le mie interazioni con il pubblico, che siano con la scultura o con il disegno, con stoffe dentro le quali entrare, sono sempre legate al corpo che compie un gesto, lascia un segno, perché mi interessa che il fruitore tocchi, entri in contatto con la materia/oggetto e quindi in qualche maniera attraverso le domande che si può porre, “apprenda”, insomma colga dei concetti, dei messaggi attraverso un’esperienza diretta. L’impronta è una traccia. All’origine di tutto questo, perché c’è un origine per ogni cosa (che poi deriva certamente da un’altra origine e così via all’indietro e questo è un altro tema che ho affrontato ultimamente nella mia ultima installazione composta da cervelli in ceramica e terracotta) ci sono sicuramente gli insegnamenti di mio padre sul valore della memoria, la sua conservazione, protezione, rispetto e promulgazione nel tempo; e l’esperienza di formazione in Accademia delle Belle Arti  con lo scultore Francesco Somaini che considero il mio maestro, che sul concetto di traccia ha basato tutta la sua poetica.

Foto di Beppe Gernone

Il tuo progetto è particolarmente sofisticato. Ti sei posta degli obiettivi? Se sì, pensi di averli raggiunti?

“Io, tu, noi” come tanti miei altri di interazione/partecipazione con il pubblico è un progetto on going, in divenire, che riproporrò quindi in altre occasioni. Il percorso è creativo, per cui pur mantenendo sistematicità e ovviamente finalità, in nome della sua coerenza, può accadere che qualche “obiettivo” prefissato in partenza si possa corredare di altri aspetti che nella stesura del progetto, sulla carta, nella mente, non erano stati previsti. E’ già accaduto in questa prima edizione, rigidità e fissità non appartengono al processo creativo. E durante i futuri percorsi di “Io, tu, noi”, altri obiettivi potranno modificarsi, arricchirsi, evolversi: ogni volta cambiano le persone, cambiano i luoghi, cambio io. È l’esperienza diretta che arricchisce, articola e dà nuovi stimoli, sempre, in un dare e avere, e quando il fruitore è ricettivo e curioso è anche uno scambio molto intrigante. Già la stessa partecipazione attenta e interessata, che anche in questo caso c’è stata, i dialoghi e relazioni stimolanti che si sono creati durante questo nuovo viaggio, possono essere considerati certamente un obiettivo raggiunto. Che gratifica ed incoraggia ad andare avanti. Noi artisti possiamo dare degli stimoli per raggiungere nuove consapevolezze, che siano legate, attraverso una personale grammatica visiva, al sociale, al contingente o alla dimensione più intima delle emozioni. Esprimiamo e condividiamo un’interpretazione del mondo attraverso il nostro sguardo affilato e attento alle sfumature elargendo spunti di riflessione e nuovi punti di vista di lettura critica dell’esistenza. Insomma, è bello essere un po’ matti, ma non lo siamo del tutto, se facciamo delle cose, discutibili o no, belle o brutte, lo facciamo perché ci stiamo credendo, c’è sempre un motivo, che va incontrato, approfondito, afferrato e rispettato.

Quale funzione ha l’acqua in questo progetto?

È il passaggio di stato della materia dallo stato solido a quello liquido e viceversa, l’esperienza della sua “trasformazione” ad interessarmi. In questo progetto l’acqua nella quale lascio disciogliere le impronte, oltre ad essere metafora di purificazione, di abluzione, ha soprattutto questa funzione: è il mezzo attraverso il quale si avvia il processo di scioglimento, di disgregazione e poi la mescolanza tra le parti. L’acqua compie quindi l’azione, così come lo fa il calore quando fondo la cera per applicarla sulle sculture o quando lavoro con l’argilla che cambia aspetto e resistenza con il fuoco del forno; o ancora quando lavoro con le colature in gesso o resina.  E’ dal 2002 che ho iniziato a sperimentare i passaggi di stato della materia portando a compimento le prime installazioni in “movimento”. Una delle prime è stata “E adesso sciogliti”, realizzata nel 2003, in cui un liquido acido contenuto in una scultura sospesa al soffitto gocciolava su un mio autoritratto fotografico sciogliendo e cancellando l’immagine, liquido che scivolava poi in una piccola vasca dalla quale lentamente evaporava. Nel doloroso e complesso progetto installativo “Mi muovo immobile” del 2015, anche questo on going, su uno schermo di cera proiettavo un video che al calore di appositi dispositivi si scioglieva lentamente gocciolando su di un ripiano sottostante da cui raccoglievo i resti per ricomporlo nuovamente. Nel 2016 il Museo Archeologico MArTa ha dedicato un focus sulla mia ricerca che partiva proprio dall’analisi di quest’opera.

Quali saranno le prossime tappe del progetto?

Le idee di una sua evoluzione sono tante e come sempre la fatica più grande sarà quella di mettere ordine nel mio cervello e scegliere quella “giusta”. Intanto, vorrei continuare a portare “Io, tu, noi” in giro nel mondo e lasciare in ogni posto “tracce di umanità”. Di questa nostra preziosa umanità che stiamo dimenticando.

Nella foto in alto, le piccole sculture in argilla ricavate con le impronte delle mani.