La battaglia di Giovanni per il riscatto dei “mammi”

The Walking Dad Story è la community creata da Abbaticchio per raccontare il difficile ma esaltante mestiere di padre e mettere in rete le diverse esperienze

Nel complesso affresco affettivo-familiare e relazionale-educativo, composto da differenti tessere, a volte troppe, altre volte troppo poche figure restano sbiadite. Tralasciando i dibattiti intorno alla parità di genere e alle forme di famiglia (allargata, tradizionale, monofamiliare), una domanda sorge spontanea circa le emergenti mancanze, fratture o disagi che accompagnano la vita dei bambini e degli adolescenti. Edipo è ancora in conflitto con il suo genitore?

La figura paterna, infatti, risulta sbiadita – se non addirittura invisibile o cancellata – al punto che parlare di conflitto freudiano appare decisamente fuori luogo. La sfida “affettiva” con il figlio/a, ormai, neanche si disputa più poiché tanti sono i padri, che abbandonano moglie e prole, incuranti della loro sorte fino a ritagliarsi il ruolo di assenti/presenti, o altri, che vivendo ai margini della legalità, riversano tragiche conseguenze sulla famiglia. Nelle complesse dinamiche familiari. in realtà, non ci si può limitare ad additare gli uomini, i mariti, i padri come unica causa dello sbriciolamento del focolare domestico e della mancata educazione dei figli, che con rabbia e disagio affrontano fragilità e vuoti educativi.

Se un indizio, come si usa dire, rischia di diventare una prova, allora decine di casi analoghi possono “sostenere” una tesi scontata che è bene ricordare. Su un gruppo di circa quaranta minori, con problematiche legate al contesto familiare e socio-culturale, la figura paterna è pressoché inesistente o assente in otto famiglie su dieci. Oltre ai padri impegnati a scontare i debiti con la giustizia o a sfuggire ad essa, quelli che hanno abbondonato il nido famigliare, allontanati dalle consorti per svariati motivi, ci sono padri che, quando raramente rispuntano in casa dopo giornate di lavoro infinite o finite in interminabili sbandamenti illeciti, sfogano pulsioni, aggressività, prepotenze condizionando profondamente la crescita del figlio che identifica la figura paterna esclusivamente nella sua “forza violenta” non riconoscendole altre qualità. Senza entrare in un’analisi approfondita, che non risulterebbe mai esaustiva, sulle cause concrete dei vuoti educativi dei giovani, è innegabile che ad essere messa da parte – spesso ingiustamente – fino a non considerarla o addirittura escluderla dalla sfera familiare e sociale, sia la figura del padre. Con buona pace di Edipo.

Per dedicare simbolicamente un anno intero, indulgenza plenaria compresa, alle caratteristiche della figura di San Giuseppe, anche papa Francesco ha inquadrato l’urgenza di richiamare la personalità paterna, restituendole la decisiva missione educativa, mettendo in luce alcune peculiarità che un genitore dovrebbe applicare ogni giorno. Il pontefice nella lettera Patris Corde ha descritto le caratteristiche teologiche e tradizionali della figura di Giuseppe: il silenzio, il sacrificio, la laboriosità, l’obbedienza, l’accoglienza. Tutti valori che spesso vengono fraintesi, diventando fonte di conflitti traumatici, segnali di egoismo, qualità antiquate all’interno delle famiglie. Forse per sfortunata coincidenza col periodo pandemico, l’anno speciale 2021 indetto da Bergoglio sul valore della paternità, che ovviamente vale come modello per ogni genitore ed educatore, pare sia rimasto solo nell’alone spirituale. Il padre Giuseppe, a parte le luci consuete del presepe, è tornato nella penombra.

Nel dibattito che si infiamma sulla famiglia, sull’educazione dei minori, il papà è totalmente secondario, fonte di paragoni che lo declassano, riposto dietro le quinte della vita di coppia, relegato all’ultimo gradino del nucleo famigliare. La figura paterna paga secoli di pregiudizi, fatti di superiorità insensata nei confronti dell’altro sesso. In maniera troppo affrettata si giudica il papà in termini autoritari, come esclusivo fautore del clima di terrore in famiglia, contrapposto alla mamma, modello inarrivabile di educazione e amore per propri figli. Un quadro che inasprisce il duello tra sessi, rafforzato dalla lotta per i diritti delle donne che restano sacrosanti da raggiungere.

Dopo secoli di disuguaglianze che tardano ancora a sparire e che focalizzano l’attenzione sulle donne, sulla parità di genere, l’impressione è che si stia creando una società senza padri, impelagati nel lavoro fin sopra i capelli o giudicati infantili, pronti a svicolare dagli impegni familiari e dedito alle partite settimanali di calcetto. Eppure, i minori privi di una relazione virtuosa, sinceramente affettiva con i papà latitano nello sviluppo del rispetto delle regole, della convivenza con i loro pari, proprio perché si ribellano al mondo con i modi di agire di padri a fase alterne. In contesti in cui la spia è accesa sulla tutela e l’uguaglianza dei diritti delle donne è opportuno, dunque, ricordare i padri che sprigionano amore sano e viscerale verso i propri figli, anche se appare scontato e privo di appeal mediatico. Il silenzio di san Giuseppe, in realtà, è relazione, “megafono” per altri papà e per tutti i genitori.

Megafono che dà voce ad altri papà, che nonostante il lavoro e tanti sacrifici, non smettono di esprimere ogni giorno un senso di affettuosa meraviglia alla vista dei propri figli, è anche l’impegno di Giovanni Abbaticchio, genitore di due bambini, video-maker barese che con la pagina facebook The Walking DAD Story (evidente il gioco di parole con la fortunata serie tv horror The Walking Dead) da ormai cinque anni racconta la quotidianità del percorso genitoriale. Affidandosi a una narrazione e uno stile comunicativo assai incisivo, spesso farcito di ironia, pubblica post spaziando nell’infinito, delicato e affascinante mondo della genitorialità e dell’educazione. “Quando il rapporto con mio figlio è cominciato ad essere più interattivo, con i primi scambi di dialoghi ho sperimentato sensazioni diverse. Avendo la passione per la scrittura e il video-making e notando la mancanza di spazi comunicativi in cui si raccontava nello specifico della paternità e della genitorialità, ho creato la pagina per raccontare i sentimenti della mia esperienza che cambiano quotidianamente”, spiega Abbaticchio.

Un “gesto” liberatorio, che ha avuto il merito di spalancare un mondo, in cui tanti altri papà si sono ritrovati con i loro dubbi e le loro esperienze. Il papà/video-maker, laureato in scienze pedagogiche, partendo dalle emozioni di essere padre si sofferma sul valore della genitorialità: “Ciò che racconto è la storia di un padre in cammino nel percorso genitoriale. Un viaggio che non si può conoscere ma che si intraprende insieme ai figli”. La pagina social, libera e indipendente e senza l’ossessione di un preciso piano editoriale alla ricerca dell’emozione da raccontare per un pugno di like, è diventata una community in cui interagiscono genitori con domande, consigli, esperienze. “Con la mia telecamera ho raccontato, poco alla volta, testimonianze a sfondo sociale sui temi della disabilità, dello sport in carrozzina, del suicidio giovanile, delle difficoltà economiche, dei minori a rischio, della sindrome di down”, afferma Giovanni, confermando il principio che genitorialità ed educazione vanno a braccetto.

The Walking DAD Story si è trasformato in una finestra sulla genitorialità che oggi non è ben tutelata dallo stato. A tal proposito Giovanni spiega: “Al centro dell’agenda dello stato, a livello di welfare, non c’è la famiglia e venendo meno gli interessi per la sua tutela, si minimizzano le figure genitoriali. Manca una visione dell’importanza della genitorialità. Anche il padre vive in un contesto pieno di pregiudizi, di barriere che legano la sua figura ai decenni passati in cui era visto solo come colui che portava il pane a casa ed era estremamente autoritario. Eppure con il tempo ci sono stati tanti papà che hanno imparato a comunicare, a dialogare. O forse non sono mai mancati”. E riprende: “Nella pubblica amministrazione il congedo di paternità dura tre giorni. Solo recentemente nel settore privato è passato a sette. I papà scandinavi, solo per fare un esempio, hanno possibilità di scelta da due o tre mesi per stare insieme al figlio neonato. Insomma la figura del padre non è tutelata come del resto nemmeno quella della donna, della mamma.”

A travisare la figura paterna, poi, secondo Abbaticchio è una certa comunicazione che etichetta come “mammo”, quel papà che dedica il tempo ai figli, alla collaborazione domestica: “Non ha senso che il papà impegnato in casa sia definito mammo. La figura paterna è bistrattata, poco considerata dallo stato, se assolviamo troppo tempo al nostro impegno di genitori veniamo etichettati come ‘mammi’ snaturando la figura del papà. Siamo genitori come le mamme. Restiamo papà pur riempiendo una lavatrice o cucinando; anzi giocando con la terminologia si rischia di offendere le mamme perché, ancora una volta, considerate esclusivamente per i lavori domestici”, denuncia Giovanni

Giovanni Abbaticchio con la moglie Annarita

I dibattiti politically correct innescano spunti sulla figura educativa dei bambini, entrata in un processo che dovrebbe staccarsi dalle ideologie e dalle fazioni. “Come società dovremmo iniziare ad aprirci alle numerose possibilità di essere genitori. Invece le bagarre legislative sulle adozioni e sulle unioni civili non sbloccano tante situazioni decisive per il futuro”. Tornando sul tema dei “mammi” Abbaticchio evidenzia ciò che conta per la crescita dei bambini ossia l’amore e l’educazione, aspetti che vanno oltre i generi, il sesso: “Chi ci dice che due uomini insieme non possano essere buoni padri? E’ vero manca il riferimento materno ma emergono altre qualità. Quante sono le madri assenti in ugual modo? Perché, poi solo i padri devono subire le conseguenze peggiori quando una coppia si separa?”, chiede.

Oltre alle misure che lo stato solo recentemente ha garantito alle famiglie con l’assegno unico universale (oltre 484 mila le domande inviate per un totale di 785mila figli a carico, in parallelo col milione e 66mila pratiche Isee elaborate dai Caf) un senso di responsabilità deve sempre accompagnare mamme e papà. Questo aspetto, forse, rappresenta una falla: “Noi non nasciamo papà, genitori; lo diventiamo strada facendo, mettendoci in gioco e in discussione ogni giorno. Mettere al mondo un figlio è una grande responsabilità; è una realtà che mette a nudo, che mette davanti agli errori che ogni giorno si commettono. E’ importante, però, sentirsi presenti anche quando il padre non c’è fisicamente.”

Secondo Giovanni la cura familiare esula dal ceto sociale: “La differenza è come un uomo decide di approcciarsi alla genitorialità. Un papà che svolge lavori anche umili può avere maggiori capacità empatiche e sociali rispetto, per esempio, ad un papà più facoltoso che permette al figlio di accedere a tanti desideri materiali. La differenza è il tempo e il modo in cui un padre sceglie di relazionarsi con i figli”, prosegue scendendo nella specificità della relazione che trasversalmente può mancare con la giustificazione del poco tempo da dedicare ai figli. “Il tempo deve essere buono e genuino perché se il bambino cresce senza quell’affetto e l’educazione ai sentimenti è ovvio – osserva – che rischia di incorrere in difficoltà relazionali. Si può anche esser presenti e comunque non essere predisposti a ritagliarsi spazi da genitore. Mi rendo conto che non tutti i bambini hanno la fortuna di avere una figura paterna più o meno stabile.”

I fattori sociali e personali con cui chi diventa padre deve fare i conti sono numerosi: “Sono un padre molto presente, non perché gestisco una pagina social o perché abbia un lavoro, ma perchè, cercando di offrire il massimo ai miei figli mi chiedo quanto ogni giorno sia presente nella loro vita”. Non esistono ricette perfette per diventare papà, ma raccontare le preoccupazioni e perplessità è un atto di coraggio: “Nella mia piccola esperienza con The Walking DAD ho la fortuna di amplificare come un megafono la voce di famiglie e genitori per far conoscere meglio le loro problematiche. Ne ho incontrate tante che hanno avuto il coraggio di raccontare della disabilità del figlio o di una specifica difficoltà economica o sociale dovuta spesso alla mancanze delle istituzioni.” E’ fondamentale condividere le fragilità, nel complesso sistema sociale che sfocia tragicamente nelle dinamiche familiari. Anziché nasconderle sotto il tappeto, condividerle è l’arma migliore per combattere i conflitti che nascono tra le mura domestiche.

Le foto, che ritraggono Giovanni Abbaticchio, sono tratte della pagina fb The Walking Dad Story