Il “viaggio” di Dante sulle orme di Maometto

In una conferenza all'Aede di Ruvo, il prof. Antonio Iurilli spiega le sorprendenti analogie tra Divina Commedia e Libro della Scala, classico della cultura islamica

Dall’arte alla letteratura, dal teatro alla musica. Sono tanti gli eventi svolti nel 2021 nel nome e nel segno di Dante Alighieri per celebrare i settecento anni dalla sua scomparsa. E tra queste molteplici declinazioni di bellezza non è mancato il grande apporto delle Scuderie del Quirinale che, dopo il successo della mostra su Raffaello, hanno contribuito alla celebrazione del sommo poeta con una mostra internazionale, in chiusura proprio oggi, intitolata L’Inferno e curata da Jean Clair e Laura Bossi.

Un percorso espositivo ambizioso capace di guidare il visitatore in un cammino verso la conoscenza, l’espiazione e la redenzione dal peccato, invitandolo a meditare sul viaggio oltremondano compiuto da Dante nonché sul significato del termine “inferno”, in senso letterale e metaforico, destinato ad una seducente evoluzione concettuale lungo la compagine dei secoli.

Se la mostra alle scuderie offre numerosi spunti che, senza un’adeguata padronanza storico-letteraria, rimarrebbero suggestioni estemporanee, è proprio la Divina Commedia a fornire il terreno preparatorio per nuovi orizzonti di ricerca. Una ricerca che si muove con estrema prudenza nel territorio tanto insidioso quanto affascinante dell’intertestualità, ovvero nel campo di quella sorta di scambio che un autore attiva con altri testi, anteriori e coevi, in ragione di uno specifico progetto di scrittura che si traduca in un’opera originale sì, ma che rimane legata al contesto culturale cui attinge. Questo tipo di indagine accerta, non senza piegarsi umilmente al dubbio e alle ipotesi che la filologia cerca di corroborare, se e di quale spessore siano le consonanze fra due opere, fino a ipotizzare una “contaminazione” dell’una dall’altra.

Boris Taslitzky, Le petit camp à Buchenwald

Tale concetto potrebbe essere applicato al Canto XXVIII dell’Inferno dantesco dove, nella IX bolgia dell’VIII cerchio, vengono puniti i seminatori di discordie e di scandali, condannati a sfilare orrendamente mutilati per la legge del contrappasso: così come in vita i dannati hanno provocato conflitti e divisioni, ora anch’essi sono divisi in pezzi e mutilati dalla spalla di un diavolo, avendo mani e lingua mozzate e terribili ferite su tutto il corpo. Delle tante anime che Dante vede sfilare dinanzi a sé, rimane attratto da una avente il corpo dilaniato dal mento all’addome cosicché ne fuoriescono le budella. È Maometto che, alla vista del Sommo Poeta, chiarisce che i peccatori lì presenti sono costretti a fare il giro della bolgia, durante il quale le ferite si rimarginano per essere di nuovo riaperte quando passano davanti al diavolo con la spada.

È probabile che la concezione ultraterrena raffigurata nella Divina Commedia derivi dalla lettura del Libro della Scala, un famoso bestseller appartenente a quel filone della letteratura araba popolare che narra l’ascesa al cielo di Maometto e la sua visita ai regni d’oltretomba. “Il viaggio di Maometto è pieno di situazioni fantastiche assai colorite, proprie della narrativa araba, che possono aver influenzato l’immaginario dantesco”, spiega il prof. Antonio Iurilli, ruvese, ordinario di letteratura italiana presso l’università di Palermo. “Le prove non sono poche. Del resto, molta della narrativa medievale, anteriore e successiva a Dante, è imbevuta della fantasia diegetica araba. Basti ricordare il Novellino, debitore delle Mille e una notte, e le fantasie narrative arabe disseminate nel Decameron. Per non dire – prosegue Iurilli – di tutta la grande tradizione cavalleresca ispirata soprattutto dalle crociate e dallo scontro col ‘saracino’, che innerva la cultura orale e la letteratura dell’intero Occidente nelle forme poematiche e teatrali, fino ai capolavori di Ariosto e di Tasso”.

Gustave Doré, Virgile et Dante dans le neuvième cercle de l’Enfer

L’ipotesi di una contaminazione del poema dantesco con il Libro della Scala resta, dunque, fortemente percorribile per la presenza di Maometto, quel Maometto che nel Libro della Scala è il profeta toccato dalla grazia di conoscere l’oltremondo per meglio assolvere alla sua funzione di profeta; mentre nell’Inferno dantesco Maometto è un dannato crudelmente punito secondo la legge del contrappasso: colui che ha seminato discordie nella cristianità dividendola è squarciato implacabilmente dai diavoli nel suo corpo. L’evidente diversità dei due contesti narrativi (quello del Libro della Scala e quella dell’Inferno dantesco) non ostacola, tuttavia, l’affiorare di un elemento che sembra accomunare le due rappresentazioni: Dante relega all’Inferno Maometto in quanto seminatore di discordie, sottintendendo che ciò è avvenuto perché il profeta ha usato impropriamente la sua dottrina cristiana per dividere la cristianità usando male la parola.

Ora, anche nel Libro della Scala l’arcangelo Gabriele censura, rivolgendosi a Maometto, coloro «che seminano le parole per seminare discordie fra i popoli». Quindi dalle due opere (il Libro della Scala e la Divina Commedia), pur nate in contesti religiosi e culturali diversi, esce censurato il potere che la parola, mal seminata, ha di mettere i popoli l’uno contro l’altro: “entrambi gli autori (Dante e l’anonimo autore del Libro della Scala) manifestano, insomma, la loro ostilità alla parola che genera divisioni: quelle divisioni che ai loro tempi insidiavano la pace e il dialogo sulle rive millenarie di quel Mediterraneo che era stato grembo liquido di grandi civiltà proprio in forza dello scambio, del dialogo, non della sopraffazione della parola”, annota il prof. Iurilli. Sottolineando, inoltre, la comune aspirazione alla pace contenuta nelle due opere. Una pace che cercava di affermarsi al di là dei fondamentalismi, attraverso due mezzi assolutamente incruenti: la cultura e la scrittura letteraria, entrambe capaci di utilizzare diversamente la forza della parola per superare, non per fomentare divisioni. “È una grande idea che Dante, nonostante il suo ‘fisiologico’ fondamentalismo cristiano, ci consegna non solo in forza dei suoi interessi per la cultura araba, ma anche in ragione dei tanti luoghi che, indipendentemente dalla effettiva volontà di imitarli, accomunano il suo immaginario poematico a quello musulmano, dimostrando che l’arte vola più alto delle ideologie e che unisce mentre le ideologie dividono. Sono luoghi letterari che agiscono come stile di pensiero più che mai prezioso in questo nostro tempo ancora una volta segnato da conflittualità col mondo islamico”, commenta l’ordinario di letteratura italiana.

Pieter Huys “Inferno”

Ma c’è di più. Il rapporto di intertestualità che intercorre tra i due prodotti letterari (Libro della Scala e Divina Commedia) investe anche la rappresentazione del Paradiso pervaso dalla luce: una luce emanata da schiere di angeli rutilanti nel Libro della Scala; una luce emanata dagli spiriti contemplanti nel Paradiso dantesco. Due situazioni figurali, insomma, assai vicine fra loro. Come suggerisce il professore, la centralità di questo elemento in entrambe le opere (quella musulmana e quella cristiana) traduce in immagine fisica il valore simbolico, metafisico, che proprio la luce riveste nella rappresentazione del divino in entrambe le religioni, per quanto esse siano divise da concezioni escatologiche diverse: “proprio sulla tematica della luce (una luce che si fa armonia, una luce che esprime la beatitudine, una luce che avvolge in perfetta simbiosi la sublime melodia di canti e di suoni dei beati) – spiega Iurilli – si realizza una forte analogia fra il corredo figurale musulmano e l’immaginario cristiano dantesco, fino al punto estremo in cui questi due mondi letterari, teoricamente distanti per ragioni dottrinali, si incontrano nell’assegnare alla luce il compito di rappresentare, ma anche di negare ai mortali la visione di Dio. E aggiunge: “la potenza luminosa che nel Paradiso dantesco vieta all’occhio umano di fissare e contemplare il Dio cristiano corrisponde ai bagliori che l’immaginario musulmano ha inventato per rendere arduo l’accesso ai giusti nel Paradiso islamico. La luce, insomma, nel momento in cui rende inaccessibile la percezione del divino, ne esalta la sovrumana potenza. Quello della luce è insomma un espediente fotocromatico che accomuna sul piano figurale il diverso rapporto che le due religioni hanno con la trascendenza”.

A fronte dell’indiscussa presenza della cultura araba nella cultura dantesca, sorge spontaneo allora interrogarsi sul periodo storico cui ascrivere i primi studi. E’ la stessa voce rassicurante del professore ad illuminarci: “l’interesse per i rapporti fra il laboratorio poematico della Divina Commedia e la rappresentazione fantastica dell’aldilà islamico risale agli anni Venti del secolo scorso. Assai più antico è invece l’interesse per i debiti di Dante nei confronti della cultura araba, che sono tanti e sono gli stessi che l’intera Europa ha contratto per secoli con una civiltà, quella araba, mediatrice della civiltà greca e produttrice di grandi flussi di pensiero verso l’Occidente: una condizione tutt’altro che conflittuale fra le due civiltà, come oggi, per ragioni ‘strategiche’, si tende a sostenere. Dunque, nel primo Novecento un nuovo fronte di indagini, che prediligeva il territorio assai più delicato dell’immaginario poetico, e insinuava l’ipotesi che nel laboratorio nel quale era nato il più grande poema della cristianità fossero entrati materiali poematici ispirati da una religione fortemente antagonistica. Ancor più dirompente fu il fatto che a smuovere le acque dello sterminato mare delle fonti letterarie della Divina Commedia fu un grande arabista spagnolo, per giunta gesuita: Miguel Asín Palacios”.

Franz Von Stuck “Lucifero”

Perché uno spagnolo, perché un gesuita? Un interrogativo che viene colmato dall’analisi accurata del prof. Iurilli: “uno spagnolo, un gesuita come Asín Palacios aveva dunque più di una ragione per dimostrare, all’inizio di un secolo che avrebbe visto divampare ben due conflitti mondiali, che le due religioni monoteiste sviluppatesi sulle rive del Mediterraneo, per quanto nemiche, avevano punti di contatto persino nella fantasia escatologica dell’oltretomba. Asín Palacios voleva insomma accreditare l’idea di una feconda osmosi fra le due religioni in una terra, la cattolicissima Spagna, nella quale più a lungo che nel resto dell’Europa aveva prosperato la civiltà araba convivendo fino al XV secolo con la cultura cristiana. Ma fu tutt’altro che facile far valere la sua tesi. Anzi, quando essa fece irruzione nel dantismo europeo del Novecento, fu accolta come si accoglie un gossip: si gridò allo scandalo, e qualcuno parlò addirittura di delirio esegetico. E un arabista del calibro di Francesco Gabrieli la ignorò del tutto nella ‘voce’ Islam dell’Enciclopedia Dantesca. A suscitare diffidenze concorreva anche il fatto che Dante rappresenta Maometto con ‘l’immagine più realistica e più sozza dell’Inferno’, come disse Attilio Momigliano. Dunque, un atteggiamento nettamente ostile al fondatore dell’Islam. La tesi è poi più volte riaffiorata, con varia fortuna, nell’esegesi dantesca del Novecento ed è tornata attuale, nella sua densa e seducente problematicità, arricchendosi di nuovi contributi, nel nostro tempo spesso funestato dalle tensioni ideologiche fra Occidente e mondo islamico

Basta questo per certificare l’attualità del pensiero di Dante a settecento anni dalla sua scomparsa, ricordando che chi aveva voluto che il suddetto Libro della Scala, di cui il Sommo Poeta era straordinario ammiratore, circolasse tradotto nella Cristianità era stato il cristianissimo re spagnolo Alfonso X di Castiglia, non a caso soprannominato “Il Saggio”.

“La visione di Tundalo”, bottega di Hyeronimus Bosch

Il fascino inalterato mantenuto dal poema dantesco nel corso dei secoli, nonché l’attento lavoro di indagine filologica condotta dal prof. Iurilli, hanno suscitato l’interesse dell’associazione AEDE (Association Européenne des Enseignants) di Ruvo di Puglia che, in sinergia con il Punto Europa Giovani, ha invitato l’ordinario di letteratura italiana ad una lectio magistralis sull’argomento, prima delle festività natalizie. “Bisogna vivere con il coraggio e la gioia di provarci, non con la paura di non riuscirci”, ha affermato la segretaria Elena Olivieri, già insegnante di scuola primaria da sempre propensa a raccogliere il testimone della sua cara e indimenticabile sorella Pia, ex docente di lettere e fervente europeista, al timone dell’associazione per circa trentacinque anni. Un’esperienza entusiasmante, come la stessa Elena rivela, che ha visto la realizzazione di nuovi eventi culturali quali un incontro con il giornalista bitontino Marino Pagano sui borghi poco noti del Sud Italia, una presentazione del libro in versi su Caravaggio a cura del prof. Franco Leone, la sopracitata lectio magistralis del prof. Antonio Iurilli relativa al rapporto Dante – Islam, un bando di concorso – dedicato alla memoria di Pia – per le scuole secondarie di secondo grado con successiva cerimonia di premiazione e, per concludere, una suggestiva visita al museo diocesano “Donna Regina” di Napoli con la partecipazione allo spettacolo dei meravigliosi tableaux vivants su Caravaggio.

Una realtà associativa che non si arresta nonostante il ritmo incalzante della pandemia in corso: “sulla scia del lavoro svolto in precedenza, continueremo ad andare avanti rivolgendo il nostro sguardo al di là della nostra realtà e mantenendo sempre vivo il contatto con le scuole e con i giovani, nei quali è riposta una fiducia notevole”, conclude Elena Olivieri. In fondo erano questi gli ideali in cui credeva Pia: creare progetti, vivere con il desiderio di scoprire il mondo, avere dei sogni ed inseguirli con tenacia planando oltre i confini della propria città e aprendosi verso un mondo di possibilità per un’Europa unita e solidale.

In alto, “La Divina Commedia: la voragine infernale” di Sandro Botticelli. Quest’opera insieme alle altre, sono esposte nella mostra “Inferno” alle scuderie del Quirinale.