A teatro si pescano perle di saggezza

Con uno spettacolo dedicato ad Hannah Arendt, riparte la stagione del nuovo comunale di Ruvo, salotto culturale e preziosa occasione di crescita per la città

Breve ma intenso. A riscaldare un’uggiosa serata d’inverno ci ha pensato La Pescatrice di Perle, lo spettacolo della Compagnia Acasa, in scena al teatro di Ruvo che, dopo la pausa natalizia, promuovendo tre iniziative sul tema della memoria e della Shoah, si conferma salotto culturale della città nonché fascinoso polo di attrazione per grandi e piccini.

Scritta e diretta da Valeria Simone e interpretata da Marianna De Pinto, con scene e luci di Michelangelo Campanale, la pièce, vincitrice del premio della stampa al Roma Fringe Festival 2021, sviluppa una riflessione sull’importanza delle parole – senza le quali non esisterebbe la storia intesa come una concatenazione di avvenimenti legati da un rapporto di causa ed effetto – e sul collasso dell’etica.

È da qui che si dipanano i pensieri della filosofa tedesca, di origine ebraica, Hannah Arendt, appunto “la pescatrice di perle”; nome che peraltro riecheggia nel titolo di un suo saggio dedicato a Walter Benjamin, dal quale lei stessa eredita la capacità di raccogliere i tesori della tradizione ormai perduti e di farli tornare in vita, conferendo loro una patina concreta di attualità. Questa è la missione di Hannah Arendt ed è così che definiva il suo lavoro intellettuale e il suo essere al mondo: pescare perle dagli abissi del mare riconoscendone il valore incommensurabile.

Immersa in uno scenario a tinte fosche, illuminato da una fievole luce intervallata dagli ululati del vento, Hannah ripercorre con tono intimistico le tappe fondamentali della sua vita mentre, seduta su una panchina con un sinuoso tailleur bordeaux, sfoglia le pagine della sua esistenza, intervallandole con un tiro di sigaretta. Malgrado le leggi razziali la costringano ad abbandonare la sua terra e la sua lingua, condannandola ad un’esperienza di apolide e di rifugiata, la donna riesce a preservare il suo status di intellettuale libera, non assoggettata al regime ma fedele solo ai suoi ideali di integrità morale che va predicando nei suoi scritti, anche quando tutto è compiuto.

Nel monologo magistralmente recitato da Marianna De Pinto riecheggiano frammenti de La banalità del male, il resoconto in forma di diario redatto dalla filosofa, inviata del settimanale New Yorker al processo contro Adolf Eichman, il gerarca nazista considerato il maggiore responsabile dello sterminio degli ebrei. Parte da questo spaccato di cruda realtà la speculazione della Arendt sul bene e sul male – due forze intrinseche che trascinano verso la rettitudine o verso la perdizione, a seconda della strada che l’uomo intende intraprendere – nonché sui fattori politici che influenzarono la credibilità dello stesso processo.

Sorprende la straordinaria abilità della protagonista nel narrare una delle più grandi efferatezze della storia, mantenendo una delicatezza e una sobrietà che ben si attagliano alla figura della Arendt. Argomenti, questi, su cui non dovremmo mai abituarci a sorvolare, consapevoli che in ogni anfratto del passato si celano storie da portare alla luce e da far conoscere alla collettività. E con immutato spirito indagatore nei confronti di un passato doloroso, che però resta parte della nostra identità, ci apprestiamo ad assistere ad altri due eventi dedicati a questa drammatica pagina del Novecento: un seminario in programma giovedì 19 gennaio, organizzato dall’associazione culturale Casa dello Spettatore di Roma, incentrato su valore civile e politico della memoria e sulla tragedia dell’olocausto, a cura di Giorgio Testa e Giuseppe Antelmo, e lo spettacolo intitolato Hitler nelle vite degli altri di Salvatore Marci e Luigi Tagliente, gioco tragicomico sul senso del potere e della responsabilità, una riflessione per gli spettatori e i cittadini di oggi sul tema della responsabilità individuale di fronte alla tragedia della storia.

Questo primo scorcio di attività di inizio anno, ci offre la possibilità di tracciare un bilancio sulla programmazione del nuovo teatro di Ruvo. Poniamo, dunque, alcune domande a Katia Scarimbolo, referente della storica compagnia La Luna nel letto, che si è impegnata con tenacia per la sua rinascita, promuovendo una ricca kermesse di eventi, con personalità di spicco quali Marco Baliani, Daniel Pennac ed Enrico Loverso che impreziosiscono la stagione 2021-2022, costituita da 21 titoli di prosa, danza, teatro per la famiglia e per le scuole e da corsi di formazione che contano più di 80 allievi. A cui si aggiunge un’interessante mostra sul fumetto, allestita nel foyer, dedicata ai bambini del quartiere Tamburi di Taranto, impegnati nella loro battaglia quotidiana contro la Strega Rossa dell’Ilva. 

Katia, cosa rappresenta per Ruvo e, soprattutto, per i giovani la presenza del teatro?

Significa, per certi aspetti, rinascere. Ruvo era tra i pochi paesi del circondario a non aver mai avuto un teatro comunale, per una serie di ragioni storiche. Da che mondo è mondo l’uomo ha avvertito la necessità di vedere rappresentata la propria vita. La distanza tra lo spettatore e il palcoscenico consente di assistere a storie che, tra gioie e dolori, ci parlano dell’uomo. Aggiungo che c’è una grande differenza tra guardare da soli un film in tv ed essere in teatro perché non si è soli; tante persone escono di casa per andare a vedere una determinata cosa che accade in un momento preciso, in un posto preciso e non altrove. Con altri spettatori “sconosciuti” possiamo condividere anche le efferatezze dell’animo umano, restando alla distanza giusta che ci consente di riflettere. È un’azione individuale ma collettiva allo stesso tempo. Si è davvero una comunità.

Qual è la storia di questo importante contenitore culturale? In che cosa è consistito il lavoro di riqualificazione?

Questo progetto è nato trent’anni fa, quando alcuni di noi, interessati alla cultura e al teatro, erano ventenni e hanno deciso di non lasciare la città, di scommettere qui, a sud dove non c’era nulla, veramente nulla. Solo un film al cinema che proiettava film porno. Abbiamo fondato la compagnia e abbiamo cominciato a fare spettacoli e a lavorare con i bambini per strada, nelle piazze, a scuola, ovunque c’era la possibilità di fare arte, di utilizzare tutti i linguaggi dello spettacolo dal vivo per potersi esprimere e ridisegnare la realtà. È stata durissima ma al contempo ci siamo divertiti, ci siamo formati, si sono create professionalità riconosciute ora a livello nazionale e internazionale. Questa forza e questa determinazione ci ha consentito di dar vita al nuovo teatro di Ruvo, in collaborazione con l’amministrazione comunale che è stata capace di ascoltare e farsi carico di una sfida difficilissima. Motore di tutto è stata la Regione Puglia che si è posta il problema dei contenitori culturali e dell’importanza degli spazi culturali in ogni città, in ogni paese, anche il più piccolo, stanziando fondi per le ristrutturazioni. Il Polivalente, così chiamato, era l’unico spazio che ci poteva consentire la creazione di un teatro a Ruvo. Dal 2008 abbiamo cominciato a fare  programmazione ospitando spettacoli delle più importanti compagnie italiane e straniere; a produrre spettacoli che girano in Italia e all’estero, a strutturare percorsi di formazione alle arti per amatori e professionisti.

Quando è nata la compagnia La Luna nel letto? Quali sono gli obiettivi che si è impegnata e che s’impegna a portare avanti?

Nel 1992 con un altro nome: associazione culturale ‘Tra il dire e il fare’. Come ho già avuto modo di spiegare ciò che ci spinge a fare cultura, teatro è sapere che, attraverso l’immaginazione si può cambiare il corso degli eventi, si può progettare un mondo diverso, un mondo più a misura di bambino, la misura di tutti. Fare arte significa considerare la bellezza che non attiene soltanto all’estetica ma chiama in gioco le parti più profonde di noi che cercano e aspirano all’equilibrio… sopra la follia, per citare una canzone famosa.

Perché bambini e ragazzi dovrebbero avvicinarsi al teatro? Su quali leve puntate per coinvolgerli? Che ruolo ha la scuola in questo processo educativo?

Mai come in questo momento è necessario avvicinare le nuove generazioni al teatro perché siamo nel tempo della visione. Da quando ha solo pochi anni, ogni bambino ha tra le mani un cellulare. Purtroppo, aggiungo. Guarda la tv e man mano che cresce, l’atto del vedere diventa sempre più importante. Pensate a i tutti social, a come siano entrati prepotentemente nella nostra vita. Vedere teatro, guidati da un mediatore consapevole come un genitore o un insegnate, significa ritagliarsi un tempo per allenare lo sguardo alla visione; uno sguardo che sia critico non passivo. Il nostro obiettivo è creare la strada per uno spettatore attivo e consapevole, parte integrante del processo creativo. In questo la rete territoriale è fondamentale. La collaborazione con la scuola, con la libreria L’agorà, con le altre associazioni di Ruvo, con il Comune è fondamentale. Condividiamo e sposiamo in pieno l’idea di città educante che questa amministrazione sta portando avanti.

Nelle foto di Mariagrazia Proietto, alcune scene dello spettacolo interpretato da Marianna De Pinto