Capita che, conclusa la lettura di un articolo, chiuso il giornale, ti rendi conto che in testa ti rimangono una o due parole chiave. Con quelle fai i conti. Ci torni su con la tua riflessione. A volte tutto il giorno. In un momento di pace decidi cosa farne; come valorizzarle subito o se passarle nel magazzino della memoria. Stessa cosa per la lettura di un libro. Di un romanzo più che la vicenda, la sua bellezza, la forza dei personaggi, ti rimane il concetto chiave, il filo conduttore intorno al quale è ruotata, è stata costruita e narrata la vicenda.
Di cosa ti segna, ad esempio, la lettura di uno straordinario romanzo come La scatola di cuoio di Gianni Spinelli, scrittore e giornalista? Un’insolita favola nera sull’invidia, l’avidità e i più bassi sentimenti umani? Tutto ruota intorno ad una parola molto contagiosa: l’eredità. Ma interiorizzare e riflettere su una singola parola o espressione succede anche quando andiamo dal medico. Se è un tipo loquace, parla e scrive. Genera la ricetta e fra un farmaco e l’altro ti lascia in testa il concetto che ti cattura e ti resta impresso: “Non è niente ma voglio verificare e approfondire. Facciamo questi esami”. E finché non hai l’esito di quegli esami – che fai subito, anche a pagamento, aggirando impossibili liste d’attesa – quel “voglio approfondire”, quel dubbio ti martella, s’insinua prepotente nelle tue meningi.
Anche la preghiera ci riserva l’esperienza fascinosa dell’incontro con parole chiave, capaci di riassumere tutto il senso della fede. Pensiamo al termine madre: quando chiediamo aiuto nella preghiera, il primo pensiero è alla Madonna, la nostra Mamma Celeste. Recitiamo spontaneamente l’Ave Maria, la preghiera imparata da piccoli tra le braccia delle nostre madri. Ricorrere alla mamma è aiuto sicuro, sempre!
E che dire quando ascolti un’omelia di papa Francesco? Grande, chiaro, vero comunicatore, efficace. Fa vivere la Parola di Dio che ascolti nella liturgia della messa, tratta dai libri della Bibbia riferiti al Vecchio Testamento, alle lettere degli Apostoli, specie di San Paolo, e all’Apocalisse, ai Vangeli, agli Atti degli Apostoli, al Nuovo Testamento. Spesso è Francesco stesso che indica due, tre parole, tre verbi, tre azioni di cui vuol parlare. Le indica e le spiega. Parole che ascolti, gesti semplici, chiari e forti ma anche silenzio che segui volentieri, che capisci, che ti aiuta a meditare e che memorizzi.
Il più solenne, indimenticabile, passato alla storia, il silenzio del 27 marzo 2020 quando, in una piazza San Pietro vuota, sotto una pioggia scrosciante, Francesco ci mise tutti, il mondo intero, nella stessa barca, nella sua barca; un’umanità sofferente, alle prese con una devastante pandemia. Un codice semiotico papale di straordinaria efficacia. Solo, sotto la pioggia, ai piedi del miracoloso Cristo Crocifisso di San Marcello al Corso di Roma e della veneratissima icona della Madonna Salus Populi Romani.
E come non dimenticare le parole nuove che il papa conia? Una per tutte: “misericordiare“, “Dio ha avuto misericordia di te. Siamo stati misericordiati“. Un papa per il quale “comunicare significa condividere e la condivisione richiede l’ascolto”. Autori diversi l’hanno definita “la sapienza della comunicazione papale”. Alessandro Gisotti, vicedirettore editoriale dei media vaticani ha detto: “Francesco, nella sua dimensione di comunicatore, “dove sente, ascolta”. Ascoltare, per lui, ha a che fare con l’abc della relazione umana”. È l‘Enciclopedia Treccani che fa sintesi sulla comunicazione di Francesco: le sue parole sono “piene di dottrina ma glossate o rese con correlative espressioni del parlar comune”.
È stata l’omelia del primo gennaio, pronunciata nella basilica vaticana, durante la messa della solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 55ma Giornata Mondiale della Pace ad ispirare queste riflessioni. Due le parole chiave del primo giorno del 2022: mangiatoia e donna. Gesù sceglie la povertà per nascere, per venire a salvarci. Quella estrema. In una capanna abbandonata dai pastori, che al tempo stessa diventa “una bella notizia per tutti, specialmente per chi è ai margini, per i rifiutati, per chi al mondo non conta. Dio viene lì: nessuna corsia preferenziale, nemmeno una culla! Ecco la bellezza di vederlo adagiato in una mangiatoia”, osserva il santo padre. Proprio come avviene per i figli dei pastori.
Tutt’altro rispetto alla nostra esperienza “quotidiana”: l’attesa trepidante dietro l’ingresso della sala parto e la gioia incontenibile di una culletta termica, che conduce al nido il neonato, nudo, rivestito solo con il pannetto. Con l’infermiera che chiama per nome il papà: “è tuo figlio!”. Il nostro presepe è solo un pallido prototipo.
La mangiatoia è sinonimo di culla. A riscaldare il neonato un bue e un asinello. Dalla mangiatoia alla Croce, il passo sarà breve. Così papa Francesco: “Ma per Maria, la Madre di Dio, non è stato così. Lei ha dovuto sostenere lo scandalo della mangiatoia’”. Promesse non mantenute? Quale Regno? “Anche lei, ben prima dei pastori, aveva ricevuto l’annuncio di un angelo, che le aveva detto parole solenni, parlandole del trono di Davide: ‘Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre’ “, ha spiegato il santo padre.
Come tenere insieme il trono del re e la povera mangiatoia? Come conciliare la gloria dell’Altissimo e la miseria di una stalla? Pensiamo al disagio della Madre di Dio. Che cosa c’è di più duro per una madre che vedere il proprio figlio soffrire la miseria? C’è da sentirsi sconfortati. Non si potrebbe rimproverare Maria se si fosse lamentata di tutta quella inattesa desolazione. Ma lei non si perde d’animo. Non si sfoga, resta in silenzio. Sceglie una parte diversa rispetto alla lamentela: ‘Maria, da parte sua – dice il Vangelo – custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore’.
“È un modo di fare diverso da quello dei pastori e della gente. Loro raccontano a tutti ciò che hanno visto: l’angelo apparso nel cuore della notte, le sue parole intorno al Bambino. E la gente, all’udire queste cose, è presa da stupore: parole e meraviglia. Maria, invece, appare pensosa. Custodisce e medita nel cuore”, osserva Francesco.
E prosegue: “Sono due atteggiamenti diversi che possiamo riscontrare anche in noi. Il racconto e lo stupore dei pastori ricorda la condizione degli inizi nella fede. Lì è tutto facile e lineare, si è rallegrati dalla novità di Dio che entra nella vita, portando in ogni aspetto un clima di meraviglia. Mentre l’atteggiamento meditante di Maria è l’espressione di una fede matura, adulta. Di una fede che non è appena nata, ma è diventata generativa. Perché la fecondità spirituale passa attraverso la prova. Dalla quiete di Nazareth e dalle trionfanti promesse ricevute dall’angelo – il suo inizio – Maria si trova ora nella buia stalla di Betlemme. Ma è lì che dona Dio al mondo. E mentre altri, di fronte allo scandalo della mangiatoia, sarebbero stati presi dallo sconforto, lei no: custodisce meditando. È come un parto doloroso, che dà vita a una fede più matura”. Stupore. Solo tanto stupore!
La seconda parola chiave dell’omelia di Francesco è donna. “Nel suo cuore di madre – ha sottolineato Francesco – Maria comprende che la gloria dell’Altissimo passa dall’umiltà; accoglie il disegno della salvezza, per il quale Dio si doveva posare su una mangiatoia. Vede il Bambino divino fragile e tremante, e accoglie il meraviglioso intreccio divino tra grandezza e piccolezza. È lo sguardo con il quale tante madri abbracciano le situazioni dei figli. È uno sguardo concreto, che non si fa prendere dallo sconforto, che non si paralizza davanti ai problemi, ma li colloca in un orizzonte più ampio. E Maria così fino al Calvario, meditando e custodendo. Vengono in mente i volti delle madri che assistono un figlio malato o in difficoltà. Quanto amore c’è nei loro occhi, che mentre piangono sanno infondere motivi per sperare! Il loro è uno sguardo consapevole, senza illusioni, eppure al di là del dolore e dei problemi offre una prospettiva più ampia, quella della cura, dell’amore che rigenera speranza”.
La Chiesa è madre e donna. Basta violenze. “C’è bisogno di gente in grado di tessere fili di comunione, che contrastino i troppi fili spinati delle divisioni. Il nuovo anno – ha detto il papa – inizia nel segno della Madre. Lo sguardo materno è la via per rinascere e crescere. Le madri, le donne guardano il mondo non per sfruttarlo, ma perché abbia vita: guardando con il cuore, riescono a tenere insieme i sogni e la concretezza, evitando le derive del pragmatismo asettico e dell’astrattezza. E mentre le madri donano la vita e le donne custodiscono il mondo, diamoci da fare tutti per promuovere le madri e proteggere le donne. Quanta violenza c’è nei confronti delle donne! Basta! Ferire una donna è oltraggiare Dio, che da una donna ha preso l’umanità. All’inizio del nuovo anno mettiamoci sotto la protezione di questa donna, la Madre di Dio che è nostra madre. Ci aiuti a custodire e meditare ogni cosa, senza temere le prove, nella gioiosa certezza che il Signore è fedele e sa trasformare le croci in risurrezioni”.
Per un attimo, ho pensato a quelle omelie che, tante volte, non sono state capaci di suscitare in me neanche una parola chiave! Sinodo? Pensaci tu.
Le foto mostrano alcune opere di Nicola Ancona dedicate alla sacra natività, esposte nella chiesa di San Gaetano a Bitonto