Pochi sono a conoscenza del fatto che nel 1918, il 16 aprile, Padre Pio giunse nel convento dei frati minori cappuccini di San Marco La Catola, dove sarebbe rimasto per circa un mese. Un approdo anticipato da una fitta corrispondenza tra Pio e padre Benedetto Nardella, che a leggerla oggi ci descrive un uomo dolente, smarrito nella notte buia, che trascorreva le sue giornate tra il confessionale, l’altare e la preghiera, in cerca di una presenza divina che non sembrava più essergli vicina. Proprio leggendo quelle lettere, “di una bellezza dolorosa che ricorda quella di Baudelaire”, il leggendario regista newyorkese Abel Ferrara (cresciuto in una famiglia cattolica, oggi buddista) si è avvicinato alla figura del frate pugliese, a cui ha dedicato il suo nuovo film.
Il progetto è nato cinque anni fa, quando Ferrara ha visitato per la prima volta l’abbazia di Santa Maria di Pulsano a Monte Sant’Angelo, comprendendo immediatamente di essere arrivato nel luogo perfetto per realizzare “un film mistico, mitico, ma anche vero e reale” sulla figura del frate con le stimmate, nato nello stesso anno di suo nonno, originario di un piccolo comune vicino Pietrelcina. L’opera sovrapporrà (sacrificando la verosimiglianza cronologica) la comparsa delle stimmate con i fatti dell’eccidio di San Giovanni Rotondo del 14 ottobre 1920, quando in piazza Municipio le forze dell’ordine spararono sulla folla per impedire l’esposizione della bandiera rossa dal balcone comunale dopo le elezioni vinte dai socialisti. La sceneggiatura, firmata da Abel Ferrara e Maurizio Braucci, ha già ricevuto l’approvazione della comunità ecclesiastica, che pure in passato aveva attaccato duramente chi aveva ipotizzato una complicità dello stesso padre Pio in quelle sanguinose vicende.
Le riprese, in corso in questi giorni, coinvolgono numerose maestranze locali, circa l’80% del totale (i costumi, ad esempio, sono opera della pugliese Antonella Cannarozzi, già nominata all’Oscar per Io sono l’amore di Luca Guadagnino e costumista della serie tv L’amica geniale). I primi giorni di lavoro si sono svolti tra il monastero di San Marco La Catola e l’Abbazia di Pulsano, dove gli stessi frati cappuccini, come omaggio a padre Pio, hanno deciso di comparire nelle riprese. “Ci sono due ragioni principali per cui questo film può essere realizzato”, ha spiegato Ferrara. “Il sostegno dell’Apulia Film Commission, che ci avrebbe aiutato ad ogni costo, e la decisione di Shia LaBeouf di accettare il ruolo di padre Pio, dedicandosi interamente al personaggio”.
In linea con le sue ultime opere, in cui contesto extracinematografico, biografia e finzione cinematografica dialogano in maniera costante, Ferrara ha scelto il turbolento divo americano come testimone di un “percorso dall’oscurità alla luce” anche per via del suo travagliato passato. “Quando scelgo un attore devo essere sicuro che lui capisca chi sia il personaggio e che crei un’affinità con lo stesso”, ha aggiunto Ferrara. “Shia ha passato quattro mesi in un convento tra le montagne in California e ancora oggi non smette mai di indossare il saio, anche quando le riprese della giornata sono ormai terminate. Questa esperienza lo sta trasformando e lui aveva bisogno di questa trasformazione”. Ma il percorso di redenzione e ricerca interiore è ovviamente anche quello dello stesso regista, capace ormai di pensare esclusivamente attraverso il proprio cinema, che si rigenera senza fine e ruota sulla propria spina dorsale come il diavolo-derviscio che balla Runaway di Del Shannon in Siberia.
Abel Ferrara parla del suo prossimo lungometraggio come di un miracolo laico: “Quasi tutti i film che ho realizzato sono il frutto di un compromesso con le mie idee iniziali. In questo caso, no. Tutto sta andando come dovrebbe andare. Siamo venuti qui per capire cosa fosse un miracolo e ne abbiamo trovato uno: lo stiamo vivendo tutti i giorni in questa terra che ci ha accolto con grande calore e rispetto”. Il film non racconterà solo la storia spirituale di Padre Pio ma anche il suo rapporto con la popolazione, la sua abilità come confessore, il suo modo di relazionarsi con i fedeli. Ed è per questo che Ferrara paragona la figura di Padre Pio a quella di Pasolini: “Sono due icone, due persone che hanno vissuto dedicandosi agli altri, cercando un contatto profondo con la gente”.
All’intellettuale friulano il regista aveva dedicato nel 2014 uno spiazzante biopic con Willem Dafoe (vero e proprio alter-ego di Ferrara e amico fraterno, che comparirà anche in questo film su Padre Pio). In quell’opera complessa e caotica, Ferrara rifuggiva la filologia, metteva in scena non tanto il Pier Paolo Pasolini uomo, ma la sua opera, realizzando il sogno cinematografico di essere supplente del proprio maestro e mettendo mano ai suoi progetti incompiuti, da Petrolio a Porno-Teo-Kolossal. Un film apparentemente canonico nella messa in scena, più “levigato” rispetto ai suoi lavori più sperimentali, ma composto di brandelli, realizzato accatastando resti, cucendo gli spezzoni, unendo i tagli del girato e rubando squarci di Roma contro ogni autorizzazione istituzionale, ogni ipotesi di grande bellezza.
Ed è molto probabile, vedendo anche soltanto le prime immagini di scena, che anche il film di Ferrara, come in quel caso, aderirà solo superficialmente alla pulizia di un mainstream che, in fondo, non lo riguarda. La sua filmografia è sempre stata clandestina, fatta di riprese scippate, sottratte alle tenebre del caos, del non senso. Abel Ferrara è un ladro di immagini, di film interi; che non può fare a meno di continuare nella perversione del suo vizio, registrando il mondo con il proprio sguardo irrequieto. Gira con ciò che si ritrova per le mani: la cinepresa, una videocamera digitale, il proprio cellulare. Filma ogni cosa che accade, compresa la conversazione di cui vi stiamo raccontando in questo pezzo, collezionando frammenti audiovisivi che si conficcano come schegge impazzite nel suo cinema.
I personaggi dei suoi ultimi film sembrano incapaci di discernere le immagini nella loro testa, dividere quello che hanno realmente visto e vissuto, da quello che gli è arrivato filtrato dal cinema o dalla letteratura con cui sono entrati in contatto. E non è forse un caso che – anche inconsciamente – Ferrara si sia fatto attrarre dal pensiero di padre Pio per come questo traspare dal suo enorme epistolario. Nella corrispondenza del frate con padre Benedetto esistono infatti diverse lettere in cui larghi tratti sono presi, senza citarli, da altri testi di Gemma Galgani, la prima santa stigmatizzata del XX secolo. Anche nella realtà, quindi, riflessione personale e altrui si fondono in maniera irreversibile, parole e immagini che appartengono ad altri vengono fatte proprie, assimilate e restituite con un significato diverso.