C’è voluto papa Francesco per aiutarci a scoprire, a conoscere meglio don Tonino Bello; ad apprezzarlo, ad amarlo di più. Nell’omelia tenuta in San Pietro, durante la messa per la celebrazione della Giornata mondiale dei poveri, per ben due volte Francesco lo ha citato con una sua fulminante intuizione: organizzare la speranza.
Già, i poveri al centro, ma con “lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo ci è chiesto oggi”. Proprio di recente mi è tornato in mente quel che ripeteva quel vescovo vicino ai poveri, e povero di spirito lui stesso, don Tonino Bello: “Non possiamo limitarci a sperare, dobbiamo organizzare la speranza. Se la nostra speranza non si traduce in scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura della casa comune, le sofferenze dei poveri non potranno essere sollevate, l’economia dello scarto che li costringe a vivere ai margini non potrà essere convertita, le loro attese non potranno rifiorire. A noi, specialmente a noi cristiani, tocca organizzare la speranza – bella questa espressione di Tonino Bello: organizzare la speranza – tradurla in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico. A me fa pensare il lavoro che fanno tanti cristiani con le opere di carità, il lavoro dell’Elemosineria apostolica… Che cosa si fa lì? Si organizza la speranza. Non si dà una moneta, no, si organizza la speranza. Questa è una dinamica che oggi ci chiede la Chiesa”.

Quanta concretezza, quanta semplicità, quanta efficacia, condividendo non la monetina che diamo per togliercelo dai piedi, dallo sportello della macchina quel povero cristo che, fermo lì, aspetta un gesto, un sorriso, uno sguardo, un augurio di buona giornata. Non ci permettiamo di salutarlo, potrebbe contaminarci. “C’è un’immagine della speranza che Gesù ci offre oggi. È semplice e indicativa al tempo stesso: è l’immagine delle foglie dell’albero di fico, che spuntano senza far rumore, segnalando che l’estate è vicina. E queste foglie appaiono, sottolinea Gesù, quando il ramo diventa tenero (cfr Mc 13,28)”.
La visita del papa ad Alessano
Che dire? Ascoltai e sobbalzai dalla gioia. Finita l’omelia, chiamai subito il mio amico Gigi, collega, concittadino e collaboratore pastorale con don Tonino. Mi ricordai di quello che disse papa Francesco il 20 aprile 2018 ad Alessano. Guarda a lui, a “quel seme piantato nella terra”, seminato nel cimitero del suo paese natale per portare molto frutto. Fu colpito dalla sua tomba. Non un monumento, come si fa con i grandi, ma deposto sotto terra, come un seme che porta molto frutto. Al centro di una tribuna circolare, di un anfiteatro dove ci si può sedere e pregare. Noi in alto, lui lì, giù, sotto terra, ricoperto da un prato sempre verde.
Immagini che parlano da sole, scoperte e vissute nella preghiera, nel silenzio di un cimitero di paese dove predomina il valore della vita sulla morte; sperduto, lontano dalle case, con viali di tombe e cipressi che fanno ombra, ma aiutano a cercare la fede sulla tomba di don Tonino. Don Tonino anche con la sua sepoltura, continua ad essere lì, dov’è sempre stato, in mezzo alla gente, soprattutto in mezzo ai poveri, con loro.
Così si espresse papa Francesco il 20 aprile 2018, lo ricordo ancora con grande emozione: “Ho appena pregato sulla sua tomba, che non si innalza monumentale verso l’alto, ma è tutta piantata nella terra: Don Tonino, seminato nella sua terra – lui, come un seme seminato – sembra volerci dire quanto ha amato questo territorio. Su questo vorrei riflettere, evocando anzitutto alcune sue parole di gratitudine: grazie, terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te ma che, proprio per questo, mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli”. Una condivisione di vita. Una testimonianza scomoda, molto scomoda. Una missione. Non condivisa dalla sua casta di appartenenza perché lui era un anti-casta, sempre, dovunque, con chiunque.

Non aveva nè segreti nè tappeti rossi per salire ai piani superiori della sua dimora. Non aveva porte chiuse, non aveva spazi per sè, li aveva dati ai rifugiati, agli emigranti, ai senza tetto, a chi non aveva più casa e dormiva in auto. La sua scrivania, il tavolo che usava come scrivania, posto lì, in fondo alla piccola cappellina dell’episcopio, la casa di un vescovo. Scriveva, leggeva, pregava lì, ai piedi di Gesù eucarestia. Un’intimità profonda in tutto. Bussare alla sua porta, oltre che accolti con un sorriso, eri certo che un risultato, un sostegno, un aiuto lo avresti avuto comunque.
I poveri aiutano i poveri
È proprio vero: i poveri aiutano i poveri. E lui era uno che alla povertà, della povertà non ne parlava, la viveva, la condivideva. Così, semplicemente. Atteggiamento che però, “non era condiviso, non si addiceva al rango, al ruolo di vescovo”. Fu ripreso, redarguito, dai suoi “superiori”, dalla stessa Congregazione dei Vescovi, dalla stessa pubblica amministrazione che faceva poco per i cittadini più disagiati loro e che era infastidita da tanta “organizzazione” concreta della carità, della speranza. Segno di contraddizione. Per alcuni. Adesione totale al Vangelo, per lui. Don Tonino non ha mai fatto una piega, forte del comando ricevuto di rendere il bene per il male. Infatti, Pietro nella sua prima lettera dichiara, nel v.13: “E chi vi farà del male, se voi seguite il bene?”
Il percorso della santità
Oggi la Chiesa, dopo tante tribolazioni vissute da don Tonino in vita, proprio ad opera di alcuni suoi rappresentanti, proprio oggi, grazie a papa Francesco, ci presenta il grande vescovo come venerabile. Un cammino spedito verso la santità. Questa è la seconda tappa.
Alla santità sono chiamati tutti i battezzati. Il battesimo rende tutti figli di Dio. Nel Credo si dice di credere la “Comunione dei santi”. Questa è l’insieme di tutti i battezzati, di ogni tempo, vivi o defunti. Le tappe che portano alla santità hanno inizio con l’apertura nella diocesi di appartenenza dell’indagine che automaticamente dichiara il soggetto dell’idagine Servo di Dio. A conclusione di questo meticoloso esame, il processo può proseguire e tutta la documentazione e le prove testimoniali raccolte sono inoltrate alla Congregazione per i Santi, cioè in Vaticano; qui li attende la “pubblica accusa”, un tempo chiamata “avvocato del diavolo” che fa le pulci a tutta la vicenda. A costui si contrappone, a difesa del candidato agli altari, il “postulatore”, con il compito di dimostrarne la santità. Spetta al papa, come ha fatto papa Francesco, attribuire al Servo di Dio la qualifica di Venerabile. Tutto ruota intorno alla vita del candidato e al fatto che ha vissuto con continuità ed intensità, in “modo eroico”, le tre virtù teologali (fede, speranza e carità) e le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza). E’ proprio questa l’espressione usata: in modo eroico!

Stessa cosa per il candidato che ha perso la vita da martire, a difesa della fede. Se si è verificato un miracolo ascrivibile alla sua intercessione diventa beato. E’ bene ricordare che i miracoli non sono opera dei santi ma solo di Dio. Il riconoscimento di un ulteriore secondo miracolo porta alla santità. Un percorso lungo, rigoroso e meticoloso. Ma non dobbiamo mai dimenticare la grande testimonianza che danno i santi della porta accanto, come li chiama papa Francesco, per la capacità che essi hanno nel vivere il loro amore a Gesù con tanti piccoli gesti quotidiani.
Don Tonino Bello “protettore del Sinodo”
Oggi papa Francesco dichiarando venerabile don Tonino, lo propone a noi tutti come modello che si è speso per gli ultimi, per gli scartati. Quelli che lui sapeva bene dove andare a cercare, a trovare, con la sua scassata cinquecento. Se potessi, se avessi voce, lo proporrei come “protettore” del Cammino sinodale che la Chiesa sta compiendo, anzi dovrebbe compiere. Un profondo esame per verificare la capacità di adesione al messaggio evangelico, “occasione per una conversione personale e comunitaria, per ridare linfa all’annuncio e vigore a un tessuto ecclesiale e sociale sfibrato e vecchio” (CEI, Comunicato finale, Assemblea Generale Straordinaria – 23-25 novembre 2021).
Don Tonino Bello: un vero modello, un punto di riferimento alto, vero, concreto, operoso. Un testimone. Una vita per i poveri, con i poveri. Almeno la Chiesa di Puglia, chiedendogli ufficialmente perdono, può espiare in questo modo la sua colpa, la sua ripetuta incapacità alla condivisione e, finalmente, “organizzare la speranza”.
“Beato il vescovo che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli”. Inizia così il testo legato all’immaginetta che il Papa ha consegnato ai vescovi italiani, al termine dell’incontro di apertura dell’assemblea generale. E’ quello che ha fatto, che è stato don Tonino Bello.
In alto, don Tonino Bello. Foto Vatican News