Dal Sinodo che non c’è al Sinodo che verrà. Il cammino è stato avviato, anche se siamo ancora alla fase generale. Ma c’è un rischio: timorosi delle incognite, preferiamo rifugiarci nelle scuse del “non serve” o del “si è sempre fatto così”? Perché lasciare il certo per l’incerto? Per andare dove? Con chi? Fare Sinodo significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme. Guardiamo a Gesù, che sulla strada dapprima incontra l’uomo ricco, poi ascolta le sue domande e, infine, lo aiuta a discernere che cosa fare per avere la vita eterna.
Incontrare, ascoltare, discernere: i tre verbi del Sinodo. Così papa Francesco, mettendoci in guardia, parla al Sinodo sulla sinodalità. Non è un gioco di parole, ma è un lavoro particolarmente impegnativo cui è chiamato tutto il Popolo di Dio, composto da vescovi, sacerdoti e fedeli, che deve condurre a cambiamenti radicali.
Mettere in discussione il nostro agire quotidiano, lasciare le nostre certezze e le nostre abitudini, uscire dalle nostre situazioni fatte di privilegi e di potere, abbandonare le nostre comfort zone e mettersi in cammino. Mettere in discussione tutto di se stessi e cambiare, rinnovare, avviarsi lungo un nuovo cammino di vita, nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie, nella società. “La Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso (di potere, economici, di coscienza, sessuali). E’ impensabile ‘una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio’ (Francesco, Lettera al Popolo di Dio – 20 agosto 2018 – proemio)”. Questo è ciò che la Chiesa ci propone e chiede dal Sinodo.
Facile a dirsi! Difficile a compiersi! Bisogna saperlo: non ci sono scorciatoie nè alternative. O si fa o non si fa. E la Chiesa non può rimanere immobile. Il nuovo cammino è tutto da percorrere se vogliamo ridare luce, nuovo splendore alla nostra fede, se vogliamo rileggere la Buona Notizia, il Vangelo, per annunciarlo, renderlo attuale e viverlo. Il nostro essere cristiani rinchiusi nelle nostre certezze, nelle nostre sacrestie, paghi di liturgie sempre meno partecipate, non può essere la risposta a quel Sinodo che i vescovi, su richiesta e indicazione di papa Francesco, in questi giorni stanno avviando.
L’assemblea pastorale della diocesi Bari-Bitonto
Con un’assemblea pastorale è stato dato come un avvio al Sinodo della Diocesi di Bari-Bitonto. Sinodo voluto da papa Francesco nell’incontro con i rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, svoltosi nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze il 10 novembre 2015. Il papa ha sempre lamentato una certa “amnesia” da parte dei vescovi italiani circa la richiesta di tenere un Sinodo.
All’incontro di Bari sono intervenuti sacerdoti, consacrati, laici. Un avvio a freddo, se penso al lavoro preparatorio fatto in tutte le comunità per il Sinodo voluto da mons. Mariano Magrassi per la Chiesa di Bari-Bitonto alla fine del secolo scorso. Un lavoro da recuperare. L’assemblea è stata avviata con una lectio biblica tenuta da don Angelo Garofalo, docente di Sacra Scrittura. Un’approfondita riflessione. “Una delle parole chiave degli Atti degli Apostoli è uscita! Parola chiave del pontificato di papa Francesco e principio ispiratore di questo Sinodo”, così ha esordito.
Ha parlato della conversione, dei gentili, dei pagani e di Cornelio, battezzato da san Pietro, il primo, raccontato negli Atti degli Apostoli. È la vera testimonianza che Dio non fa preferenze fra puri e impuri, giudei e non giudei, fra pagani o credenti. “La rigidità, la più ostinata nemica del discernimento”. “Uscire dalla comoda presunzione del già saputo, mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà che sempre ci sono” (dal messaggio di papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni 2020).
Il sinodo è per tutti
Così anche il Sinodo: deve andare incontro a tutti, credenti e non credenti, camminare insieme con loro. “È nell’incontro con le persone, accogliendole, camminando insieme a loro ed entrando nelle loro case, che si rende conto del significato della sua visione: nessun essere umano è indegno agli occhi di Dio e la differenza istituita dall’elezione non è preferenza esclusiva, ma servizio e testimonianza di respiro universale.”
Saranno due anni di cammino, di consultazione, due anni di grazia, non per produrre documenti, ma “far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani…” (papa Francesco, Discorso all’inizio del Sinodo dedicato ai giovani – 3 ottobre 2018).
Questo è il cammino sinodale. Un invito, vero, pressante, forte, alla concretezza, all’operatività. Fatti, non parole. Se le comunità si svuotano, chiediamoci il perché. Come interveniamo in aiuto di chi “percosso a sangue” è lasciato mezzo morto sul ciglio della strada? Passiamo oltre, come quel sacerdote e quel levita? Lo abbandoniamo senza soccorrerlo perché lo consideriamo “un estraneo sulla strada”? Non abbiamo tempo da offrire a lui (Fratelli tutti, capitolo secondo). Mettiamoci alla ricerca di chi è in cammino per altre mete, altri lidi.
La sinodalità come stile
“Sarà una vera conversione, un passaggio doloroso” ha detto don Angelo Garofalo. “Uscire dal già saputo, scegliere di stare con le persone”, come chiede papa Francesco. Per questo la seconda relazione sul cammino sinodale – La sinodalità come stile – tenuta dalla professoressa Giuseppina De Simone, ordinaria di Filosofia delle Religioni, docente presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sezione San Luigi – di Napoli, è stata un pressante invito alla conversione. “Vivere il mettersi in cammino”.
Il cammino sinodale è suddiviso in tre tappe: la prima narrativa, fatta di ascolto; la seconda sapienziale, discernimento da condurre insieme; la terza profetica, per l’assunzione di impegni, di scelte. Da tutto ciò far derivare sempre gli orientamenti pastorali che le singole diocesi si danno.
Compagni di viaggio
Significativi i nuclei tematici che il documento preparatorio invita ad approfondire. Ne stralciamo solo alcune domande, molto significative. Circa i compagni di viaggio: quali sono i compagni di viaggio, anche al di fuori del perimetro ecclesiale? Quali persone o gruppi sono lasciati ai margini, espressamente o di fatto? Ascoltare: avere mente e cuore aperti, senza pregiudizi. Sarà duro registrare la possibilità di ascolto da parte di chi è impregnato da pregiudizi che hanno segnato storicamente persone e comunità.
Ma una delle domande più significative è: “Che spazio ha la voce delle minoranze, degli scartati e degli esclusi?”. Sarà possibile registrare il bisogno di andare incontro a queste persone, questi gruppi per avviare o riprendere un dialogo e un possibile cammino insieme? Una vera sfida che la Chiesa fa a se stessa.
Parlare con coraggio e parresia
Prendere la parola: tutti sono invitati a parlare con coraggio e parresia. Ce ne vorrà tanto di coraggio. Lo stiamo verificando in questi mesi: amicizie che improvvisamente si chiudono, distanze per evitare contaminazioni, schieramenti pregiudiziali. Che succede per chi dovesse farlo? Bollato, escluso, emarginato a vita. Dal vocabolario Treccani: parreṡìa s. f. [dal gr. παρρησία «libertà di parola»]. – Schiettezza, franchezza; estens., libertà di parola eccessiva, sfrenata.
Da alcune dichiarazioni-risposta date a domande semplici, in assemblea, mi è parso di cogliere uno spirito diverso. Il significato attribuito alla parola parresia deve essere intriso di clericalismo ed altro, altrimenti viene giudicato privo di umiltà. Non ci siamo. “Ma siamo qui perché vogliamo aprire il cuore alla speranza”, ha detto la relatrice. E, riprendendo il documento preparatorio: “Siamo qui perché ci spinge e ci guida un interrogativo di fondo: quel camminare insieme che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo che deve essere il modo d’essere della Chiesa, avendo anche il coraggio di riconoscere le ferite che ci portiamo addosso”. Un forte invito alla riconversione sinodale, ad andare oltre per non essere sopraffatti dal rischio dell’insignificanza o all’afasia; sviluppare la capacità di dire una parola significativa che raggiunga le persone.
Una domanda emblematica va fatta: dell’evento Settimane Sociali di Taranto chi ne ha parlato, quale l’attenzione registrata nei media, per esempio? Perché non si comincia a dare vita agli obiettivi deliberati che impegnano le comunità parrocchiali? La prima: la costruzione di comunità energetiche sul territorio. La seconda: diocesi e parrocchie, tutte “carbon free”.
La secolarizzazione tocca anche i nostri paesi. C’è un allontanamento complessivo dalla vita della Chiesa e cosa fare per rispondere a tutto questo? Stiamo vivendo un tempo difficile. La Chiesa di Bari non può dire di essere immune da questi fenomeni. Va ripensato l’annuncio della fede, ritrovare slancio nuovo per il suo annuncio e la sua testimonianza. Va ripensata l’immagine della Chiesa che abbia i tratti della freschezza, della comprensibilità, dell’affabilità, che dica veramente qualcosa alla vita della gente.
La lezione del cardinale Matteo Maria Zuppi
Dobbiamo lasciarci interrogare dalla crisi, come avvenuto durante la pandemia, ma anche dalle difficoltà che la gente incontra. Cercare nuove forme di contatto e di relazione con la gente. Far sentire la vicinanza della Chiesa alla vita, alla sofferenza delle persone. Esperienza molto positiva riscontrata in molte realtà. Trasformare il tempo della sofferenza in tempo da utilizzare per accogliere il vento dello Spirito, così lo ha definito il cardinale Matteo Maria Zuppi, vento che ha spalancato le porte della Chiesa.
Porte fisicamente chiuse ma ben guardate dalla gente alla ricerca di speranza. E la Chiesa ha saputo essere vicino alla gente. Se abbiamo il coraggio di cercare strade nuove, di metterci in cammino, di interrogarci, si può vincere l’insignificanza per lasciarci interrogare, con coraggio, dalla realtà, da quello che accade. E’ sempre il tempo più fecondo quello che si vive durante le massime crisi perché si è interrogati in maniera radicale.
Con quale volto la Chiesa si lascia incontrare dalla gente? Quale Chiesa sogniamo? Quale Chiesa sogna ed attende la gente comune? Bisogna saper ascoltare, saper raccogliere il desiderio che è nel cuore della gente e chiedersi quale Chiesa è nel sogno di Dio?
Uniti nella diversità
E’ senz’altro una straordinaria occasione di grazia che ci porta oltre l’accidia pastorale e ogni forma di chiusura. Dobbiamo imparare a lavorare in rete per tutti, con tutti, offrendo ascolto e spazio ai vissuti che ci interpellano. Imparare l’arte del dialogo con i compagni di viaggio, soprattutto con quelli che volutamente abbiamo lasciato fuori. Dobbiamo imparare che si può camminare insieme anche se diversi. Potremmo dire: uniti anche nella diversità. La diversità non collide con l’unità anzi l’arricchisce.
Una delle domande posta dalla relatrice è come vengono prese le decisioni nelle nostre comunità. Gli organismi di partecipazione sono realmente funzionanti o solo formalmente costituiti? Quanti errori, quante sofferenze si sarebbero potute evitare se organismi autorevoli avessero realmente funzionato, senza essere solo organismi di comodo.
Il cammino sinodale non va vissuto come fatto straordinario ma deve diventare l’ordinarietà delle nostre comunità a tutti i livelli, diocesano e parrocchiale, che si edificano nell’ascolto della Parola. Occasione di grazia da non sprecare. Nel dibattito (Gaetano Piepoli, don Mimì Moro, Patrizia e Gianfranco Rossi e altri) è stato fatto riferimento alla lettera-documento di mons. Mariano Magrassi “Giubileo e Sinodo”, un binomio che fu la base del nostro lavoro sinodale, già richiamato, di ben quattro anni. (Giubileo e Sinodo: un binomio affascinante. Bari, Ecumenica Editrice, 1996).
L’intervento di Gaetano Piepoli
Un dono, ha detto Gaetano Piepoli, che affonda nella nostra memoria che ci dice con chiarezza che Chiesa vogliamo essere. Una sinodalità che diventa principio ordinatore a livello istituzionale, che diventa esperienza feriale e ordinaria a tutti i livelli per evitare di cadere in una parabola che ci porti dal passato al passato. In mancanza di quella ampia preparazione di base avvenuta in tutta la diocesi, va costruito un percorso che possa essere creduto, pensato, condiviso, accettato e realizzato. La strada maestra, ovviamente è quella della parresia, sapendo che ci sono dei prezzi necessari per la parresia e, nonostante il principio di corresponsabilità, dobbiamo saperlo che i prezzi della parresia non sono gli stessi per sacerdoti e laici. E i prezzi per i sacerdoti sono ancora più alti rispetto a quelli che a buon mercato i laici sono disposti a pagare.
Ancora, don Mimì Moro. Possiamo aver studiato tutti i documenti conciliari, ma quanto a viverli e a metterli in pratica facciamo fatica. Facciamo fatica ad avere l’idea della Chiesa Comunione. Questo Sinodo non sia un approfondimento teologico su cosa è la Comunione ma un impegno a vivere la Comunione nelle comunità. Non facciamo i professori, ma viviamo queste cose nelle nostre comunità e, soprattutto, con la povera gente che è senz’altro più disponibile a camminare insieme.
Mi piace sempre ricordare la prima Lettera di San Giovanni che dovrebbe essere il modello di tutti i progetti pastorali: Prima lettera di Giovanni – 1, 1-4: Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.
Se non riusciamo a vivere la comunione fra di noi, ha detto don Moro, che andiamo ad annunciare? Teorie, facciamo lezioni e invece dobbiamo trasmettere un’esperienza. Perché splendide famiglie impegnate oggi non sono caratterizzanti, attrattive? Cosa mancherebbe? Chiedono Patrizia e Gianfranco Rossi.
Chi ascolta chi? Ascoltare i vissuti: di chi, come, dove? Come demolire le comfort zone che la gerarchia, i pastori difendono per potere e con autorità? Quanto incidono le posizioni di privilegi economici? Ho chiesto io stesso. Si può camminare se ci si libera dalla zavorra e si cerca chi è abbandonato sulla strada.
La replica di Giuseppina De Simone
Nella replica, la dott.ssa De Simone, fra l’altro, ha detto che “bisogna avere il coraggio della parresia, altrimenti che cammino sinodale è? E la parresia costa, ovviamente, smuove. Papa Francesco ha detto “Abbiate il coraggio della parresia, non temete di dire quello che pensate. Non quello che a me farebbe piacere sentire. Abbiate il coraggio di dire quello che pensate veramente, con estrema libertà di espressione, di comunicazione. Dobbiamo ascoltare non solo chi la pensa come me, ma anche chi la pensa diversamente da me. Quella prospettiva mi arricchisce, anche se in questo momento mi infastidisce e vorrei zittirlo. Anche se scomoda, questa parresia dobbiamo avere il coraggio di viverla, oppure non siamo evangelici, ce ne stiamo comodamente seduti nella nostra area di tranquillità. Ma non serve a niente e a nessuno. Il non volerci confrontare ci fa mancare il terreno sotto i piedi, ci indebolisce, ci svuotiamo di senso. La parresia è assolutamente indispensabile ed è fatta anche di delicatezza. Nelle nostre comunità dobbiamo imparare a dire quello che abbiamo dentro, ma con la volontà di costruire, non per distruggere l’altro. Devo dire quello che penso, anche se va contro l’altro, con spirito costruttivo. Dal cammino sinodale dovranno emergere decisioni. Come si prendono le decisioni? Come si esercita l’autorità? Domanda concreta. In questo Sinodo non c’è niente di astratto. O parresia, o non serve a niente. Quali passi fare? Tutto il Popolo di Dio, anche se ci spaventa”. Sarà un problema per chi chiede chiarimenti sulle domande del documento e se le vede accantonare!
Nella replica finale, il vescovo, mons. Giuseppe Satriano, pensando che “camminando s’apre il cammino”, ha presentato alcuni chiarimenti non senza non precisare cosa intenda per parresia. Né ascolto parlamentare, né sindacale. Parlare con franchezza, ma senza pretendere che l’altro si prostri a tappetino di fronte alle mie verità. Sono mie percezioni, mie considerazioni, mie riflessioni che ognuno di noi deve consegnare e che tutti dobbiamo imparare ad ascoltare.
Domanda: quando le percezioni, le considerazioni, le riflessioni sono documentate? Non sono più mie, ma appartengono alla storia, al vissuto di chi ha gestito il potere non come servizio, ma come repressione. Se dobbiamo imparare ad ascoltare, dobbiamo anche imparare a saper leggere i documenti, la Verità, anche se, capisco!, molto, molto scomoda. Anzi, peccaminosa!
La parola chiave è partecipazione in vista della conversione
E’ vero che la parola chiave è partecipazione, ma c’è un atteggiamento che dobbiamo assumere che è quello della conversione. Mettiamoci nell’atteggiamento di voler sognare, di voler vedere un’alba nuova. Impareremo ad ascoltare che questo cammino riguarda il nostro modo di essere Chiesa istituzionale, di essere laici impegnati, il nostro modo di leggere la storia, la cultura di questo tempo. Viviamo un ascolto sereno, possibile, disteso, semplice, così come ogni comunità, con sincerità riesce a fare, a rivisitare, a rifondare un noi ecclesiale. Anima di questo è rimettere al centro uno spazio da abitare con tutte le fatiche; rimettere al centro la relazione, uno stile di prossimità autentica, umile, disponibile, ospitale. Capace di abitare e di accogliere il dissenso che faremo, con criticità, in questi anni di rieducazione all’ascolto. Senza darci alcuna fretta, anche se il percorso si va definendo. Camminando insieme struttureremo meglio il cammino. Se non ci mettiamo nello stato di un desiderio autentico di sognare e di voler vedere un’alba nuova, serve capacità profonda del cuore che ci conduce ad imparare che questo cammino di conversione riguarda il nostro mondo istituzionale, il nostro modo di essere laici impegnati, nella cultura del nostro tempo.
Dall’incontro, nonostante le tante precisazioni al dialogo e all’ascolto, al camminare insieme, alla partecipazione esce una parola imbrigliata, circondata da paletti, quasi che la verità o la sofferenza subita dalla Chiesa, nella Chiesa, possa essere annacquata fino a ritenerla come realtà evaporata: la parresia. Lentamente, con calma! Non importa se su strada c’è un incidente grave, un infortunato.
Impareremo che c’è bisogno di anni per l’ascolto e la narrazione. Non importa se sulla strada c’è qualcuno che è stato investito e che ha bisogno ora di aiuto! Noi, come Chiesa, siamo fuori dai tempi di polarizzazione politica, siamo vicini al bisogno di chi soffre; vicini alle nuove povertà, a chi chiede aiuto con pudore e con umiltà assoluta, accoglie tutto quello che riusciamo a dare, a fare, ad essere, oggi!
La sfida che c’impone questo tempo di Grazia è riabilitare un noi ecclesiale
Proprio vero, la Chiesa è abituata ai tempi biblici. Con calma! Il bisogno è oggi, altro che occasione per cavalcare qualcosa che nutriamo con la nostra rabbia. Lettura di comodo. Dove andiamo a costruire il noi ecclesiale? Irenismo puro. La sfida che ci viene offerta da questo tempo di Grazia è quello di rifondare, rivisitare, riabitare un noi ecclesiale nelle nostre comunità fatte di gelosie, invidie, carrierismo, corruzione. Questa è la realtà della nostra vita di Chiesa.
Abbiamo un percorso di chiesa abitato da voi. Avete disegnato delle pagine belle del cammino di Chiesa, anche dure, conflittuali, ma significative. Avete avuto dei pastori che nel loro carisma e nella diversità dei loro carismi, hanno saputo costruire questo filo rosso di Chiesa, di cui noi oggi siamo ammiratori, senza nasconderci le fatiche che questa Chiesa ha.
Si può essere ammiratori, a titolo personale, di quel che appare. Ma bisogna storicizzare il giudizio e legarlo non alle convenienze, all’accettazione tranquilla ma ai fatti documentati che sono stati prodotti, vissuti, sofferti e posti in essere perché si soffrisse con premeditazione. Scrivendo della forza della verità, sant’Agostino precisa: “Si dica allora la verità, specialmente quando qualche problema spinge a dirla; e lasciamo che quelli che ne sono capaci comprendano; altrimenti, se si tace per quelli che non possono capire, non solo sono defraudati della verità, ma sono addirittura conquistati dal falso quelli che potrebbero conquistare il vero e con esso mettersi al riparo dalla falsità”.
Non è cosa da poco la responsabilità che il pastore dell’intera diocesi si assume. Una così sommaria giubilazione è solo il tentativo di formare solo un’opinione pubblica, vorrei dire di comodo, specie per chi non ha accesso a documentazione incontrovertibile ma a scelte di potere. Un giudizio che non risponde alla verità documentale.
Il Sinodo deve dire la verità nella prospettiva della riconciliazione
Il Sinodo, invece, deve dire la Verità. Realizzare “un’opera di riconciliazione” nella diocesi, con la realtà e la storia. Lo si deve alla Chiesa diocesana, ai consacrati, ai sacerdoti, alle Comunità di appartenenza, alle loro famiglie, devastate con tanta pervicace ostinazione!
E chiedere scusa fare espiazione per l’accanimento e la persecuzione attivata in alcuni casi. Se non ci ascoltiamo al nostro interno, come possiamo riconciliarci con l’esterno Inaccettabile comportamenti e silenzi come se nulla fosse esistito, successo nulla. Solo gli struzzi mettono la testa sotto. Questo è il campo per registrare il cambio di “mentalità pastorale”. Indichi con chiarezza una proposta operativa di strutture permanenti di consultazione e di collaborazioni che prevenga sul nascere quegli abusi. E’ inaccettabile l’esistenza di una “Chiesa istituzione” e di una “Chiesa altra, reale”.
Dobbiamo accorgerci e accogliere il dissenso. Dobbiamo urgentemente riconciliarci, non ostentando sicurezza, con promozioni o altro, quasi a ringraziarli del “servizio” reso il cui giudizio umilia la nostra esperienza di Chiesa.
Le emergenze indicate dal presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti
Ancora non si esprime chi parla così e già è bollato: dissenso! Questo non è dissenso. Da isolare e ghettizzare. Ci saremmo aspettati indicazioni precise circa le quattro emergenze indicate dal presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti: sanitaria, sociale, educativa, delle nuove povertà! E’ necessaria un’opera di riconciliazione con la realtà e la storia anche recente. Dobbiamo rimetterlo al centro, come spazio da abitare. Tranquilli: stiamo strutturando il nostro cammino, lento, fatto di silenzi, di ascolto, non frenetico! Arriveremo!
La Verità, invece, ha bisogno di parresia e va gridata dai tetti. Oggi! Ecco cosa dice il Vangelo, Matteo 10, 26-33 : “Dunque, non abbiate paura degli uomini. Tutto ciò che è nascosto sarà messo in luce, tutto ciò che è segreto sarà conosciuto. Quello che io vi dico nel buio, voi ripetetelo alla luce del giorno; quello che ascoltate sottovoce, gridatelo dai tetti. Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima”.
Dovremmo forse dirlo coi fiori? No. Il Sinodo verrà. Meglio cantarlo con Lucio Dalla che non perde la speranza: “Ma la televisione ha detto che il nuovo anno / Porterà una trasformazione / E tutti quanti stiamo già aspettando”, tanto “L’anno che sta arrivando tra un anno passerà … è questa la novità” (Lucio Dalla – L’anno che verrà).
Le illustrazioni sono tratte dalla Settimana News