I ragazzi di Chiccolino hanno lo sguardo rivolto al futuro

Raffaele Diomede, responsabile del centro barese, spiega le nuove emergenze causate dalla pandemia ma è certo che il cuore dei ragazzi batterà l'abisso della devianza

Quante speranze e quanti dubbi assalgono un educatore durante il servizio notturno in una comunità, mentre il sonno avvolge lentamente i giovani ospiti. Quanti pensieri si aggrovigliano nella mente per poi districarsi nel silenzio della notte. Esperienze di vita, storie, riflessioni sono l’ispirazione di Si può nascere ancora, il libro di Raffaele Diomede scritto per Palomar, che dalla prima impronta di “diario di bordo” si trasforma in un interessante saggio e “manuale di istruzioni”. Un volume, dunque, che illustra anche gli aspetti normativi del processo penale a carico di minori e quelli strutturali delle comunità e dei centri di recupero. Un riuscito mix tra norme, storia e racconti personali cuciti dal valore delle “relazioni educative” che rendono il libro uno strumento utile per operatori sociali e genitori. Il volume è uscito lo scorso anno ma le riflessioni, le indicazioni fornite, le problematiche affrontate, le soluzioni ipotizzate sono più che mai attuali. Tanto più che le conseguenze sociali della pandemia oggi si avvertono in maniera più netta rispetto ad un anno fa. Cosicchè ci è sembrato utile tornarci su, cercando di illustrarne i diversi aspetti, i vari ambiti di analisi e le proposte nel corso di una lunga intervista con l’autore.

“Avevo intenzione di consegnare alla mia memoria personale le esperienze vissute. Non pensavo certo alla divulgazione di massa” spiega Raffaele, educatore e coordinatore di Chiccolino, centro diurno polifunzionale per minori a rischio di devianza e dell’area penale, sorto nel 2009 come comunità educativa in una struttura confiscata alla criminalità sul waterfront di San Girolamo a Bari. “Il turno di notte per chi svolge questo lavoro è il più lungo. E’ il momento del batticuore – afferma – perchè si attende che le porte delle stanze vengano chiuse, i ragazzi si addormentino e ci si possa raccogliere in meditazione. Proprio durante le ore notturne ho iniziato a scrivere una sintesi del mio percorso, prima da educatore e poi da responsabile di comunità”.

Raffaele accoglie e condivide ogni giorno le storie dei giovani, che vanno ad incrociarsi con le sue emozioni, le sue paure, il coraggio e la responsabilità di affrontare percorsi di recupero così complessi. “I ragazzi portano sulle loro spalle il peso del reato commesso, di privazioni, abusi e spesso violenze”, spiega. Dopo aver messo nero su bianco queste narrazioni, Filomena Albano, magistrato a Roma e già Garante Nazionale dell’Infanzia, autrice della prefazione, ha sollecitato l’autore a strutturare le pagine di Si può nascere ancora come una piccola guida per genitori ed educatori, con informazioni sui diversi aspetti della comunità educante, sul regolamento dei centri e le strutture di recupero. Per gli educatori e gli operatori sono, poi, indicate strategie di problem solving, con accenni al burn out e alla legislazione minorile.

A cucire insieme i capitoli e le parole sono le relazioni di vita che nascono da questi percorsi professionali e umani che si caricano di messaggi di speranza. “Insieme alla mia esperienza di educatore ho affiancato le storie dei ragazzi, veri e propri pezzi d’autore, scritte sotto forma di lettera alla fine del loro percorso per raccontare il loro cambiamento”, afferma Raffaele. Un cambiamento che richiede il coinvolgimento di tutta la rete educativa che parte dalle famiglie, che spesso vivendo la problematica del “figlio difficile” o di comportamenti deviati “si annientano e mettono al primo posto la riabilitazione dei proprio ragazzo fino a dimenticare se stesse. Invece, il benessere dei figli deve andare di pari passo con quello dei genitori. Non sono strade separate”, precisa Diomede.

Il lavoro in ambito educativo, forse perché intrecciato sin dal primo momento con l’aspetto dell’emergenza, con le varie strategie di soluzione dei problemi, raramente lascia spazio, soprattutto tra colleghi, a momenti di supervisione e di confronto, utili per lo scambio di conoscenze. Ne consegue, a volte, un impegno basato sulle proprie convinzioni, restando soli ad affrontare pesanti carichi di storie dolorose. Ecco che le pagine di Raffaele Diomede offrono interessanti spunti anche sull’aspetto della condivisione dell’esperienza, imprescindibile per la rete educativa. Grazie a Si può nascere ancora i ragazzi che hanno affrontato il percorso riabilitativo si sono ritrovati testimoni e protagonisti, come ha fatto notare Raffaele nel corso della presentazione del libro alla Fondazione Giovanni Paolo II nel quartiere San Paolo. Aspetto tra i più interessanti della “missione” del libro a cui ha contribuito la penna “dei suoi ragazzi”, come Raffaele suol dire.

Sono vent’anni che Raffaele offre la sua competenza e la sua passione educativa ai minori: “Li chiamo ‘i miei ragazzi’ perché sono parte integrante della mia vita. Ho rinunciato a tante cose nel mio privato per svolgere al meglio il lavoro. Grazie all’incontro quotidiano con loro me ne sento in qualche modo padre. Guardare nei loro occhi la riconoscenza, ricevere l’abbraccio o un messaggio anche a distanza di anni, addirittura l’invito alle nozze di uno dei ragazzi seguiti in comunità è una gioia straordinaria. La gratitudine di chi è riuscito anche con la propria forza ad allontanarsi da circuiti pericolosi è tra le soddisfazioni principali del mio lavoro”. Un lavoro, che prima di tutto è una missione che mira al recupero e alla formazione del “materiale umano”, che rimette i giovani in gioco con la vita a partire dalle fragilità. E’ ancor di più una missione “fare l’educatore”, se si considerano gli scarsi riconoscimenti legali e stipendiali.

Eppure gli stessi operatori lo definiscono il lavoro più bello al mondo. “Il più bello ma anche il più complicato. Affrontare la responsabilità di chi ci viene affidato, prendere in carico vite così fragili, cercando di riconsegnarle alla società è davvero un compito straordinario”, riprende Raffaele. La società, poi, non facilita il percorso: i ragazzi sono affascinati dall’immagine di chi guida macchine di grossa cilindrata, maneggia denaro “facile”. “La difficoltà è destrutturare questa cultura della mafiosità. Molti ragazzi – prosegue – anche se nella realtà sono lontani dagli ambienti criminali, vivono questa fascinazione. Si è fatto poco per combattere questi stili di vita; anzi proprio i videogiochi, i film e le serie tv, ossia i linguaggi che attirano i ragazzi, hanno alimentato l’idea che più violenza e più reati si commettono, maggiori sono le possibilità di raggiungere quello status sociale”.  “E’ diffusa ormai un’idea distorta dei romanzi di denuncia, a causa delle serie tv che hanno prodotto la spettacolarizzazione della criminalità. I mass media devono tornare a svolgere il ruolo educativo, che non può essere relegato soltanto agli operatori sociali. Ad ogni fascia della società spetta una parte di responsabilità educativa”, spiega Raffaele.

Un fattore che ha generato condizioni di non ritorno anche nell’ambito dell’educazione è stata la pandemia. Oltre a far emergere ulteriori limiti e difficoltà personali, familiari e sociali, ha reso ancora più complicato il lavoro di persone come Raffaele: “La Dad è stata un fallimento perché molti ragazzi erano impossibilitati a partecipare alle lezioni da casa non possedendo gli apparecchi o la connessione internet. A conferma di condizioni familiari molto precarie”.

Nelle case in questo periodo hanno regnato confusione e difficoltà persino nella semplice gestione degli spazi. Ma Raffaele intravede comunque segnali di speranza: “Occorre una nuova pedagogia della creatività: in tempi di emergenza essa diventa un supporto indispensabile per creare situazioni innovative che concilino la protezione del diritto alla salute con il diritto all’istruzione, alla cultura alla bellezza”. Inevitabilmente anche il mondo dell’educazione deve reimpostarsi su alcuni aspetti: “Il primo riguarda l’evoluzione dei ragazzi, soprattutto della generazione Z nata in piena era digitale. Comunicano in modo diverso rispetto anche a pochi anni fa. Le modalità della comunicazione e, quindi, delle relazioni si sono modificate, perciò all’educatore di oggi viene chiesta l’abilità di riuscire ad entrare nel mondo di questa generazione con tutte le sue complessità, entrando in sintonia con il suo linguaggio”. Non a caso l’equipe di Chiccolino sta sperimentando progetti educativi innovativi con i visori VR, la tecnologia 3D e cercando di sollecitare i ragazzi alla riflessione con il loro linguaggio, come avvenuto con il progetto del laboratorio di scrittura creativa insieme a La Gazzetta del Mezzogiorno, in cui i giovani si sono raccontati attraverso le pagine del quotidiano.

Spesso i ragazzi hanno difficoltà a comunicare i loro vissuti; eppure i risultati di questo processo di “autobiografia” sono stati sorprendenti. La strutturazione del centro Chiccolino, attualmente, prevede 12 laboratori che si innestano con il progetto educativo concordato con ogni ragazzo. Progetti di recupero e decoro urbano con Retake, laboratori di ciclofficina e di videomaker, attività surf e windsurf, oltre al volontariato insieme alle caritas parrocchiali sollecitano il minore a credere nei suoi talenti, a rimettersi in gioco con la propria vita nella società. Attualmente la struttura accoglie nelle ore pomeridiane circa 25 ragazzi e, in media, un percorso per far rimettere i passi sulla giusta strada dura un anno. Inoltre, per non disperdere i frutti della narrazione di sé, è in corso un itinerario di giustizia riparativa in cui i ragazzi incontrano rappresentanti del quartiere, delle istituzioni, di enti e istituti scolastici per uno scambio di esperienze. “In tal modo non si sentono ghettizzati per il loro reato e allo stesso tempo la cittadinanza ne conosce le storie e l’umanità. Si realizza un confronto di reciprocità”, afferma Raffaele. Che poi torna a descrivere l’altro aspetto educativo su cui puntare: “La pandemia ha peggiorato le condizioni dei bisogni educativi dei ragazzi, isolati per circa due anni tra didattica a distanza o alternata. A loro è stato tolto ogni presidio di relazione, dalla scuola ai centri di aggregazione alle palestre ai luoghi di incontro, alimentando ulteriore alienazione e nuova povertà educativa”. 

Raffale Diomede presenta il suo volume al centro Giovanni Paolo II nel quartiere San Paolo di Bari

“Stiamo assistendo a incapacità nel sapersi relazionare con il prossimo, creare empatia e comunità. C’è una difficoltà generale – spiega il coordinatore di Chiccolino – che ha generato una tempesta perfetta. L’emergenza sanitaria ha trascinato dietro tante altre problematiche: l’emergenza educativa, l’emergenza sociale, l’emergenza economica. Molte famiglie che sopravvivevano con l’arte dell’arrangiarsi o tanti lavoratori precari, a causa delle chiusure di numerose attività commerciali non hanno avuto più quel poco che gli consentiva di “arrivare a fine mese”. E non potevano neanche affidarsi al welfare sociale.” A far “piovere sul bagnato” si aggiungono i complessi stati d’animo: “Nelle famiglie prevale una certa ritrosia a chiedere aiuto ai servizi sociali – spiega Raffaele – perché vi è il timore di indagini che potrebbero avere conseguenze drammatiche sui figli. Altri nuclei familiari restano fuori dal sostegno sociale per scelta”.

La triste conclusione di questo scenario è che a trarre vantaggio da tutta questa situazione è la criminalità organizzata, che “fa del disagio la propria forza, offrendo un aiuto che, in realtà, si rivela illusorio. E, tuttavia, nelle famiglie si radica un sentimento di gratitudine nei confronti della malavita per il sostegno ricevuto. In molti territori della città la criminalità sta tessendo una tela oscura”, conclude Diomede.

L’esperienza professionale di Raffaele permette, poi, di analizzare alcune falle del sistema educativo e riabilitativo che, comunque, non arrestano la buona volontà di operatori ed educatori nel creare sinergie e ponti di rinascita: “Rispetto ai bisogni della fascia di età compresa tra 0 e 6 anni, per gli adolescenti manca una vera politica sociale. Mancano strutture aggregative adeguate alle loro esigenze”. Il centro diurno Chiccolino è il primo centro sperimentale in Puglia; realtà simili si trovano a Lecce e Bitonto. Ma per l’elevato numero di giovani sono insufficienti. Un altro fattore su cui ragionare è il limbo in cui cascano molti ragazzi che hanno scontato la pena detentiva: “I piani di zona dei Comuni offrono ben poco all’adolescente; è scarso l’aspetto degli interventi post-penitenziari a favore dei minori, che devono fare i conti con la realtà, con la vita quotidiana e senza una politica di inclusione, soprattutto lavorativa, è facile che ricadano in percorsi sbagliati”.

I ragazzi rischiano di vivere una seconda fase di smarrimento a cavallo della maggiore età: “Si crea un gap nel momento in cui il minore, entrato nel circuito penale, nel frattempo diventa maggiorenne. Egli termina la pena con la messa alla prova, ma poi si trova senza alcun supporto dei servizi sociali ministeriali per la chiusura del fascicolo penale”. “Essendo maggiorenne, poi, se non c’è un provvedimento del giudice in ambito civile i giovani perdono la tutela dei servizi sociali territoriali e il supporto degli educatori dei centri dove sono stati collocati”, spiega Diomede.

Tutto ciò è paradossale: da cittadino libero, il ragazzo non possiede alcuna guida. Chiccolino rappresenta un progetto nato dalle istituzioni dall’ambito del welfare cittadino e regionale, in collaborazione con il Centro per la Giustizia Minorile di Puglia e Basilicata. Per questo la struttura – prima comunità poi centro polifunzionale per minori – è sorta come realtà inclusiva che riesce a coinvolgere e coinvolgersi nella vita del quartiere. “Si sta costruendo una comunità educante ed è bello pensare che sia anche il quartiere a prendere a cuore questi ragazzi”, esorta Raffaele. Si consolida un senso di accoglienza che trasforma l’imposizione in potenzialità: “I ragazzi, dopo essere stati accolti, avvertono il senso di sfida positiva e mettono a frutto le proprie potenzialità, riscoprono i propri talenti. I laboratori che proponiamo – prosegue – servono non solo per la formazione specifica ma soprattutto per trasmettere in loro l’idea fondamentale che nessuno può e deve ritenersi uno scarto, come i ragazzi spesso si sentono”. In realtà anche lo scarto può essere recuperato e brillare di una bellezza originale, confermando che “Si può nascere ancora”.

Le foto, tratte dalla pagina fb di Raffaele Diomede, illustrano le attività svolte dai ragazzi del centro polifunzionale Chiccolino