L’isola che non c’è

Alcune nomine e l'assenza di un percorso preparatorio, testimoniano come il sinodo diocesano sia vissuto più come obbligo formale che opportunità di rinnovamento

Discutendo con amici e alcuni sacerdoti, dopo aver “partecipato” on line all’apertura del Sinodo della diocesi di Bari-Bitonto, subito mi è balzato alla mente il testo della famosissima canzone di Edoardo Bennato: L’isola che non c’è.

Seconda stella a destra, questo è il cammino / E poi dritto fino al mattino / Poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è / Forse questo ti sembrerà strano, ma la ragione ti ha un po’ preso la mano / Ed ora sei quasi convinto che non può esistere un’isola che non c’è / E a pensarci, che pazzia / È una favola, è solo fantasia / E chi è saggio, chi è maturo lo sa: non può esistere nella realtà / Son d’accordo con voi, non esiste una terra dove non ci son santi, né eroi / E se non ci son ladri, se non c’è mai la guerra, forse è proprio l’isola che non c’è, che non c’è / E non è un’invenzione /E neanche un gioco di parole / Se ci credi ti basta, perché poi la strada la trovi da te / Son d’accordo con voi, niente ladri e gendarmi / Ma che razza di isola è? / Niente odio né violenza, né soldati né armi / Forse è proprio l’isola che non c’è, che non c’è / Seconda stella a destra, questo è il cammino / E poi dritto fino al mattino / Non ti puoi sbagliare, perché quella è l’isola che non c’è / E ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto, perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te.

Non può esistere un sinodo che non c’è. Non esisterà mai nella nostra diocesi un cammino vero, forte, intenso, capace di raggiungere la meta se non vengono cambiate logiche, scelte, comportamenti. Ci vuole un sinodo. Bisogna incamminarsi lungo la strada voluta e chiaramente indicata da papa Francesco. Ci tocca però registrare una coincidenza sprecata. Un’occasione persa.

La chiesa di Bari-Bitonto poteva registrare precisi indicatori di cambiamento, di discontinuità nelle nomine per la copertura di alcuni posti vacanti a livello parrocchiale. Passare da potere a servizio. Non ci è dato registrare simile volontà nelle scelte operate dal nuovo vescovo, mons. Giuseppe Satriano. Al contrario, ci pare di rilevare una palese, piena accondiscendenza ai vecchi metodi di gestione, all’apparato esistente, tutt’ora ben radicato.

In tal modo, la spaccatura che si vive nel clero e nelle comunità si fa più profonda e si allarga. Da un lato le parrocchie attive, operose, vere, fatte da laici impegnati, soprattutto nelle periferie delle città, dove aumentano povertà, emarginazione e si convive ogni giorno con i bisogni primari di tanti che sono costretti a bussare alla porta dei parroci più sgarrupati, a volte lasciati soli nelle loro incombenze. Dall’altro la chiesa che si porta orgogliosamente in trionfo, in processione, per l’apertura di un evento che non finirà mai di essere considerato se non secondo solo al Concilio Ecumenico Vaticano II.

La chiesa del mondo intero da oggi è in sinodo. Evento-profezia. Ma, quale profezia? La chiesa ha questa grande capacità, far vivere, nella Fede, intensamente i tempi; essere al passo con gli uomini e le donne d’oggi. Fino ad indire un Sinodo, che letteralmente significa “in cammino”, camminare insieme. Un evento, un modo di “essere Chiesa” che è da vivere con quanti avvertono e condividono l’esigenza di dare e di avere risposte.

Con chi? A chi? Vi chiederete voi. Con l’uomo di oggi, con tutti gli uomini e le donne di oggi. A tutti. “Essere comunione vuol dire camminare assieme, perché siamo stati rigenerati da un unico Spirito, inseriti in un unico Corpo, diretti verso un’unica meta, animati da un’unica fede e abitati da un’unica carità, spinti da un’unica speranza. Abbiamo tutti la stessa missione che rivela la nostra comune dignità di figlio di Dio e la nostra comune vocazione. Camminare assieme, con chi e verso dove?”, ha scritto Massimo Camisasca sull’Avvenire.

Papa Fancesco apre il sinodo il 10 ottobre a San Pietro

Per fare cosa? Per intraprendere quel viaggio che conduce a Cristo, cioè alla salvezza di ogni uomo, di ogni donna. Un interesse molto scemato, oggi. L’indicatore è dato dalle parrocchie che sono sempre più vuote. Non si guarda ad esse come a centri capaci di dare precise risposte ai bisogni dei tanti battezzati che hanno perso la consapevolezza di possedere un dono così grande. Alcuni, nel clero, “pesano” il valore di una comunità solo dal prestigio tutto mondano che esso è capace di dare.

Può un sacerdote considerare il servizio cui è destinato in termini di “prestigio” personale? Può essere considerato discriminante, per esempio, mettere a confronto le comunità di Enziteto con San Ferdinando, la Resurrezione con la Cattedrale, una piccola parrocchia di paese con una parrocchia dei quartieri popolari o “in” di Bari?

Sono scelte che hanno bisogno di discernimento e di grande responsabilità. Scelte che spettano al Pastore, risultato non di un calcolo paternalistico o di logiche fuorvianti come la pianificazione di carriera, per sè e per alcuni prediletti. Il Popolo di Dio non li tollera questi comportamenti. Stessa cosa dicasi per la trasparenza economica nella gestione di offerte e del patrimonio di alcune comunità, a partire dai finanziamenti che la Conferenza Episcopale Italiana invia in modo ordinario o straordinario. E’ chiedere molto conoscere l’uso del sostegno fatto pervenire alle parrocchie? E’ vero? A tutte? Quale il suo reale riparto e i criteri previsti o adottati? Situazioni che le comunità percepiscono come espressione di pura, fastidiosa, arrogante mondanità, spesso di tradimento.

C’è bisogno di avvertire il mandato come vero servizio di donazione alle comunità cui si è destinati. Il pastore dà la vita per le sue pecore, non può dare la dimensione del servizio a tempo, part time, ad ore. Di chi ha un piano di lavoro fatto ad orari, con l’orologio in mano. Esso non può essere gestito come doppio incarico che garantisce solo potenziamento di “potere” o possibilità pianificata di far “carriera”.

La pandemia ha acuito le difficoltà di tanti cittadini, a cui le chiese di “periferia” continuano a dare risposte

Proprio tanti quelli che non varcano più la porta delle nostre piccole o grandi chiese. Quelli che avvertono l’odore del pastore dal profumo o dal dopobarba indossato, non dal sudore del servizio che dà alle sue pecore. Quelli che non avvertono e non condividono l’odore delle pecore, assuefatti come sono a quello dei palazzi. C’è solo un profondo bisogno di sentire, di vivere, di condividere la presenza di Cristo in mezzo a noi. Può la Chiesa destare, ri-destare questo desiderio? Questo bisogno? Certamente si. È la sua missione.

Inaugurando ufficialmente il Sinodo, il 10 ottobre, nella basilica di San Pietro, papa Francesco ha esortato la Chiesa ad un ampio esame di coscienza sulla sua capacità di incarnare lo “stile di Dio”. Con tre verbi ha indicato il percorso da compiere: incontrare, ascoltare e discernere.

Gesù «non guardava l’orologio» pur di mettersi a disposizione delle persone incontrate sulla strada. Non si può essere pastori part time, con doppi incarichi o doppie finalità. E per questo la responsabilità è nelle scelte dei vescovi. Oggi, aprendo questo percorso sinodale, iniziamo con il chiederci tutti (papa, vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, sorelle e fratelli laici, tutti i battezzati): noi, comunità cristiana, incarniamo lo stile di Dio, che cammina nella storia e condivide le vicende dell’umanità? Siamo disposti all’avventura del cammino o, timorosi delle incognite, preferiamo rifugiarci nelle scuse del ‘non serve’ e del “si è sempre fatto così?.

Domande che interrogano profondamente quanti vogliono intraprendere il cammino indicato: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Quanti vogliono condividere l’inquietudine del pastore che dà la vita per le sue pecore?

La cattedrale di Bari, sede del sinodo diocesano (foto tratta dal sito di Notti Sacre)

Molto esplicito il papa nell’indicare quello che il sinodo non è e come interpretarlo correttamente: non “una convention ecclesiale, un convegno di studi o un congresso politico, un parlamento, ma un evento di grazia, un processo di guarigione condotto dallo Spirito Santo. In questi giorni Gesù ci chiama, come fece con l’uomo ricco del Vangelo, a svuotarci, a liberarci di ciò che è mondano, e anche delle nostre chiusure e dei nostri modelli pastorali ripetitivi”. E di conseguenza l’appello “a interrogarci su cosa ci vuole dire Dio in questo tempo e verso quale direzione vuole condurci. L’incontro e l’ascolto reciproco non sono qualcosa di fine a sé stesso, che lascia le cose come stanno. Al contrario, quando entriamo in dialogo, ci mettiamo in discussione, in cammino, e alla fine non siamo gli stessi di prima, siamo cambiati”.

“Il sinodo è un cammino di discernimento spirituale, che si fa nell’adorazione, nella preghiera, a contatto con la Parola di Dio. Che possiamo essere pellegrini innamorati del Vangelo, aperti alle sorprese dello Spirito Santo”, questo l’auspicio finale del santo padre.

Il nostro sinodo, allora? È il sinodo che non c’è. La celebrazione della liturgia per l’avvio del Sinodo nella Cattedrale di Bari è stata una liturgia, bella, ma “a freddo”; non è stata il punto d’arrivo di un periodo preparatorio vissuto nelle comunità con partecipazione, ricerca e tanta, tanta preghiera, tanti, tanti momenti di condivisione, di partecipazione, di preghiera comunitaria. Se la partenza è stata tanto “fredda”, il cammino intrapreso è oscuro, proteso verso una meta indefinita.

Sembra più un’incombenza, affidata a una circolare del vescovo, avviata per tenere contento papa Francesco, che rispondere alle “attese”, per svegliare l’ “anestetizzazione” dell’uomo d’oggi. Circolare che non può essere affidata come ad un disperato messaggio che un naufrago affida al mare in burrasca, in bottiglia.

Che significato diverso avrebbe avuto celebrare l’avvio del sinodo in una parrocchia di vera periferia, in una parrocchia di paese, oltre le immaginifiche frontiere che qualcuno pensa di varcare con il turismo religioso. “Chiesa in uscita”, espressione che indica inquietudine, passione, ricerca, desiderio di incontro. Ma noi, pur essendo “ospedale da campo”, siamo capaci di girare la testa per non guardare il bisogno del malcapitato, lasciato mezzo morto lì sul ciglio della strada per tirare dritto. Troppe le confort zone esistenti. Equilibri di potere capaci di spegnere dialogo e relazioni o di non avviarlo mai!

C’è bisogno di tutta l’energia, la vitalità, la disponibilità di un pastore che sappia condurre il suo gregge verso pascoli ubertosi. E il pastore non consente nè surroghe nè condizionamenti derivanti da vecchie, logore incrostazioni di potere. In caso di invasione, affidarsi realmente al Sinodo per cambiare o per lasciarsi sostituire. Allora potremo trovare il sinodo che c’è perché affidato e rigenerato dall’opera dello Spirito Santo: “Son d’accordo con voi, non esiste una terra dove non ci son santi, né eroi”.