La medicina cura il corpo, il teatro cura l’anima. E se sembra esagerato, basta approfondire i costumi di alcune comunità, nelle quali il teatro ricopre un ruolo rilevante nella vita quotidiana, come quella inglese in cui si studia performing art sin dalla scuola primaria. Per non dire dell’antica Grecia, nella quale tutto il popolo si recava a teatro per restarci un giorno intero. Sì, dedicarsi al teatro è un bisogno viscerale che va soddisfatto per non rischiare di vivere nella mediocrità del presente, senza ideali, senza emozioni, senza sogni, con lo sguardo orientato solo verso logiche di profitto. Difficile dire da dove nasce una passione così forte come quella per il teatro; ma, certo, per chi fa teatro si tratta di una vocazione.
Quando ha cominciato a muovere i primi passi in questo mondo, Elena Cotugno mostrava la sua vocazione di attrice: e se all’inizio recitava in un piccolo gruppo teatrale del liceo (il mitico “Orazio Tedone” di Ruvo di Puglia) mentre oggi è abituata a palcoscenici ben più grandi, anche quella prima esperienza era interessante e ricca di sorprese. Certo, Elena giocava anche a pallavolo, alternando alla spensieratezza dello sport l’interesse per la recitazione. Pallavolo e teatro, teatro e pallavolo, giorno dopo giorno, instancabilmente. E, in fondo, a pensarci bene per calcare le scene occorre un fisico bestiale.
Se si può individuare un momento preciso nella svolta artistica di Elena, questo è stato il compimento dei suoi diciannove anni: un moto d’animo spontaneo, leggero ma anche incontenibile, come d’altronde è la giovinezza, che la spingeva a rendersi utile per la comunità. Era convinta, e lo è tuttora, che il teatro svolga un servizio fondamentale per una collettività che aspira a emanciparsi. Grazie al teatro i cittadini hanno la possibilità di confrontarsi con le tematiche più scottanti del proprio tempo, di essere coinvolti in un processo critico e autocritico nel rapporto con la società in cui si vive.
Giovane e promettente, Elena si avvicinava all’accademia d’arti drammatiche ITACA, a Palo del Colle, per studiare con Gianpiero Borgia, il suo insegnante proveniente da una solida formazione – il teatro russo di Stanislavskij – acquisita grazie ai maestri Jurij Alstchitz e Anatoli Vasil’ev che di conseguenza sono diventati anche i suoi. Una comunione di intenti culminata, nel 2015, in un più grande e proficuo sodalizio artistico: i due lavorano infaticabilmente alla realizzazione di vari progetti, prima in Puglia, poi nella storica città di Fiume in Croazia e infine a Pescara, dove attualmente vivono.
Ma è dalla Puglia che, nello stesso anno, parte lo spettacolo Medea per strada, figlio di una profonda riflessione proprio sulla terra che li ha visti nascere. Perché chiunque viva e lavori in Puglia sa perfettamente cosa vuol dire attraversare la SP 231, cioè l’ex SS 98. Quella strada immensa che collega Cerignola a Bari è una sorta di macelleria a cielo aperto, che espone la carne viva di giovani ragazze straniere. Uno scenario così abituale a cui ormai nessuno presta più la dovuta attenzione. Ma come si può rimanere indifferenti dinanzi ad un quadro così raccapricciante? I due co-direttori artistici della compagnia Teatro dei Borgia hanno provato a dare un riscontro concreto ad una domanda che spesso non trova risposta, cercando di sradicare una mentalità diffusa per la quale il fenomeno è del tutto “normale”. Il dramma della schiavitù sessuale, in realtà, è un problema che resta perlopiù accantonato nelle stanze della politica, sorda agli appelli di donne non più padrone del proprio corpo, vittime di una logica maschilista volta al possesso e di un “mercato” dominato da brutali sistemi criminali.
E’ questo lo sfondo in cui si dipana l’azione scenica, che ripercorre la vicenda di una giovane donna dell’Est, giunta in Italia per amore di un uomo che promette di sposarla e che invece si rivelerà il suo sfruttatore. “Volevamo lavorare su un mito classico greco, in particolare sulla Medea di Euripide ma allo stesso tempo volevamo affrontare la questione della schiavitù sessuale in Puglia. Mettere insieme le due cose -spiega l’attrice- è stato un attimo. Attualizzare il mito, o meglio, riattivarlo, ci ha messo nelle condizioni ideali per riscrivere il testo di Euripide in chiave contemporanea e parallelamente iniziare il nostro percorso di ricerca sul campo. Ho iniziato a intervistare le associazioni che si occupavano di portare assistenza alle ragazze per strada che mi hanno portato con loro durante le operazioni di unità di strada. In particolare con la cooperativa Oasi2 San Francesco di Trani, che copre tutta la zona da Bitonto a Cerignola offrendo assistenza medica, sanitaria, legale e psicologica a queste donne. Incontrare le vittime e ascoltare i racconti di chi lavora al contrasto di questa schiavitù è stato vitale per creare la storia di questa Medea ipercontemporanea”.
Quando Gianpiero Borgia, regista e ideatore del progetto, le ha proposto di rappresentare lo spettacolo su un furgone per sette spettatori, che attraversava le strade della prostituzione, Elena ha pensato che stesse scherzando. E invece Giampiero era serissimo. “Per me è stata un’enorme sfida, una rottura di tutti i canoni e le convenzioni, una palestra d’attrice. Mi ha messo in diretto contatto con l’oggetto dello spettacolo -racconta Elena- e con il pubblico trasportato, in tutti i sensi, in questo singolare viaggio nel mondo della schiavitù sessuale. L’obiettivo di far crollare la cortina di ipocrisia e di rompere l’abitudine a quello scenario macabro, veniva raggiunto portando il pubblico direttamente sul posto e mettendolo a diretto confronto con quella realtà, ascoltando la storia di Medea che però era anche l’insieme di tutte le storie che avevo ascoltato personalmente dalle altre ragazze”, racconta.
Dopo la Puglia, Elena e Gianpiero hanno esteso il campo di ricerca altrove, coinvolgendo cooperative e associazioni di tutta Italia che hanno facilitato le attività di riconoscimento e rilevazione delle zone ad alto rischio. Una vera scuola di umanità.
Oggi Medea per Strada ha superato le 300 repliche in tutta Italia passando da Torino, al festival delle Colline Torinesi nel 2016, a Milano al teatro Franco Parenti, da Roma al teatro Eliseo al Todi Festival, da Napoli a Potenza al festival Città Cento Scale, da Genova al SUQ festival all’ERT di Modena, ai cantieri Koreja di Lecce, al teatro Olimpico di Vicenza, a Bolzano al Traum e molti altri, fino all’imminente debutto al Theatredu Coin de Mondes ad Evry, vicino Parigi. Impeccabile anche il lavoro di tutte le associazioni che hanno favorito il percorso di crescita e di graduale ascesa dello spettacolo: la Cooperativa Oasi2 di Trani, l’ufficio assistenza sociale di Barletta, l’associazione Mimosa e la Equality Coop di Vicenza, l’ufficio accoglienza di Verona, la cooperativa Tampep di Torino, il progetto Atuttotenda di Lecce, la Caritas Ambrosiana di Milano, la Cooperativa PARSEC di Roma. Un grande lavoro di squadra, grazie al quale Elena ha ricevuto due menzioni speciali come migliore attrice emergente in occasione del Premio Ubu nel 2017 e nel 2019. Infine, qualche settimana fa, sempre per la categoria miglior attore/miglior attrice emergente, il premio tanto atteso Le Maschere del Teatro Italiano, consegnato dalle figlie del grande Gigi Proietti. La rassegna che l’ha vista vittoriosa, giunta alla sua decima edizione, è stata presentata su Rai1 da Tullio Solenghi martedì 7 settembre a Villa Campolieto, presso Ercolano. Una piacevole conferma che ripaga l’attrice ruvese dei tanti sacrifici fatti nel corso della sua carriera.
A distanza di sei anni, questo dialogo estemporaneo tra mondo mitico e mondo contemporaneo presente nella Medea per strada non va scemando, anzi si arricchisce di altri due spettacoli in cui il mito assume un’importanza capitale. Parliamo di Eracle l’invisibile con Christian Di Domenico e del Filottete Dimenticato con Daniele Nuccetelli. “Christian e Daniele sono due attori storici della compagnia. Anche loro sono stati miei maestri perché studiano e lavorano con Gianpiero da più di vent’anni. Ci piace definire la nostra compagnia una famiglia teatrale. È molto importante la relazione umana nel nostro mestiere, creiamo sempre relazioni profonde perché per natura noi artisti siamo portati ad andare in profondità. La superficialità ci fa soffrire oppure ci annoia. Oggi, Medea per Strada, Eracle l’invisibile e Filottete Dimenticato sono diventati una trilogia che abbiamo intitolato La Città dei Miti. Eracle e Filottete affrontano rispettivamente i temi della povertà e dell’abbandono degli anziani a causa di malattie neurodegenerative. La Città dei Miti viaggia per i principali teatri e festival italiani. Questa estate siamo stati a Brescia, ospiti del Centro teatrale Bresciano, che ha coprodotto il lavoro, con il sostegno e la collaborazione della cooperativa ‘La Rete’ che si occupa del contrasto alle povertà e al disagio. Cerchiamo sempre di concepire i nostri lavori come esperienziali per il pubblico”, commenta Elena.
Per il prossimo triennio la bella famiglia teatrale serba diversi progetti in cantiere, impegnandosi anche a portare avanti la già nota trilogia de La Città dei Miti. Le successive tematiche su cui svilupperanno nuovi spettacoli riguarderanno il lavoro nonché la fascinosa storia di Giacomo Matteotti, una rappresentazione che avrebbe dovuto debuttare nel 2020 ma che la pandemia ha purtroppo interrotto. L’indagine conoscitiva sul lavoro si baserà sulla ricostruzione di avvenimenti balzati agli onori della cronaca, come la triste vicenda avvenuta il 3 ottobre 2011 a Barletta quando si registrò la morte di cinque operaie di un tomaificio causata dal crollo della palazzina in cui prestavano servizio, su interviste e sulla lettura di saggi classici, come per esempio il Manifesto dei Partito Comunista di Karl Marx.
Sono queste le motivazioni che consentono ad Elena di sottolineare la missione civilizzatrice del teatro, specie per i più giovani, che affina l’anima e la capacità empatica oltre ad allenare la propensione all’umano che, come sosteneva il commediografo latino Terenzio nel suo Heautontimorumenos non deve essere considerato alieno, diverso, altro da sé. Perciò diventa indispensabile l’esistenza di un teatro in città, un’offerta culturale a cui nessuno deve rinunciare indipendentemente dal credo politico, perché “il teatro non nasce dalla politica ma dalla volontà di fare comunità a prescindere dagli orientamenti”. E con la tenacia che da sempre la contraddistingue, spiega: “Dovremmo considerare i teatri alla stregua delle scuole. Dico sempre ai miei parenti di andare a teatro e non perdere altro tempo. Basta solo uscire di casa e raggiungere il posto per renderci conto di che fortuna sia avere un teatro nella propria città, in un periodo in cui invece i teatri chiudono. In questo senso Ruvo si pone all’ avanguardia ed erige un baluardo contro il dilagare mercantile dell’ignoranza. Andando a teatro avremmo anche contezza di tutto il lavoro che serve per metterlo su. Ricordiamoci che noi teatranti lavoriamo con passione. Sì, ma quando mai la passione è bastata?”
E conclude: “Ci vuole studio, mestiere, impegno, fatica. Il teatro è un mestiere! Rendersi conto del grande lavoro svolto per erigere un teatro -spiega Elena Cotugno- vuol dire apprezzarne la funzione. L’immane lavoro che Michelangelo e Katia e tutta la squadra della compagnia ruvese La Luna nel Letto hanno svolto in questi anni non è servito solo a costruire architettonicamente i muri di un teatro. Un teatro non è fatto solo di mattoni ma di ciò che si svolge all’interno e posso dire che loro sono stati capaci di riempire di senso e storia quei muri. Ora sta anche ai cittadini scrivere il resto della storia. A noi teatranti sta il compito di fare in modo che chi va a teatro possa trovare tutto questo, possa divertirsi e che abbia voglia di tornarci. In poche parole abbiamo il compito di fare in modo che lo spettatore non si addormenti. E per farlo serve dare al nostro mestiere la responsabilità di una funzione sociale”.
Le foto sono state gentilmente concesse da Elena Cotugno