Il gran finale del Bif&st è su “La terrazza” di Scola

Lo sguardo ironico e profetico del grande regista romano consegna alla storia una delle edizioni più scintillanti della rassegna cinematografica barese

Si chiude il Bif&st e lultima giornata non può non essere nel ricordo del grande regista romano, nato novant’anni fa e scomparso nel 2016. Potremmo giungere a definire il festival di quest’anno un omaggio ad Ettore Scola, già suo presidente onorario. E non a caso questa fortunata edizione si conclude con un suo film, uno dei più belli, che segna la fine (secondo molti critici) di quel genere noto come “commedia all’italiana”. Non parliamo, quindi, di una pellicola solo bella ma anche fondamentale. Un’ultima commedia corale, che racconta l’inevitabile trasformazione della società italiana, ritratta nella sua evoluzione storica e sociale.

Felice Laudadio, direttore artistico del Bif&st

Ormai il lettore più esperto avrà intuito che si sta parlando de La Terrazza, un film che risale al 1980, un anno in cui cinema e televisione si univano, segnando l’inizio di una nuova era e di un nuovo modo di fare commedia. Non si ritraggono più comicamente personaggi tragici, parafrasando Scola stesso, come avveniva in questo genere tutto italiano dagli anni ’50 a quel fatidico 1980. Non si riflette più sui politici, pieni di ideali ma anche di difetti. O, almeno, non si riflette più in questo modo, come si faceva ne Il Sorpasso o ne La grande guerra. Ed è giusto così, perché il cinema deve adattarsi ai tempi, alla società. Deve rifletterne i costumi, col piglio critico che lo contraddistingue. Eppure, in questo meraviglioso film che è La Terrazza l’intellighenzia di sinistra non riesce più a stare al mondo. Non riesce a capirlo, a adattarsi. Questi uomini, un tempo influenti, si ritrovano ad essere superati da donne in carriera, figli ben inseriti nella società e sono costretti ad assistere, inermi, al mutamento inevitabile del mondo in cui vivono, all’inconciliabilità del loro essere con la società, alla rinuncia ad una lotta contro i mulini a vento. Ripensano a quando era possibile un cambiamento rivoluzionario, ma ora non hanno più l’età per portarlo avanti. Ci sono i giovani, che sono così ben adattati. E non è un caso che le loro mogli e donne appaiano giovanili agli occhi del pubblico, rispetto ai mariti, o che siano effettivamente più giovani. È il simbolo dell’inserimento femminile nel nuovo mondo.

 La commedia umana di balzacchiana memoria che viene così splendidamente ritratta riguarda attori, produttori, critici, sceneggiatori, esponenti del partito comunista. Tutti sono tirati in ballo, insieme alla loro incapacità di capire i tempi, di analizzarli e di dominarne le sorti. Questa terrazza, in cui si incontrano per cenare, diviene un punto d’inizio e di ritorno, partendo dal quale si dipanano storie che poi nuovamente convergono. Collegate ognuna all’altra, protese nello sforzo di ricordare un passato che non c’è più. Ognuno a modo suo si trova slegato dal presente, un po’ come la stessa commedia all’italiana. I tempi sono profondamente mutati, l’Italia va rappresentata in maniera diversa, perché la maschera della commedia non si adatta più al suo nuovo volto. E così la sottile ironia di Scola e la delusione generalizzata, sintomatica di tutta una generazione, lasciano spazio ad un nuovo tipo di comicità, che è piuttosto un’evasione dal presente.

Il film, quando uscì, fu ammazzato dalla critica” spiega Felice Laudadio al termine della proiezione, e presenta la rivista quadrimestrale di cinema, Bianco e Nero, interamente dedicata ad Ettore Scola. È con questo numero che Laudadio chiude la sua direzione della rivista, lasciando ad altri il pesante testimone. Intervengono sul palco del Petruzzelli, dove si è svolta l’ultima proiezione del Bifest di quest’anno, Jean Gili, Luca Bandirali, Oscar Iarussi e Silvia Scola.

In collegamento sullo schermo del teatro, Walter Veltroni, che ha da poco finito di girare un documentario e è accorso per parlare di “un amico, un maestro, un consigliere, una fonte di ispirazione”, come egli stesso ha definito Scola. “Ettore aveva intuito la parabola del partito comunista – sostiene Veltroni, in riferimento al film – proprio perché era sempre stato legato al partito. Sapeva che stava perdendo la bussola, il legame con la realtà. Aveva intuito l’inevitabile, per questo non incontrò subito l’approvazione di chi l’aveva sostenuto e neppure di chi non lo sosteneva, perché era un film così diverso, inconsueto rispetto ai tempi. Non poteva che essere un prodotto destinato ai posteri”.

Ognuno ha raccontato un lato inedito del regista. Per esempio, Jean Gili l’ha conosciuto grazie ad Elio Petri a una festa e da allora sono diventati amici quasi inseparabili. “Raramente ho conosciuto una persona così aperta al nuovo, al lavoro del giovani, così pieno di inventiva e ironia” commenta, ridendo. “Ascoltava la musica, tutta, di qualunque genere – continua la figlia Silvia, tratteggiando questo ritratto del padre – ma non era un melomane. La cosa che mi ha sempre sorpreso è che ha mantenuto un approccio da narratore e da scrittore, anche quando ha iniziato a dirigere i film. Aveva una visione di quello che si sarebbe visto in termini di emozioni, non di inquadrature”.

Il pubblico è commosso, unito agli ospiti in questo elogio. “Non è importante ricordare chi fosse, ma quello che ha lasciato allo spettatore di ogni tempo: la sua grande umanità”, conclude la figlia. E con la mostra dedicata ala grande regista al Margherita, quest’ultima visione al Petruzzelli e il lancio del numero dedicato al regista, si chiude questo bellissimo Bifest sulle tracce di Scola.

In alto, l’immagine di Ettore Scola sul manifesto del Bif&st. Le foto sono tratte dal sito del Bif&st